mercoledì 5 gennaio 2011


composto da Raghava Caitanya Dasa
con le benedizioni di Srila Sarasvati Gosvami e la supervisione di
 Srila B. V Puri Maharaja





Essendo solo Amore
 Sri Krishna non conosce nient'altro
 che l'Amore,
dà e accetta solo Amore,
non fa che Amore,
respira solo Amore,
parla solo ed esclusivamente
 Amore:
Sri Krishna è Amore stesso.
Amore che distrugge ogni distanza,
Amore che non conosce nessuna cerimonia,
che non conosce rispetto formale,
che non conosce motivazione.
Amore che è
di per sé
causa,
motivo e
piena soddisfazione.



Prefazione
II Signore Supremo Sri Krishna si sta costantemente dilettando, sotto forma di Sri Gauranga, come un esemplare amante di Se stes­so. Sri Krishna, la natura essenziale dell'Essere Supremo, è la sola vera ed eterna verità. Egli è il solo oggetto dell'amore. Sri Gauranga è il possessore e il distributore di questo amore. Egli stesso cantava il Santo Nome di Sri Krishna e insegnava agli altri come amare Krishna e cantare il Suo Nome. Nel far ciò Egli ci ha mostrato la netta distinzione tra il vero nome, che è identico alla persona stessa, e quello apparente e falso che è ripetuto in modo profano, blasfemo o vano.
Egli mette in evidenza che nel kali yuga le persone mondane indulgono (1) nella falsità, (2) nell'intossicazione, (3) nella sensua­lità e (4) nell'uccisione di animali. Dovuto a ciò sono incapaci di meditare su Sri Visnu e di adorarLo, così come di eseguire i rituali vedici. Il canto del nome di Krishna è perciò l'unico metodo valido di meditazione, di sacrificio e di adorazione in questo kali yuga. Nama, il Santo Nome, è il mezzo e anche il fine.
Si deve però notare con la massima attenzione che il `nome' di Krishna non è una semplice combinazione o pronuncia di lettere. Una somiglianza verbale e una reale non sono la stessa cosa. La più piccola scintilla di fuoco accesa con o senza consapevolezza, che sia per gioco o per far sul serio, incendierà istantaneamente una sostanza infiammabile, mentre migliaia di lucciole non produrranno lo stesso effetto neanche in migliaia d'anni.
Il Nama di Krishna è identico a Krishna Stesso ed è saturo di tutte le proprietà e di tutti gli attributi di Krishna. Il Suo Nama, perciò, a differenza di tutti gli altri nomi, è pieno di energia, è per­fetto, eterno, puro, privo d'illusione ed eternamente libero.
L'aurora è già sufficiente a dissipare l'oscurità della notte, a far tornare gli animali selvaggi alle loro tane, e ladri e briganti ai loro rifugi. Essa ci fa distinguere i vari oggetti dei sensi e annuncia l'av­vento del luminoso astro del cielo. Similmente il namabhasa, la dizione del Santo Nome evitando le dieci profanazioni, arresta la miseria, distrugge le nostre aspirazioni mondane e disperde l'oscu­rità illusoria, affinché possiamo vedere il Santo Nome faccia a fac­cia.
Il colto letterato Sripada Ragliava Caitanya Prabhu, con le benedizioni del nostro divino maestro 108 Sri Paramahamsa Jagadguru Srila Bhaktisiddhanta Sarasvati Gosvami Maharaja, ha raccolto citazioni da Veda, Upanisad, smrti e scritture autorizzate per compilare questo trattato sul Divino Nome che per il devoto bisognoso è bhakti rasamrta sagar, un nettareo oceano di devozione.
I devoti saranno beneficiati e felici di acquisire una copia di que­sta super spiritualizzata pubblicazione.
I miei sinceri ringraziamenti vanno a tutti coloro che hanno reso possibile la pubblicazione di questo libro anche in lingua italiana.
Possa il divino Signore Sri Krishna benedirli tutti.
Invocando le benedizioni di
Srila Sarasvati Gosvami,
 nostro divino maestro,
Trdandi Bhiksu
Bhakti Vaibhava Puri Maharaja





Guida alla pronuncia delle parole in sanscrito e hindi
Le vocali si pronunciano come in italiano.
Au simile al francese, una via di mezzo au-o; Gauranga = Goranga. Ai diventa invece e-ei; Caitanya = Ceitanya.
Le consonanti come in italiano fuorché       -g-          sempre dura. yoGi = yoGhi
- c - sempre dolce. ArCa = ArCia
J è la g dolce. j iva = giva K è la c dura. Kali = Cali
H all'inizio o nel mezzo indica una leggera aspirazione, a fine parola segnala che la vocale precedente ha come un'eco: jayatah = Giaiata-a.

Abbreviazioni:
Bg - Bhagavad-gita
 Brs - Bhakti-rasamrta-sindhu
 Cc. - Caitanya-caritamrta
 S.Bh. - Srimad Bhagavatam




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Sri Sri Gaura-Niryanandau jayatah
IL DIVINO NOME
teoria e pratica di Mantra-Yoga
con l'ispirante biografia del suo massimo esponente: Haridas Thakur



CAPITOLO 1
Il Divino Nome e la Sua Efficacia
"II nome `Krishna' è più dolce di tutti i più dolci suoni, più propizio delle cose di massimo auspicio, è il frutto mi­gliore dei Veda ed è trascendentale per natura. Questo nome, anche se pronunciato una sola volta, con fede o sen­za fede, libererà chiunque, fosse anche una persona ordi­naria e comune, dai legami mondani." Hari-bhakti-vilasa 11. 451; Padyavali 26; Prabhasa-khanda.
Inesprimibile è la gloria trascendentale del Divino Nome. Chi, sulla faccia della Terra, può valutarne l'efficacia? Quanti libri sono stati scritti su questo argomento e quante anime hanno provato l'emozionante gioia e i meravigliosi bene­fici che da Lui derivano! Quanti sono persino diventati divi­namente folli per il Signore eternamente beato, ascoltando gli ispiranti risultati ottenuti ripetendo il Nama. Sono milioni e milioni coloro che hanno attraversato questo oceano di mise­rie senza fine, riponendo la loro fede nella gloria del Divino Nome. Essa è insondabile come la gloria del Divino Signore stesso.
Per compassione verso i Suoi figli caduti, l'infinitamente misericordioso Signore Si manifesta nel mondo materiale come Divino Nome. Tutti gli Shastra concordano enfatica­mente in modo unanime sull'infinita gloria del Nama.

harer namo harer namo harer namaiva kevalam kalau nastyeva nastyeva nastyeva gatir anyatha (Brhad Naradiya Purana 38.126)
"Nel kali yuga solo il nome di Hari, solo il nome di Hari, solo il nome di Hari e nient'altro, nient'altro, nient'altro, ci può condurre alla nostra meta finale."

Nell'era di Kali Sri Krishna Si manifesta nella forma del Nama. Il mondo intero è liberato con il canto di questo Santo Nome. Nel suddetto sloka il nome di Sri Hari, allo scopo di accentuarLo, è ripetuto per ben tre volte. L'uso del termine eva è usato in questo verso per convincere, con un'asserzione positiva, coloro che ignorano l'efficacia dello Sri Harinama.
Questo concetto è ulteriormente rafforzato con l'aggiunta della parola kevala. Essa ci ragguaglia sulla futilità, in que­st'era di Kali, dei numerosi metodi di pratiche religiose esi­stenti, come la conoscenza, lo yoga, le austerità, il karma, e così via.
La parola nasti, che è un'asserzione negativa, col supporto della parola eva, è stata ripetuta tre volte per indicare che co­loro che non credono nel Santo Nome, mai, mai e poi mai, in nessun caso, otterranno la salvezza.
Che cosa costituisca servizio da offrire al Signore Supre­mo è molto difficile da capire. Va ben oltre il ragionamento umano, tarka. Gli shastra dichiarano senza parole ambigue che i metodi da seguire nelle differenti ere variano dall'una all'altra.
"Nel krta yuga o satya yuga c'era un particolare insieme di metodi religiosi da seguire per gli esseri umani, nel treta­yuga questi hanno assunto un'altra forma, il dharma del dvapara yuga è differente rispetto a quello degli altri yuga, e anche il dharma del kali-yuga è di tipo diverso." (Mahabharata).
Il Signore Supremo stesso ha stabilito per ogni era la natu­ra della Sua adorazione e l'ha proclamato per informare tutti. Per questo motivo Egli scende in questo mondo materiale in ognuna delle quattro ere. Stabilire la forma di adorazione ap­propriata per ogni era è un atto divino. La forma di adorazione indicata negli shastra, stabilita dal Signore Supremo per l'attuale era di Kali, è il canto del Santo Nome o nama­sankirtan.
'Quello che si ottiene per mezzo della meditazione su Sri Visnu nel satya yuga, attraverso l'esecuzione di sacrifici religiosi nel treta­yuga e con l'adorazione rituale nel dvapara yuga, in kali yuga può essere ottenuto grazie al semplice canto del Divino Nome." S.Bh. 12.3.52.
Ci sono perciò quattro differenti forme di pratiche spirituali da seguire per le anime durante le quattro differenti ere. Lo scopo di tutte le forme d'adorazione è lo stesso. Ripetere il nome di Hari è il decreto divino, yuga-dharma, stabilito per la presente era.
Quindi, nelle parole degli shastra, l'esecuzione del canto del Nama è l'unico metodo di adorazione adatto per le per­sone del presente kali yuga. Attenendosi a questa legge divi­na si ottiene tutto. Ricorrere al Nama del Signore è l'unico metodo efficace in quest'era, adatto a tutti i tipi di persone impegnate nella ricerca di Dio.
Gli altri metodi, sebbene prescritti negli shastra, non sono efficaci in questo kali yuga. Con altre forme di adorazione non si può ottenere in quest'era una totale liberazione dall'influenza di Maya.
Con questa affermazione gli shastra non sminuiscono af­fatto gli altri metodi: essi hanno un loro posto e una loro utili­tà. Essi possono aiutare l'umanità nel conseguimento di mol­te altre conquiste. Possono renderti il più ricco del mondo, fare di te un grande monarca, un eminente erudito, un leader di grandi masse e permetterti di godere di vari lussi e piaceri.
In quest'oscura era di Kali non è possibile ottenere la realizza­zione della beatitudine trascendentale, prema, verso il Signore Supremo, con nessun altro metodo se non con lo Sri Hari-Nama­Sankirtan.
"Oh re! Sebbene Kali, essendo un ricettacolo di tutte le malvagità, sia condannata come la peggiore di tutte le ere, essa possiede una grande virtù che non si trova nelle altre: in quest'era una persona può ottenere la libertà dai legami mondani e assicurarsi la beatitudine suprema semplicemen­te con il canto di Krishna-nama. Ciò è ottenuto anche se non si segue nessun altro tipo di pratica spirituale." S.Bh. 12.3.51.
La condizione dell'uomo di quest'era è miserevole. In ogni momento egli è schiacciato sotto il tallone di ferro del mate­rialismo imperante. A dispetto di tutti i vari progressi vantati nel campo delle invenzioni scientifiche, a livello caratteriale egli peggiora di giorno in giorno. Tutta la pomposità e l'osten­tazione esibita ogni giorno dall'attuale società ha solamente reso l'uomo uno schiavo dei più triviali oggetti.
L'uomo è diventato una sfortunata vittima di abitudini e circostanze malsane e dannose, con il risultato che sta cercan­do di soddisfare solamente le necessità materiali. Egli si trova nel mezzo di molti bisogni artificiali che promuovono l'egoi­smo e mancano assolutamente delle più nobili caratteristiche dell'umanità.
Il kali yuga è l'era oscura caratterizzata dalla presenza di tutti i peccati, i dispiaceri, i tormenti, le torture, le calamità e le altre sofferenze dello stesso genere. Gli scienziati l'hanno battezzata l'era delle macchine.
La scienza sta facendo rapidi progressi. Nuove invenzio­ni, capaci di abbagliare gli occhi delle persone, si susseguo­no incessanti. Meravigliose e spaventose armi distruttive sono ora tra gli oggetti primari della ricerca umana. Fabbriche e laboratori, varie locomotive moderne, potenti navi a vapore, sottomarini, radio, treni elettrici, telefoni, aerei, telegrafo sen­za fili, film sonori, televisioni, raggi-x, automobili, macchinari per la stampa, grammofoni, bombe atomiche, razzi, luci al neon, molti medicinali di grande efficacia, come la penicillina, ecc. ed una moltitudine di simili invenzioni meravigliose, sono tra le conquiste della scienza.
Orgogliosa di questi pochi trionfi, la scienza si vanta ora di avere conquistato con successo persino la natura, ma ahimè! In realtà essa non ha ancora perforato nemmeno il velo esterno della natura.
I filosofi hanno descritto l'era presente come l'era della libera controversia. La parola controversia è un sinonimo della parola kali. Per questo motivo l'autore dei grandi Purana ha denominato l'era attuale come kali yuga.
La libertà di parola è un aspetto caratteristico della presen­te era. Ciò presuppone numerose filosofie che offrano modi di vedere diametralmente opposti l'uno dall'altro. Aridi di­battiti intellettuali o rivalità irreligiose sono all'ordine del giorno. Persino un profano non esiterebbe a tenere un sermone per strada ad un uditorio pubblico, e ad affrontare una discus­sione inutile e insensata con i migliori esperti del mondo.
Il lascito dell'odio, della gelosia, della malattia e della fame sta aumentando in modo incalcolabile. Kali ha esercitato senza pietà la sua influenza sulla vasta popolazione del mondo.
Tutti i suoi vizi, che scaturiscono dai compagni intimi dell'irreligione, i cinque luoghi in cui dimora Kali, sono se­guiti con piacere dalla gente d'oggi, da giovani e anziani, da persone colte o illetterate, senza alcuna distinzione di sorta.
Lo Srimad Bhagavatam ci presenta i cinque kali sthana, i luoghi in cui risiede Kali:
1) il gioco d'azzardo, in qualunque forma, come il gioco delle carte, persino senza posta in palio, il gioco dei dadi, la speculazione, le scommesse, le corse dei cavalli e via di seguito, ed an­che far commercio nel nome della religione,
2) l'uso e abuso di intossicanti e stimolanti, presi bevendo, fu­mando, masticando, sniffando e via di seguito,
3) la connessione illecita con l'altro sesso o il troppo attac­camento al proprio coniuge,
4) la crudeltà verso gli animali, che include l'abitudine di cibarsi di carne, l'indifferenza verso l'ottenimento del pro­prio interesse spirituale, poiché questa è una crudeltà verso se stessi e il proclamare come verità quello che già si sa che non lo è, consigliando alla gente ogni via e meta, eccetto l'eterno ed emozionante principio della religione e della relazione d'amore con Dio,
5) i modi scorretti di guadagnare ricchezze e di sprecarle profusamente per scopi ispirati al materialismo. Quest'ulti­mo è il peggiore della serie.
Il possesso di ricchezza è spesso la causa originale di molti dei mali che capitano nella vita domestica. Un ricco viene accecato dalle ricchezze e diventa facile preda di ogni sorta di vizio. Senza preoccuparsi gioca d'azzardo, diventa un bevito­re abituale, un fumatore accanito, cade vittima delle passioni sensuali, socializza liberamente con membri dell'altro sesso e si lascia trasportare da loro, a livello morale è una rovina, e per finire, nutrendosi di cibo discutibile e non consacrato, dominato com'è da arroganza, lussuria, odio ed altri infimi tratti umani, attira su di sé la rovina.
Ahimè! I difetti di Kali descritti negli shastra, con riferi­mento ad un lontano futuro, si possono riscontrare persino ora che siamo appena nella parte iniziale. Nonostante questi difetti o inabilità di kali yuga, l'unica buona qualità, che ne controbilancia tutti gli svantaggi, è la meravigliosa effica­cia del canto del Divino Nome del Signore Supremo.
Se considerati attentamente gli esseri umani sono deboli sotto tutti i punti di vista. I loro successi possono anche essere molti nella sfera materiale, ma attraverso i loro sforzi possono ottenere ben poco nella sfera spirituale.
II sentiero della realizzazione divina è molto difficile da percorrere, e i deboli esseri umani non hanno né la forza né la pazienza necessaria per raggiungere la loro meta. L'umanità è travolta ad ogni passo da forti correnti di tentazioni.
L'uomo è spesso risucchiato dal vortice delle avversità, ma tutte le sue sciagure e i suoi ostacoli svaniscono immedia­tamente se è fortunato abbastanza da possedere una cosa: la grazia divina.
Una jiva non può liberarsi dai legami di Maya per mezzo dei suoi sforzi. È solo la grazia dell'amato Signore che può salvare l'uomo dalla schiavitù di Maya.
Come potremmo noi, inorgogliti come siamo dalle vanità del mondo, meritare la grazia divina? La sola via che ci ri­mane tuttora aperta per ottenere la misericordia del Si­gnore è un ardente desiderio, espresso con tutta umiltà, dal più profondo del cuore. Dobbiamo piangere dal fondo del cuore con assoluta sottomissione ai piedi del Signore, al­lora saremo sicuri di essere ascoltati.
Facciamo in modo, noi piccoli uomini, di dimenticare il nostro ego e di sentire la vanità dei piaceri transitori di questo mondo temporaneo. Abbandoniamo tutti gli orgogliosi e vanagloriosi sforzi ed ammettiamo la nostra impotenza. Il Si­gnore misericordioso verrà sicuramente in nostro soccorso.
Non liberò Egli forse una moltitudine di devoti che si arre­sero a Lui, dando loro rifugio eterno? Sì! Certamente Lo fece. I nostri shastra sono pieni di tali gloriosi esempi.
Il canto del Divino Nome è il metodo più efficace per invocare la grazia del Signore.
"Oh re! Per quei devoti che hanno perso tutti i loro attacca­menti alle cose mondane, per coloro che cercano la liberazione dalla paura e dall'afflizione, per quelli che sono desiderosi di go­dere dei vari frutti delle loro azioni ed anche per i saggi soddisfatti in se stessi, atmarama, la sola via certa verso il successo, unanimemente accettata da tutti i saggi del passato, è l'ascol­to, il canto e la meditazione della gloria del Divino Nome di Sri Hari." S.Bh. 2.1.11.
Il Nama di Sri Hari è il solo rifugio per tutti i tipi di perso­ne, per i seguaci del sentiero del karma, del jnana, dello yoga, della tapasya o della bhakti. Per coloro che praticano la devo­zione o bhakti è il fattore determinante, la più grande fonte di ispirazione. Per i devoti che sono avanzati in questo sentiero è la vita stessa, l'oggetto più desiderato, la quintessenza stessa della loro esistenza.
Il Divino Nome si vale di una posizione unica. È sia il mezzo sia il fine. È il più grande benefattore, sia prima che dopo la realizzazione spirituale. Ci rende qualificati a rag­giungere l'obiettivo più elevato, cioè l'Amore Divino, Sri Krishna prema, ed è anche la manifestazione di Sri Krishna prema.
Per quanto abbiamo sentito parlare spesso del Santo Nome, conosciamo però ben poco della sua vera natura.
Il Nama di Krishna è cintamani, Colui che accorda tutti gli oggetti del desiderio. È la personificazione dell'intelli­genza Divina, della beatitudine spirituale estatica, è com­pletamente puro, sempre perfetto, assolutamente libero da qualsiasi natura materiale e completamente identico con la Forma o Svarupa, cioè con Bhagavan stesso.
Nel regno trascendentale non c'è differenza tra il Signore, il Suo Corpo o il Suo Nama. Sono identici sotto ogni aspetto. Il Nama è identico ed equipollente al Signore. Il Nama è come una pietra filosofale, soddisfa tutti i desideri dei Suoi servitori. Non è un oggetto del mondo materiale, e pertanto è comple­tamente al di fuori della sfera dell'approccio sperimentale, e non può essere, inoltre, adulterato da Maya. Per tutto il re­sto, in questo mondo materiale c'è sempre, in ogni caso, una differenza tra un oggetto ed il suo nome, la sua forma, i suoi attributi e le sue azioni.
Sri Krishna Caitanya Mahaprabhu, che inondò l'India intera con il Suo prezioso messaggio di amore divino e di Nama­sankirtan, e che è accettato da tutti come il divulgatore del culto del sankirtan, ne parla così: "Il Nama di Sri Krishna e la Forma trascendentale di Sri Krishna sono identici. Il Nama, la Forma, la Sacra Immagine, sono tutte e tre iden­tiche. Esse sono trascendentali per natura e perciò non c'è alcuna differenza tra di Loro. Il Corpo di Sri Krishna è Sri Krishna Stesso. Nel piano trascendentale non c'è una dif­ferenza categorica tra il Corpo e l'Essere. Ciò si applica anche per quanto riguarda il Nama e la Forma o Svarupa indicata dal Nama." C.c. Madhya-lila 17.130-132.
Il suddetto principio non è applicabile al mondo materiale. Qui la parola `fuoco' è differente dall'oggetto, cioè dal fuoco denotato dal nome. Infatti, per quanto si ripeta la parola `fuo­co' tutte le volte che si vuole, essa non sarà in grado di brucia­re nulla.
Allo stesso modo la parola 'acqua' è differente dall'ogget­to acqua. La ripetizione della parola `acqua' per milioni di volte non riuscirà a dissetare una persona, né servirà a spe­gnere un incendio.
Per quanto riguarda i Santi Nomi del Signore Supremo, invece, la storia è completamente diversa. Il nome `Rama', o il nome `Krishna', non sono in alcun modo differenti dalla Forma Divina che questi Nomi denotano.
L'identità del Nama con la Forma Divina, con Bhagavan stesso, non è un monopolio di una sezione di induisti. È con­validato anche da altre religioni.
Il Cristianesimo, per citare un esempio, afferma: "All'inizio era il Verbo, e il Verbo era con Dio, e il verbo era Dio." Giovanni 1.1
Sri Caitanya Mahaprabhu aggiunge ulteriormente: "Perciò il Nama, il Corpo e i Passatempi di Sri Krishna non possono essere compresi dai sensi umani, perché sono delle verità che si rivelano da sé per il loro splendore." C.c. Madhya-lila 19.134-135.
Nel confermare la precedente affermazione, Sri Rupa Gosvami, nella sua famosa opera Sri Bhakti-rasamrta-sindhu, cita il seguente sloka dal Padma Purana: "I1 Santo Nome, la Forma, le Qualità e i Lila di Krishna sono perciò al di là della comprensione dei sensi umani. Quando una jiva comprende veramente che nella sua natura spirituale è un'eterna servitrice di Bhagavan Sri Krishna, solo allora Nama, For­ma, Qualità e Lila trascendentali si manifesteranno spon­taneamente nei suoi organi di senso spirituali, come la lin­gua, gli occhi, le orecchie e così via. Le Qualità di Sri Krishna, i Suoi passatempi, i tratti caratteristici dei Suoi servitori, essendo eterni, spirituali e pieni di beatitudine trascendentale, non sono comprensibili dalle forme, dai piaceri, dagli odori, dai suoni e dal tatto materiali delle anime cadute, schiave come sono delle tre qualità di sattva, raja e tama."
La gloria del Nama trascendentale e la Sua pratica è stata esem­plificata in modo ispirante nella vita di un gran santo che era uno dei devoti più amati da Sri Caitanya Mahaprabhu. La sua meravi­gliosa vita fu la pratica del canto del Santo Nome in forma viva davanti a noi. La sua vita ideale, in questo campo, gli valse il titolo di Namacarya, maestro praticante del canto del Divino Nome. Seguendo attentamente i momenti importanti della sua vita possia­mo trarre piena illuminazione fin nei minimi dettagli sul soggetto finora trattato.
Stabilire il dovere divino per quest'era di Kali, il Nama­Sankirtan, era uno dei propositi dell'avvento di Sri Caitanya Mahaprabhu in questo mondo. Sebbene fosse la sorgente ispiratrice nelle attività di tutti i Suoi devoti, Egli realizzò molti dei Suoi scopi attraverso l'intervento dei Suoi rappresentanti favoriti. Attraverso la vita di Namacarya Sri Haridas Thakur, Egli insegnò al mondo le glorie trascendentali del Divino Nome, il modo di praticarLo e la realizzazione finale di tali pratiche.
La vita ideale e gli insegnamenti dei santi sono una preziosa eredità per guidare i destini degli uomini e per ispirarli nella loro marcia verso il raggiungimento della beatitudine divina. Noi tutti sappiamo che le vite dei grandi uomini si portano dietro un'influen­za magnetica dalla quale spesso non riusciamo a sfuggire.
Sul piano mondano, così come su quello spirituale, le vite delle grandi personalità, le difficoltà e i sacrifici non egoistici che dovet­tero affrontare per le loro rispettive cause, generano nella mente degli uomini un impeto ad imitarle.
L'India è inondata dalle biografie di molte eminenti perso­nalità che hanno raggiunto la grandezza nelle sfere fisiche e intellettuali. Queste biografie in un modo o nell'altro non aiu­tano però l'umanità a raggiungere la pace e la felicità, così come non riescono a fermare la discordia e il caos che sono in continuo aumento. Senza le vite e gli insegnamenti delle persone sante, i raggiungimenti dell'umanità devono essere con­siderati davvero molto miseri. I Bhakta, o santi che amano Dio, che discendono e agiscono in questo mondo senza alcu­na motivazione egoistica, ma solo per il bene dell'umanità, non sono altro che i rappresentanti del Signore, da Lui delega­ti con il chiaro intento di rigenerare e risollevare tutte le anime cadute. Thakur Haridas, un famoso devoto di Sri Caitanya Mahaprabhu, occupa una posizione di prestigio nella lunga lista di devoti che l'India può vantare.




CAPITOLO 2
NAMACARYA
SRI HARIDAS THAKUR
Questo grande devoto apparve in questo mondo nel villag­gio di Budhan, distretto di Jessore, nel Bengala orientale, ver­so la metà circa del XV secolo. È stato stabilito in modo approssimativo che egli apparve trenta-trentacinque anni pri­ma dell'avvento di Sri Gauranga Mahaprabhu.
È nato in una famiglia musulmana, e non ci sono documentazioni autentiche riguardanti il suo passato, i geni­tori, l'infanzia, l'istruzione e dati simili.
Noi lo conosciamo con il nome di Haridas, che letteral­mente significa `un servitore di Sri Hari'. Il titolo onorifico `Thakur', a cui si trova spesso abbinato il suo nome, indica `grande personalità'.
Sebbene fosse nato in una famiglia musulmana, egli pos­sedeva un'inspiegabile inclinazione per il canto dei Santi Nomi di Sri Hari. Violando così le regole della società musulmana, egli ripeteva incessantemente il nome di Sri Hari, che sentiva come il solo sostegno della sua vita.
Perduto sin da giovane ogni attaccamento per la vita mondana, Haridas abbandonò il villaggio natale per recarsi a Benapol, nello stesso distretto, dove scelse residenza in una capanna solitaria nel mezzo di una foresta. Egli passava tutto il suo tempo ripetendo a voce alta il Nama di Sri Krishna.
Il Tarak-Brahma-Nama, una formula composta da sedici Nama del Signore e formata da trentadue sillabe, fu quella che Haridas adottò per il suo canto abituale. Ciò era senza dubbio una grave violazione dal punto di vista del suo ordine sociale, ma il santo Haridas, di ampie vedute, non si lasciò mai guidare da tali ristretti sentimenti settari. Vivendo di ele­mosine, continuò a risiedere a Benapol, nella stessa capanna solitaria, ricorrendo alla ripetizione ad alta voce del Divino Nome di Sri Hari.
Pur essendo un santo genuino, il grande Haridas non poté sfuggire al criticismo sarcastico e alla diffamazione di certa gente del luogo. Le loro azioni ed espressioni erano tali che si è forzati a credere che persone così nascano in questo mondo solo a quello scopo. La semplice vista di Haridas accendeva la collera nei loro cuori, che ardevano con violenti fiamme.
Una parte maligna della società indù si mostrò tenacemen­te ostile a questo gran santo. Il suo modo di vivere semplice e modesto, unito ad un'estrema sincerità e a una devozione fis­sa, non smosse per nulla i cuori di granito dei suoi oppositori. Egli dovette affrontare innumerevoli tipi d'opposizione così come gli toccò tollerare pazientemente il veemente criticismo. Le sue qualità non riuscirono per niente a migliorare la situazione, anzi stimolarono al massimo le propensioni demoniache dei suoi oppositori.
Per quelli dal cuore puro, le persone semplici e devote, Haridas era invece una sorgente inesauribile d'ispirazione spi­rituale. Essi erano felicissimi di vedere la sua devozione sen­za pari e si sentivano enormemente benedetti dalla presenza tra di loro di un tale devoto del Signore. Tuttavia, né i raggiungimenti devozionali di Haridas, né gli umili suggeri­menti delle persone religiose del luogo, riuscirono a migliorare l'attitudine ostile della frangia di scalmanati. Gli impulsi maligni e le allusioni maliziose, al contrario, aumentarono.
Haridas era allo stesso livello, anzi, molto più forte di tutte queste forze messe insieme. Le loro attività non disturbavano neanche minimamente il suo incrollabile e spontaneo attac­camento per il Signore e il Suo servizio. Non cadde per niente vittima di questi elementi irreligiosi e antisociali. Egli adora­va la sacra Tulasi, ripeteva quotidianamente, tra giorno e not­te. Trecentomila volte il Nama del Signore e si nutriva di cibo cucinato nelle case dei brahmana, ottenuto mendicando.
Tutti gli abitanti virtuosi del villaggio stimavano Haridas come un gran santo. Essi erano molto impressionati dai vari segni di devozione, ai quali non avevano mai assistito prima, e dal suo straordinario amore per il Santo Nome. Egli si gua­dagnò in poco tempo una gran popolarità tra la gente del luo­go. La sua reputazione si diffuse man mano anche nei dintor­ni. La gente veniva a riunirsi lì da diversi luoghi lontani per poter vedere il santo. Gli rendevano vari tipi di servizio e cercavano di seguire le sue ispiranti istruzioni.
I nemici di Haridas non potevano proprio tollerare la cre­scente influenza che egli guadagnava giorno dopo giorno. Tra di essi, Ramacandra Khan, un caporione indù locale, era il più accanito. Egli si era insuperbito con le vanità di ricchezza e di seguaci. Era un ateo intransigente che nutriva un odio terribile per la devozione ed era anche il noto capo di un gruppo di scettici. Egli divenne terribilmente geloso di Haridas e della sua buona reputazione nel villaggio e nei dintorni. Vo­lendo gettare discredito sul nobile carattere del grande Haridas escogitò vari piani. Si mostrò davvero persistente, compor­tandosi come un serpente velenoso schiacciato dal piede.
Persa rapidamente tutta la sua pazienza, non riuscì a sentirsi più a suo agio: doveva assolutamente fare qualcosa di schiacciante per screditare Haridas. Ramacandra Khan non avrebbe esitato a commettere l'azione più vile pur di scredi­tarlo. Cospirò quindi con i suoi perversi amici e decise di realizzare un certo piano che avrebbe sbalzato Haridas dalla posizione di prestigio che occupava.
In quanto gran devoto, Haridas era un esempio vivente di tutte le eccellenti virtù.
Persino il critico più negativo non sarebbe riuscito a trova­re un punto debole nel suo carattere. Ramacandra Khan lo sapeva molto bene. Pensava tuttavia di poter screditare Haridas davanti ai suoi ammiratori. Sfortunatamente per lui, egli pre­se Haridas per un semplice principiante nel campo della de­vozione, per un emotivo dalla mente debole che poteva di­ventare facile vittima delle tentazioni del mondo. Inorgoglito dalle vanità di ricchezza, gioventù e rango, egli non compren­deva le meravigliose glorie dei devoti di Sri Hari.
Nutrendo piena fede nel piano che aveva appena escogitato, Ramacandra Khan si rivolse alle migliori prostitute della zona e chiese loro di rovinare la reputazione di Haridas. Egli pro­mise loro in cambio immense ricchezze. Tutte, eccetto una, declinarono l'offerta e si ritirarono. Quella che osò accettare l'offerta, una giovane la cui bellezza eclissava tutte le altre, lo rassicurò che avrebbe rovinato la reputazione di Haridas nel giro di tre giorni. Ramacandra Khan era fuori di sé dalla gio­ia. Aspettava con grande impazienza il momento del suo suc­cesso ormai imminente e offrì da parte sua ogni tipo di aiuto in suo potere alla giovane donna.
Cercò anche di convincere la prostituta a farsi accompa­gnare da una guardia armata, cosicché Haridas potesse essere preso in flagrante. La giovane però rifiutò la proposta affermando che prima sarebbe andata da sola e, dopo aver ottenu­to la vittoria su Haridas, avrebbe portato la guardia per cattu­rarlo durante la sua successiva visita.
Ramacandra Khan, che desiderava a tutti i costi la rovina di Haridas, accettò di buon grado il piano della prostituta e la lasciò fare a modo suo, rimanendosene assorto a rimuginare i suoi fantasiosi piani.
La giovane prostituta, tentata dall'enorme offerta di Ramacandra Khan, iniziò la sua avventura. Indossato uno dei suoi migliori abiti, si diresse verso la capanna solitaria di Haridas. Era un'ora opportuna per lei, il sole stava calando sull'orizzonte occidentale. La capanna solitaria di Haridas, circondata dalla foresta e dall'oscurità che avanzava, appari­va più solitaria che mai. Una calma straordinaria, sovraccari­ca d'atmosfera celestiale, regnava dentro e fuori della capan­na Haridas, da parte sua, era completamente smarrito nei vor­tici della beatitudine trascendentale. Egli cantava incessante­mente il Divino Nome con profonda concentrazione. Non c'è bisogno di menzionare che aveva completamente perso ogni consapevolezza esteriore.
La giovane prostituta, che nonostante la sua professione non era totalmente digiuna sull'etichetta da osservare in pre­senza delle persone sante, appena giunta offrì innanzitutto i suoi omaggi alla sacra Tulasi che cresceva di fronte alla ca­panna. S'inchinò anche davanti a Haridas e poi rimase lì in piedi per un po'. Infine si sedette lentamente sulla soglia della capanna e cominciò ad esibire il suo corpo a Haridas con vari gesti e pose, come chi è reso folle dalle passioni sensuali. Fece certamente del suo meglio per prendere nella rete dei suoi desideri lussuriosi il giovane santo.
Per finire gli fece questa richiesta: "Oh santo signore! Tu sei un miracolo di bellezza, e, come se non bastasse, nel pieno rigoglio della giovinezza. Dov'è la donna che può resistere alla passione vedendoti? Credo proprio che nessuna donna al mondo possa riuscirci. Io sono rimasta smodatamente schia­va delle passioni alla vista della tua attraente figura. Ho perso ogni controllo. Se non mi accetti, sarà impossibile per me con­tinuare a vivere."
Haridas non la deluse del tutto. Egli aveva, per volontà divina, i suoi piani pronti per lei. Le disse: "Accetterò, stanne certa, la tua richiesta, però prima di completare il mio numero prescritto di Santi Nomi da cantare non sarò in grado di soddisfarti. Nel frattempo rimani pure seduta qui e ascolta. Ap­pena terminerò la mia quota fissa di Nama soddisferò il tuo desiderio."
La giovane donna si sentì molto soddisfatta. Presentiva che i suoi sforzi sarebbero stati ben presto coronati da successo. Rimase quindi in attesa, ascoltando Haridas che continuava imperturbabile il suo sankirtan, il canto dei Santi Nomi. Aspet­tò, ascoltando, fino al giorno seguente.
Il mattino si avvicinava, ma lei poteva rendersi conto che il canto non sarebbe affatto finito presto, così, al nascere del nuovo giorno si avviò a casa alquanto delusa.
Ragguagliò il suo mandante sull'incontro con Haridas e lo rassicurò che le sue richieste sarebbero state certamente sod­disfatte la notte seguente. Per Ramacandra Khan queste paro­le erano un'oasi di speranza e la giovane prostituta aspettò la prossima opportunità.
Quella sera, guidata da fresche speranze di successo, la giovane donna si avviò di nuovo verso la capanna solitaria di Haridas. Arrivò sul posto appena dopo il tramonto. Come il giorno precedente, dopo essersi inchinata davanti a Tulasi e a Haridas, gli si avvicinò.
Haridas la consolò con dolci parole, dicendole: "Ieri te ne sei andata delusa; ti prego, non essere irritata con me. Imman­cabilmente ti accetterò. Non avere il minimo dubbio a questo proposito. Rimani ad ascoltare finché non avrò finito il mio numero prescritto di Santi Nomi. Non appena lo completo, il tuo desiderio sarà soddisfatto".
La donna seguì l'istruzione di Haridas. Il tempo passava rapidamente e man mano che l'alba si andava avvicinando lei si dimostrava sempre più impaziente. Divenne irrequieta.
Notando la sua spazientita attitudine, Haridas gentilmente le parlò in questo modo: "Ho fatto un voto di cantare dieci milioni di volte i Santi Nomi del Signore durante questo mese. Sto quasi per concludere il numero prefissato. Credevo di poter finire stanotte, perciò ho cantato ininterrottamente, ma non ce l'ho fatta. Prima di domani mattina, ne sono ormai sicuro, riuscirò a concludere, adempiendo così al mio voto, e allora potrò godere liberamente della tua compagnia."
Anche stavolta la giovane prostituta se ne andò all'alba senza essere stata soddisfatta. Riferì tutto a Ramacandra Khan, informandolo della confidenza che Haridas le aveva fatto.
Con rinnovato entusiasmo, piena di speranze nel successo del suo piano, la prostituta raggiunse anche quella sera la ca­panna solitaria di Haridas. Come i due giorni precedenti, s'in­chinò davanti a Tulasi e a Haridas. Si sedette all'entrata della capanna ascoltando il canto del Nama e cominciò a ripeterlo tra sé e sé anche lei.
Haridas confermò le precedenti rassicurazioni e le assicu­rò che avrebbe definitivamente completato il numero stabilito quella notte stessa, soddisfacendola poi nel suo desiderio. Felice d'essere prossima alla realizzazione del suo piano, quel­la notte ripeteva anche lei il Nama.
Quale incredibile cambiamento! Miracolo o sogno? Cantando il Divino Nome in santa compagnia, il cuore pec­caminoso della giovane donna ne uscì completamente trasfor­mato.
Buttandosi ai piedi di Haridas gli confessò apertamente il piano malvagio di Ramacandra Khan. La giovane disse: "Sono la peggiore tra tutti i peccatori. Essendo una prostituta di pro­fessione, non c'è peccato che non abbia commesso. Ora pos­so capire che non sei una persona ordinaria. Tu sei un gioiello tra i devoti del Signore. Spinta dalle istruzioni peccaminose di quello scellerato di Ramacandra Khan, ho cercato senza vergogna, mettendocela tutta, di contaminare il tuo cuore pieno di devozione. Per tre notti consecutive ho insistito nel mio proposito. La tua natura eternamente devota e priva di mac­chia ha fatto miracoli nel mio cuore peccaminoso. Cantando il Nama in tua compagnia, tutte le mie propensioni malvagie sono state completamente distrutte. Ora abbi pietà di questa spregevole persona. Ti prego, libera questa peccatrice da que­sta condizione deplorevole."
Haridas era sempre gentile e ben disposto verso tutte le anime cadute. L'improvvisa metamorfosi di quella giovane prostituta, e le sue parole di sincero pentimento, impietosiro­no il suo cuore misericordioso. Egli non aveva pensato nem­meno per un istante alle odiose attività della giovane donna.
La perdonò completamente e le disse: "Sono perfettamen­te consapevole dei piani malvagi di Ramacandra Khan. Egli non sa quello che fa. Da parte mia gli auguro ogni bene. È stato solo per tuo beneficio che ho continuato a rimanere in questo villaggio durante questi tre giorni. Altrimenti avrei la­sciato questo posto il primo giorno stesso."
La giovane che stava ora dinanzi ad Haridas era una perso­na completamente cambiata. Non era lì per soddisfare le sue passioni malvagie. Non vedeva più in Haridas una persona che avrebbe soddisfatto i suoi appetiti sensuali; al contrario, vedeva in lui la sua guida spirituale, il suo salvatore dalla schia­vitù di Maya, il solo vero sostegno della sua vita.
Lei lo supplicò in tutta umiltà di illuminarla sul come su­perare le miserie di questa vita transitoria. A questo punto si era dimostrata una degna aspirante per l'illuminazione spiri­tuale. Haridas era pienamente convinto della sua idoneità ad essere iniziata ai segreti della devozione. Le disse: "Distribu­isci liberamente ai brahmana tutta la tua ricchezza. Rimani in questa capanna. Canta costantemente il Nama e adora la sa­cra pianta Tulasi. In breve tempo, ne sono sicuro, otterrai i piedi di loto di Sri Krishna."
Il misericordioso Haridas la iniziò allora al Divino Nome. Poi, ripetendo il Nama del Signore, abbandonò per sempre quel posto.
Possa Haridas, il cui cuore era sempre dedito a bere inten­samente il nettare del Divino Nome, essere glorificato! Che tutte le lodi siano rivolte a lui che, nonostante i ripetuti sforzi della giovane prostituta, non cadde vittima dei desideri lussuriosi, ma rimase stabile come una montagna, dedito alle sue attività in modo indisturbato.
C'è un'immensa differenza tra un genuino devoto del Si­gnore e una persona ordinaria. Sono due poli opposti. Coloro che stanno camminando sul sentiero della devozione, sempre impegnati nel canto del Nama del Signore, non cadono vitti­ma del peccato, persino quando i peccati li circondano. Essi sono ben oltre l'influenza delle varie tentazioni, per quanto queste possano essere irresistibili per gli altri.
La giovane donna che diventò la beneficiaria della miseri­cordia senza causa di Haridas obbedì alle istruzioni del suo guru fino all'ultima parola. Grazie alla misericordia infinita del suo maestro poté capire la vera posizione, in questo mondo mutevole, di bellezza, ricchezza, ecc. ecc.
Addio beatitudine terrena!
Questo mondo insicuro è;
Amabili sono le gioie lussuriose della vita;
La morte convalida che son solo giocattoli.
Oh ricchi! Non fidatevi della ricchezza.
L'oro non può comprarvi la salute;
La stessa scienza medica deve languire;
Tutte le cose son fatte per finire.
La bellezza non è altro che un fiore,
Che le rughe divoreranno;
Lo splendore cade dall'aria;
Le regine sono morte giovani e belle.
                                              (Nashe)

Senza la minima esitazione lei soddisfò i desideri della sua guida eterna. Tutta la sua ricchezza fu distribuita ai brahmana. Nonostante la giovane età e l'avvenenza fisica, si rasò la te­sta, si coprì d'un solo pezzo di stoffa e rimase nella capanna che le aveva offerto Haridas, il suo misericordioso maestro. Obbedendo all'ordine del suo salvatore, ripeteva trecentomila Santi Nomi nell'arco di un giorno e una notte. Tutti i giorni, inoltre, adorava immancabilmente Tulasi. Evitava vivande deliziose, era pienamente soddisfatta con del cibo non cuci­nato, ricorrendo spesso al digiuno. Questi metodi l'aiutarono considerevolmente nell'ottenere, in breve tempo, un perfetto controllo su tutti i sensi. L'amore puro per Bhagavan andò così germogliando nel suo cuore man mano che si purificava.
Con gran sorpresa di tutti diventò una famosa devota del Signore, ottenendo la posizione di maestro spirituale. La sua reputazione si diffuse ovunque come una potente esplosione. Eminenti devoti, provenienti da diversi luoghi, visitarono spes­so il suo ritiro per vederla anche solo per un momento. C.c. Antya-lila 3.138-141.
Gli abitanti dei villaggi vicini erano veramente sbalorditi dalle meravigliose qualità di Haridas, che rese possibile una miracolosa trasformazione nella vita di una semplice prosti­tuta dedita ad attività peccaminose. Quelle stesse persone che prima la odiavano, ora sentivano che era un gran privilegio incontrarla.
Quale meraviglia! Colei che fino a poco prima era la causa della caduta di molte persone e il ricettacolo di svariate follie, ora era in grado di liberare gli altri dalle terribili prese dei vizi e portarli ad un piano di perfetta purezza: il piano eterno del trascendentale servizio al Signore Supremo. Tutto ciò fu possibile grazie alla misericordia di Haridas. Le persone si inchinavano con gran rispetto ogniqualvolta parlavano di lui.
Nel frattempo, Ramacandra Khan, che continuava con i suoi castelli in aria, dovette fare i conti con un'amara delusio­ne. Dovette pagare un prezzo altissimo per il crimine che aveva commesso. Il suo cuore crudele diventò sempre più malva­gio e l'odio verso il Signore e i Suoi devoti aumentò ancora di più, finché non si tirò addosso una terribile catastrofe. Arrivò a commettere un'altra offesa imperdonabile, stavolta nei confronti di Sri Nityananda Prabhu, l'eterno compagno di Sri Caitanya Mahaprabhu. Tutti gli intrighi di Ramacandra Khan gli ricaddero addosso d'un sol colpo. Le sue azioni offensive lo resero un incorreggibile arrogante. Smise così di pagare regolarmente le tasse. Il governatore musulmano si sentì allo­ra offeso e fece irruzione nella sua casa, insediandosi nel Durga Mandapa. Il posto si contaminò per l'uccisione, lì stesso, di animali che vi venivano poi anche cotti. Il governatore rimase lì col suo seguito per tre giorni. Ramacandra Khan fu fatto prigioniero insieme a tutti i membri della sua famiglia. Tutte le sue proprietà furono saccheggiate, villaggio incluso, ed egli fu forzato a prendere del cibo ripugnante, consistente di san­gue e carne animale. Ramacandra Khan perse così la sua ca­sta, le ricchezze, i congiunti e tutto ciò che di suo possedeva.
Le offese commesse nei confronti dei devoti del Signore non vengono perdonate neanche da Bhagavan Stesso. Esse sono il peggior impedimento sul sentiero della comprensione divina. Le offese contro i bhakta portano con sé molteplici sofferenze, non solo alla persona responsabile, ma persino a molti altri. Oltre a tutto ciò comportano anche la completa distruzione del luogo, cioè del villaggio o della città.
II fatto sopra riportato, riguardante la conversione di quel­la giovane donna di pessima reputazione alla posizione di istruttore spirituale, ha in sé molte lezioni da insegnarci. Pri­ma di tutto conferma la gloria del Divino Nome. La ripetizione del Nama può liberare persino il peggiore dei peccatori. Il canto del Nama la liberò da tutti i peccati e fece nascere in lei un vero pentimento per le sue precedenti attività peccamino­se. Successivamente risvegliò in lei un desiderio intenso di prendere rifugio nel canto del Nama, cosa che in breve la fa­vorì con l'esperienza del rapimento spirituale e della realizza­zione divina.
La giovane donna ci appare all'inizio con un pesante carico di peccati. Può benissimo essere paragonata a qualsiasi persona del mondo d'oggi.
Una innaturale bramosia per i soldi e una disgustosa ten­denza a soddisfare le voglie dei sensi si possono generalmen­te notare in quasi tutte le persone oggigiorno.
Nonostante la sua follia per ricchezza e passioni, lei aveva però una buona qualità, che le sue amiche della stessa profes­sione o persino molti cosiddetti moralisti di questo mondo non possiedono. Quella era la sua vera risorsa. Aveva un istin­to naturale innato a rispettare i sadhu e la sacra pianta di Tulasi. Lo possiamo capire da come si comportava con Haridas.
Il concetto di moralità e immoralità, com'è inteso dalle persone del mondo materiale, dev'essere completamente e favorevolmente modellato a beneficio del proprio progresso spirituale. L'estremismo, nell'uno come nell'altro caso, ci può portare solamente ad un completo fallimento sul sentiero spi­rituale.
La donna della nostra storia non avvicinò Haridas spinta da desiderio di discussione filosofica. Non aveva proprio nul­la del dotto studioso. Non fu neppure convinta né convertita per mezzo di dispute o da un'esibizione di miracoli o di poteri soprannaturali. Il suo emendamento fu operato grazie al sem­plice metodo dell'ascolto e della ripetizione del Santo Nome. La sua naturale disposizione ricettiva completò l'opera.
Un aspirante alla vita spirituale deve possedere un istinto naturale a rispettare i sadhu e ciò che è legato alla devozione. Non deve mai per nessuna ragione sottovalutare nessun detta­glio. Bisogna essere preparati a seguire con fede e reverenza le istruzioni dei sadhu. Questo è ciò che viene definito sraddha o fede. La vera fede è il risultato della propria precedente in­consapevole associazione con i veri devoti del Signore. È que­sto dono speciale che mette in grado qualcuno di venire in contatto con i sadhu e le loro commoventi parole. Ciò è inte­ramente diverso dalla fede cieca. Coloro che possiedono una fede cieca sono raramente attratti dai devoti genuini o dalle loro parole.
Le parole che emanano dalle labbra dei puri devoti non sono suoni materiali, essi sono, al contrario, suoni trascen­dentali, capaci di produrre le esperienze più meravigliose nei cuori di chi ascolta in modo sottomesso.
Un aspirante che desidera seguire il sentiero della realizza­zione spirituale deve ascoltare in modo sottomesso il Santo Nome pronunciato dai sadhu genuini. Dopo aver servito il devoto, si deve accettare da lui il Santo Nome come un suo favore speciale. Si deve poi ripetere Nama in compagnia di persone dedicate a Dio, osservando integralmente tutte le istru­zioni ricevute dal devoto.
Gli attaccamenti al mondo materiale e agli oggetti monda­ni sotto qualsiasi forma si presentino, sono un ostacolo sul sentiero spirituale. Devono essere scartati per completo. Il contatto con essi, in qualsiasi forma, porterà nuovamente spiacevolezza e mortificazioni fisiche. Persino il cibo, i vesti­ti, un alloggio e così via, devono essere rifiutati se offerti da coloro che sono eccessivamente attaccati alle cose terrene.
Bisogna sempre seguire le istruzioni del precettore che ci vengono date per il nostro progresso spirituale. Se non se­guiamo le suddette istruzioni, il nostro progresso sul sentiero spirituale rimane sempre bloccato.



CAPITOLO 3
IL SANTO NOME DEL SIGNORE
LA PANACEA DIVINA
Dopo aver ascoltato alcuni meravigliosi effetti del Divino Nome, ricorriamo spesso al canto del Nama trascurando le importanti istruzioni come se fossero dettagli di poco conto.
Dalla nostra esperienza pratica in questo mondo vediamo che la gente, nonostante l'esibizione di pratiche religiose come il canto del Nama, e così via, manca dei principi elementari della religione, che dire dei raggiungimenti più elevati.
I modelli di vita sociale si sono dimostrati altrettanti ostacoli nel ravvivare la fede in Dio e nel Suo Nome.
Il sistema di trattamento medico insiste affinché il pazien­te segua rigidamente le istruzioni del dottore, prendendo in considerazione tanto le medicine che la dieta. Il Santo Nome è la medicina divina che ci salva dalla malattia cronica della mondanità. È indispensabile perciò cantare il Nama osservando attentamente tutte le istruzioni degli shastra.
Sri Kulasekhara Alvar, uno dei famosi santi antichi del sud dell'India, e importante esponente della bhakti, nella sua po­polare opera devozionale, Sri Mukunda-stotra, dice:
"Oh mente! Perché mi istighi a correr dietro a varie medi­cine, quando ne hai una molto potente, proprio di fronte a te, dai risultati sbalorditivi? Hai mai pensato ad essa anche solo per un momento? La tua follia e irrequietezza sono proverbiali. I fastidi che spesso crei agli asceti, e le disdicevoli sofferenze che causi loro, sono perciò innumerevoli e rovinosi. Hai con­quistato facilmente gli esseri umani ordinari con il tuo impulso biforcuto, cioè sankalpa (formare idee) e vikalpa (dissol­verle). Solo il Signore onnipotente sa quando saranno liberati dalle celle della tua prigione fortificata. Nella creazione del Signore non so a che cosa appropriatamente paragonarti. For­se ad una cavalletta che non si posa mai in un posto, che con­tinua a saltellare a più non posso, o ad una scimmia arrabbiata morsa da uno scorpione. Sei veramente incomparabile!"
Non affermò forse il grande Arjuna, nella Bhagavad-gita 6.34, a nome del mondo intero: "Oh Krishna! Vuoi che con­trolli la mente, ma come posso farlo? E così agitata, impetuo­sa, insolente e risoluta che controllarla è così difficile come controllare il vento."
Anche Bhagavan Sri Krishna è d'accordo con le afferma­zioni del Suo devoto Arjuna, sostenendole con straordinari complimenti: "Oh Arjuna dalle braccia potenti! Hai perfetta­mente ragione. Puoi conquistare facilmente molti tuoi nemici con la forza delle tue braccia, ma questa mente agitata è diffi­cile da conquistare." Bg 6.35.
"Gran parte delle persone possono ignorare le tue attività malvagie, oh mente, ma sanno che tu sei il peggior nemico dell'umanità che si sforza sul sentiero della realizzazione spi­rituale. Oh mente! Tu sei il peggiore nemico di coloro che indulgono frequentemente negli oggetti transitori; ma tu sei anche il migliore amico di quelle poche fortunate anime che ricordano costantemente il Signore beato. Con quale arte hai sviato le povere anime dimentiche con le tue false e furbesche argomentazioni! Ora ho capito le tue inclinazioni malvagie. Grazie, grazie mio degno amico, per la lezione che mi hai impartito! Spero di non soddisfare mai più i tuoi capricci e le tue fantasticherie, e per il presente basta con i tuoi suggerimenti a questo proposito. Ora, bevi questa medicina divina, il Santo Nome del Signore, senza trovare altre scuse. Tu sei molto abile nell'elaborare scuse con le tue discussioni e speculazio­ni fuori del comune, e nel causare una caduta dalla giusta attitudine di devozione. Non proporre nessuna di tali speciose suppliche come il suggerimento della pratica di altri metodi, quali ascetismo, karma, jnana, rinuncia, penitenza e via di seguito. Essi non sono minimamente simili a questo elisir: non possiedono né così tante virtù come il Divino Nome, né sono altrettanto efficaci e semplici. Inizia immediatamente questo tipo di trattamento, senza nessuna esitazione e ne rac­coglierai i meravigliosi effetti. `Sono i fatti che contano'."
Il Divino Nome è il più potente rimedio per liberare una persona dalle sinistre influenze di infatuazione e ignoranza. Qualsiasi anima che ha dimenticato il Signore Supremo è, senza eccezione alcuna, sotto l'incantesimo di questo nemico chiamato ignoranza. Essendone caduta vittima, la sfortunata anima s'identifica con il corpo materiale e le relazioni che la circondano. Essa dimentica la sua vera natura e la sua relazio­ne originale con il Signore misericordioso, l'anima di tutte le anime.
Facendo ricorso al canto costante del Divino Nome, una persona diventa qualificata ad avere la grazia del Signore, ciò si dimostra con l'immediata redenzione dalla schiavitù dell'infatuazione, moha, che è la nostra falsa identificazione. È solo la grazia divina, o Bhagavat prasada, che può salvarci da questa condizione degradata.
"Oh Acyuta! Per Tua grazia la mia illusione è completa­mente svanita." Bg 18.73.
La grazia divina aiuta la fissa concentrazione della mente sull'Assoluto, distruggendo completamente tutte le propen­sioni malvagie come l'irresolutezza e la caparbietà.
È una medicina meravigliosa che elimina tutti i fattori opposti, esteriori ed interiori. Nella nostra lotta spirituale siamo assaliti ovunque da ostacoli, dal di dentro e dal di fuori, e a meno che non siamo liberi da tutti questi ostacoli, l'avanza­mento verso il nostro obiettivo è fuori questione. Il modo mi­gliore, e il più semplice, per eliminare tutti questi ostacoli è prendere questo divino rimedio. È la migliore sostanza, di­sponibile nell'infinito numero di universi, per ringiovanire. Non solo libera l'anima prigioniera della materia dal più de­plorevole labirinto dell'estrema mondanità, ma la ravviva e la spiritualizza con nuova vita.
Dal livello più basso di devozione, su su fino alla più ele­vata comprensione del Divino e dei costanti servizi resiGli con amore, nessun altro processo è così efficace e favorevole per il devoto come questa medicina divina che è esente da tutti i rischi e da tutte le restrizioni. È il metodo migliore e più facile, e qualsiasi devoto, anche nelle condizioni fisiche più insopportabili di salute e di clima, può adottarlo per l'ottenimento dello scopo della sua vita.
Un neofita lo preferisce ad ogni altro metodo per le spe­ciali caratteristiche attraenti, per il modo di vedere che tutti li concilia e per la facile accessibilità. Un'anima avan­zata, o una persona spiritualmente realizzata, lo vede come l'essenza della sua vita, o meglio, come l'aspetto vitale.
Questa divina medicina attacca proprio alla radice della terribile sofferenza di questo ciclo perpetuo di nascite e mor­ti. Il movimento di questa ruota della mondanità, frenetica­mente impegnata nel suo ciclo abituale di nascite e morti, sta mantenendo una velocità allarmante. Nessun mortale può ar­restarne il movimento.
"Chi è nato è destinato a morire e viceversa. Tutti devono morire." Bg 2.27.
"Oh grande eroe! Per coloro che hanno preso nascita, an­che la morte è stata fissata insieme al loro corpo. Sia che si presenti in questo momento o alla fine di un secolo, la morte è davvero un fenomeno certo e inevitabile." S.Bh. 10.1.38. Poiché deve venire, la morte viene per tutti!
Per quanto il mondo sia inondato d'invenzioni meraviglio­se, non ce n'è una finora, inventata da qualche genio umano, per fermare questo spiacevole movimento ciclico che ruota incessantemente. Grazie alle loro meravigliose invenzioni, gli scienziati si possono vantare di aver conquistato la natura stes­sa, ma è una semplice vanteria, un farfugliare infantile.
Ha forse la scienza moderna risolto fosse anche uno solo dei problemi che ci lasciano perplessi, e con cui l'umanità ha a che fare sin da tempo immemorabile?
Ha il cervello umano inventato un qualche dispositivo at­traverso il quale è possibile sapere con esattezza il momento e le circostanze in cui una persona dovrà separarsi dai suoi co­siddetti amici e parenti stretti?
Ahimè! Molti potenti cervelli, cui vennero attribuite in­venzioni o scoperte sbalorditive, andarono incontro ad una tragica fine in condizioni ignote che sfortunatamente non riu­scirono a prevedere.
L'unica possibilità di arrestare questi eventi dipende dal Signore onnipotente. Il credito va solo a Lui, e a nessun altro. Non di certo a qualche anima condizionata orgoglio­sa, che per pura insensatezza si sente un rivale, e perciò un avversario del grande Signore.
Oltretutto, Hari-nama è l'unica medicina capace, in que­st'era oscura, di aiutare a raggiungere il bene eterno, il summum bonum dell'esistenza umana.
Il nome trascendentale sembra simile ad un nome materia­le. Il Santo Nome non è una semplice composizione dell'alfa­beto sanscrito. È pieno di potenzialità mistiche. Attrae chi lo pronuncia e chi l'ascolta.
Questo Divino Nome è la sola ricchezza che si moltiplica quando viene rubata. Ciò non accade con la ricchezza mate­riale, che arricchisce chi ruba impoverendo chi ne viene meno. Il Nama, invece, arricchisce sia chi lo ruba sia la persona da cui viene rubato, e da cui è impartito. Benedice entrambi. Più lo si canta, più ci si sente eccitati a cantarlo, portando il suo salutare e divino contagio ad altri ugualmente fortunati.
Essendo completamente divino, il Nama si manifesta nelle labbra dei Suoi puri devoti. Nella nostra presente condizione nessun altro senso, eccetto le orecchie, ha qualche accesso al Nama. L'ascolto è la prima fase che ci viene prescritta. Infatti, dopo aver offerto un servizio sincero e pieno d'amore ai puri devoti, coloro che ascoltano attentamente il Divino Nome dalle loro labbra, con uno spirito di sottomissione e di onesta inve­stigazione, per saperne sempre di più sul Signore, la sola Ve­rità indipendente, sono i soli ad esser abilitati a realizzare la natura del Divino Nome.
Il Divino Nome non si manifesta a coloro che non servono il Signore Supremo.
L'ascolto appropriato del Nama da un puro devoto abilita a passare al secondo stadio, quello di ripeterlo. Il devoto ti in­coraggia con il Divino Nome, diventa il tuo Guru.
Un vero Guru è colui che conosce per esperienza la Supre­ma Personalità di Dio ed è impegnato esclusivamente al Suo servizio, con parole, attività e pensieri, subordinando tutto il resto a questo. Non deve appartenere necessariamente ad una particolare casta o credo. Cc. Madhya-lila 8.127.
Il guru è il divino intermediario per la manifestazione del Signore Supremo nella forma di suono: il Santo Nome. Solo il guru e nessun altro può impartire il Signore Divino nella for­ma del Suo Nama. Il Santo Nome impartito dal guru genuino, se ripetuto costantemente, ci farà realizzare la vera natura del Nama, cioè il raggiungimento dell'amore trascendentale stes­so, rinforzato dalla realizzazione della sua identità con forma, qualità, passatempi e cosi via.
Poiché l'ambiente circostante si mostrava sfavorevole alle sue pratiche spirituali, Haridas lasciò Benapol per un altro posto. Raggiunse così il villaggio di Candpur che era situato nelle vicinanze di Saptagram-Triveni, nel moderno distretto di Hugly, Bengala occidentale.
Per quanto riguardava la riscossione delle imposte, Saptagram, al quale Candpur e altri villaggi sono attaccati, era sotto la supervisione dei due fratelli Hiranya e Govardhan Majumadar. Essi erano in quel tempo gli esattori fiscali di quella zona posta sotto il regno del Nawab.
Balaram Acarya, il sacerdote di famiglia dei fratelli Majumadar, viveva a Candpur, leggermente ad est della resi­denza dei due fratelli. Balaram era il beneficiario del favore speciale di Haridas e quindi con la più gran cura e devozione lo ospitò nel suo villaggio. Per comodità del suo maestro spi­rituale, Balaram eresse una piccola capanna in un luogo soli­tario. Lì Haridas continuò il canto del Santo Nome, accettan­do cibo dal suo discepolo.
II figlio di Govardhan Majumadar, che in seguito divenne famoso come uno dei devoti particolarmente favoriti di Sri Caitanya Mahaprabhu e uno dei sei Gosvami di Vrndavana, era allora solo un ragazzo che veniva istruito da Balaram.
Mosso dal desiderio di poter vedere un santo, Raghunatha, questo era il nome del ragazzo, era solito visitare Haridas che da parte sua si dimostrava molto misericordioso verso di lui. Krishnadas Kaviraj Gosvami, nella sua Sri Caitanya­caritamrta, afferma che la misericordia di Haridas fu la causa che portò Raghunatha a diventare in seguito il beneficiario della grazia di Sri Caitanya Mahaprabhu.
Un giorno, dopo una serie di inutili tentativi, Balaram riu­scì a convincere Haridas a partecipare ad un incontro nella casa dei due fratelli Majumadar. Essi ricevettero Haridas con gran rispetto, come si addiceva alla sua posizione. Si prostra­rono ai suoi piedi e gli offrirono un seggio speciale.
Oltre ai fratelli, che erano due famosi esperti nella scienza delle scritture, all'incontro partecipavano in gran numero dotti eruditi ed altre importanti celebrità. Tutti i presenti lodarono apertamente Haridas, con vivo piacere dei due fratelli.
Il fatto che Haridas cantasse tutti i giorni trecentomila vol­te i Santi Nomi era ben risaputo, quindi nell'assemblea si ar­rivò ben presto a discutere liberamente le glorie del Nama. Discussione che finì per trasformarsi in piccola controversia.
Alcuni affermavano che la ripetizione del Nama di Bhagavan distrugge ogni peccato, mentre altri sostenevano che, prendendo rifugio nel canto del Nama, tutte le jiva si liberano dai tentacoli della piovra Maya.
Il santo Haridas non si schierò con nessuna delle due opi­nioni. Egli disse semplicemente che questi non sono i risultati principali del canto del Santo Nome di Dio. Il puro amore per i piedi di loto di Bhagavan Sri Krishna è il vero frutto del canto del Divino Nome.
"Chi è costante nel servizio a Sri Krishna (nei modi già enunciati sopra, cioè attraverso l'ascolto, il canto di Hari-nama e così via) sente che il suo cuore si scioglie. Realizzando la qualità dell'amore, il canto del Nama di Sri Krishna glielo fa comprendere e gli fa anche provare nel cuore la beatitudine di prema verso Hari. Il devoto perde allora ogni considerazione per le opinioni della gente, come un posseduto da Sri Krishna, ad intervalli ride, piange, grida, canta e danza." S.Bh. 11.2.40.
La salvezza o la distruzione dei peccati è soltanto un risul­tato secondario del canto del Nama. L'effetto primario del sor­gere del sole è illuminare il mondo, rendendo ogni cosa visi­bile nella sua vera natura, e deliziare tutti accordando loro luce e energia. Casualmente ciò disperde anche l'oscurità. "Che il Santo Nome di Sri Hari, il benefattore del mondo, sia glorificato. Come il sorgere del sole disperde tutta l'oscu­rità, così il Santo Nome, manifestandosi, rimuove tutti i pec­cati del mondo." Sri Bhagavan-nama-kaumudi 1.
Haridas chiese ai pandita presenti di spiegare questo ver­so. Essi insistettero invece che fosse lui stesso a farlo, per beneficio di tutti. Acconsentendo egli lo spiegò come segue.
"Prendiamo il sorgere del sole. È un ottimo esempio per illustrare il nostro punto. Persino prima che il sole sorga al­l'orizzonte orientale, vediamo che tutta l'oscurità lentamente si disperde. II timore di tutti gli elementi malvagi, come ladri, demoni, spiriti maligni e così via, che rendono paurosa la not­te, è completamente rimosso, e con l'apparizione del sole si ottengono anche altri scopi utili. Similmente l'alba o appari­zione del Nama, come suo risultato secondario, disperde tutti i peccati degli aspiranti, e con la piena fioritura del Nama si ottiene un incrollabile amore ai piedi di Sri Krishna. Mukti, la salvezza, è il risultato insignificante che un aspirante può ot­tenere dal semplice pallido riverbero del Nama, ossia da namabhasa. I devoti sinceri del Signore disdegnano questa mukti, anche se viene loro offerta da Sri Krishna in persona."
"Il morente Ajamila, pronunciando il nome di Sri Hari in modo inconsapevole, mentre chiamava suo figlio, poté otte­nere Vaikuntha dhama. Quanto più benefico sarà allora il ri­sultato se il Nama è cantato con fede?" S.Bh. 6.2.41.
"I miei devoti", dice il Signore, "non accettano mai le dif­ferenti forme di liberazione, come il raggiungimento del mio regno, il potere, la ricchezza e la fama simile alla Mia, il pri­vilegio di vivere sempre vicino a Me, persino il favore di di­ventare uno con Me, neanche se glielo offro lo senza riserve. Essi non desiderano nient'altro che renderMi servizio con amore." S.Bh. 3.29.13.
L'esposto di Haridas si scontrò con una protesta. È strano che non una singola opinione, per quanto apprezzabile e convincente possa essere, riesca a sfuggire alla protesta di un cer­to tipo di persone. Persino le più brillanti idee di persone stra­ordinariamente pie e virtuose, trovano la più ostile opposizio­ne in questo mondo, almeno una volta. Nella presente era que­sta abitudine è anzi diventata una norma.
Nella residenza dei fratelli Majumadar viveva un brahmino di nome Gopala Cakravarti, impiegato nel portare i soldi e le lettere al governatore nella sua capitale a Gand. Egli era re­sponsabile di riscuotere le tasse per un ammontare di un mi­lione duecentomila rupie l'anno e consegnarle poi al Nawab. Era di bell'aspetto, nel fiore della giovinezza e ben versato nella conoscenza. Quel giorno si trovava tra i presenti nell'as­semblea riunita per l'occasione. Egli non poteva tollerare le vedute di Haridas. Lo contrariava in particolar modo l'affer­mazione che si potesse ottenere la liberazione con un sempli­ce riflesso offuscato del Nama.
Pervaso da ardente collera non riuscì a trattenersi dal gri­dare: "Dunque, oh saggi, avete ora sentito le asserzioni di que­sto povero sentimentale! La liberazione, che non si può otte­nere neanche con la conoscenza del Brahman dopo milioni di nascite, ora ci viene da lui qui offerta così a buon mercato, con un semplice barlume di Nama!"
Haridas rispose alla critica citando profusamente dagli shastra. Ancora una volta confermò le sue affermazioni con sufficiente enfasi basandosi sull'autorità delle scritture, con piena soddisfazione dell'intero uditorio. Eccetto, naturalmente, di questo giovane arrogante: un insignificante polemista.
Haridas replicò: "Perché sfidi gli shastra, nutrendo in te il dubbio? Non è una mia opinione personale. Io non voglio importi le mie personali vedute. Gli shastra, che sono comuni ad entrambi, affermano questo. Essi, in aggiunta, mettono in rilievo l'insignificante posizione della beatitudine di cui si può godere con la liberazione, se comparata con l'eterno flusso di felicità che si può ottenere rendendo servizio con amore a Bhagavan. È semplicemente a questo proposito che i devoti genuini, i bhakta, non aspirano mai ad alcun tipo di liberazio­ne menzionato negli shastra, né l'accettano sebbene venga loro offerto volontariamente dal Signore Stesso."
"Oh Signore dell'universo! Essendo immerso nell'oceano di pura beatitudine ottenuto incontrandoTi, la felicità del Brahman mi appare insignificante come la trascurabile quan­tità d'acqua necessaria a riempire un'orma lasciata sul terre­no dallo zoccolo di una mucca." Hari-bhakti-sudhodaya 14.36.
La replica di Haridas non calmò la collera di Gopala C., anzi, fu come aggiungere legna al fuoco. Lo sventurato aveva ormai perso ogni controllo. In presenza di tutti gli anziani e i saggi gridò che avrebbe senz'altro tagliato il naso di Haridas, se avesse trovato evidenze negli shastra che un barlume del Santo Nome non poteva assicurare la liberazione.
Haridas accettò di buon grado. Egli non era un semplice fanatico che si ergeva in difesa di una sua convinzione, né un settario che lottava in modo dogmatico per le sue vedute, ma un genuino devoto del Signore Supremo che aveva pienamen­te compreso quello che esprimeva. Non adduceva ragioni ba­sandosi su una semplice conoscenza libresca dell'argomento o su un'inclinazione a vociferare. Egli conosceva molto bene la sua posizione grazie alla sua esperienza pratica, perciò dis­se: "Senza alcun dubbio, se attraverso il riflesso offuscato del Santo Nome non si può ottenere la liberazione, sono piena­mente consenziente a farmi tagliar via il naso."
La proposta blasfema di questo sciocco brahmino non fu per nulla approvata dal resto dei presenti. Se ne risentirono tutti moltissimo levandosi contro di lui all'unisono. I fratelli Majumadar lo rimproverarono severamente, condannando in modo deciso il suo comportamento ingiustificato.
Balaram Acarya, più degli altri, si sentì molto offeso. Egli rimarcò: "Stupido di un asino! Ti vanti così tanto del tuo sape­re, ma che cosa ne sai tu della bhakti? Questo non è il posto per i tuoi giochi di parole. Ti sei scavato da solo la fossa insul­tando il grande Haridas. La dannazione inevitabilmente cadrà su di te. Nessuno può aiutarti."
Haridas non ci teneva a rimanere oltre e si alzò per andar­sene. I fratelli Majumadar licenziarono in tronco il brahmino dal suo servizio e insieme a tutti gli altri presenti si prostraro­no ai piedi di Haridas, ben consapevoli di ciò che dicono gli shastra sulle gravi conseguenze derivanti dall'insultare i grandi devoti. Insieme pregarono Haridas di perdonarli.
Da parte sua egli li consolò con un dolce sorriso e parole gentili. "Perché vi preoccupate? Voi non avete fatto nulla di scorretto nei miei confronti. In realtà voi non siete responsa­bili di questo spiacevole incidente. È solo questo ignorante brahmino che si è comportato male. Persino lui non dev'esse­re biasimato. La sua predisposizione ad argomentare ha gui­dato il suo intervento. La gloria del Divino Nome va ben oltre la portata dell'intelligenza e delle dispute umane. I raggiungimenti intellettuali, per quanto grandi e sbalorditivi possano essere, sono completamente inadeguati per poter avere accesso al Divino Nome e alle sue meravigliose potenzialità. Perciò da dove potrebbe egli attingere questi segretissimi prin­cipi? Vi prego, ritornate alle vostre case. Che possiate voi tutti ottenere, per grazia di Sri Krishna, il bene eterno. Per quanto mi riguarda, che nessuno si senta dispiaciuto."
Haridas li lasciò e se ne tornò alla capanna.
La prima azione di Hiranya Majumadar al suo rientro a casa fu quella di impedire a Gopala C. di rimettervi piede. Non dovette aspettare a lungo, Gopala C., la conseguenza del suo comportamento offensivo. Nel giro di tre giorni fu colpito da un tipo acuto di lebbra e, di tutte le parti del corpo, il suo prominente naso fu la prima sfortunata vittima. Esso scomparve completamente dal suo viso. Fu seguito dalle bel­le e delicate dita delle mani e dei piedi: anch'esse sbiancaro­no e si corrosero in breve tempo.
La gente del villaggio rimase profondamente costernata dal­le terribili conseguenze subite da Gopala C. La gloria di Haridas toccò il cuore di tutti e gli offrirono i loro omaggi.
Si può facilmente capire che Haridas non prese sul serio il comportamento offensivo del brahmino. Per quale ragione dunque gli accadde tutto quello? Perché il Signore, da parte Sua, come avrebbe potuto tollerare che il Suo devoto venisse diffamato? Egli non perdonò l'offensore.
I devoti hanno, per natura, un carattere comprensivo e sono perciò sempre disposti a perdonare le colpe e i difetti degli ignoranti. Essi non augurano mai che una qualsiasi disgrazia colpisca i loro oppositori, ma Bhagavan, nell'intimo, non tolle­ra mai persino il più insignificante attacco o calunnia ai suoi amorevoli devoti. Egli non esita neppure persino a discendere per liberare i Suoi devoti o fare qualsiasi altra cosa atta a ri­solvere la situazione.
Haridas era una persona di una gentilezza traboccante e, com'è naturale per i devoti del Signore, era di natura molto gentile e compassionevole. La notizia della terribile calamità che colpì Gopala C., causò in Haridas un immenso dolore, sebbene si trattasse di un suo diffamatore ed oppositore. Ac­comiatandosi da Balarama Acarya, partì per Santipur, distret­to di Nadia, nel Bengala occidentale.
Lo spiacevole incidente, in generale, e la discussione che ebbe luogo tra Haridas e Gopala C., in particolare, sono ricchi di significato. Siamo stati beneficiati da una ispirante esposi­zione su alcuni dei punti cardinali della nostra religione, e in particolare sul Santo Nome e le sue potenzialità, dalle labbra di un'autorevole persona come Haridas.
L'assemblea di dotti si dimostrò degna del suo sapere, permettendo a Haridas di esporre le sue vedute sul particolare testo delle scritture. Haridas è il namacarya. Egli è uno che pratica veramente quello che dice.
Nessuno è adatto a predicare la religione se non segue in pratica nella propria vita quello che afferma. Ogni vero pre­dicatore della religione deve praticare i principi che predica. Gli insegnamenti degli shastra devono essere trasferiti nella sua vita quotidiana in ogni sua azione. In altre parole, un acarya è la personificazione vivente degli shastra, presente dinanzi a noi. Come tale egli è la giusta autorità per poter spiegare i testi degli shastra, il cui vero significato è stato da lui com­pletamente compreso.
Le opinioni presentate da Gopala C. sono le stesse che do­minano e influenzano il cuore di una buona parte di quelli che vanno sotto il nome di intellettuali o sapienti. Essi pensano troppo a se stessi. Dipendono principalmente da efficienza, ragione ed esperienze personali. Essi sentono di avere persino un'apprezzabile padronanza di tutti gli shastra. Sfortunata­mente, però, sono caduti vittima del saggio detto che `una poca conoscenza è molto pericolosa'.
Spesso essi sono come la `rana nel pozzo'. Hanno le loro peculiari teorie su qualsiasi tema che in accordo a loro rap­presenta il culmine della filosofia, la verità sublime, il solo e unico obiettivo comune da raggiungere. Non vogliono sentire nient'altro oltre a quello. Non ne hanno la pazienza. Quando, fortuitamente, capita loro l'occasione di ascoltare un punto di vista diverso, perdono tutta la loro calma. Allora fanno sfog­gio, spazientiti, della loro conoscenza e delle altre qualità che li contraddistinguono.
Invece di proporci la sua esperienza individuale di ragio­namento, Haridas attirò la nostra attenzione sull'autorità del­le sacre scritture, la sola vera sorgente di conoscenza, pramana, per quanto riguarda gli argomenti spirituali.
Gopala C. e le persone come lui si atteggiano a credenti in Dio e negli shastra, ma le loro azioni e le loro parole sono giusto l'opposto. Essi non si conformano neanche minima­mente a quello che professano.
Chi crede in Dio deve necessariamente credere anche alle parole di Dio. La devozione ipocrita nei confronti del Signore o delle Sue parole, gli shastra, non servirà alcun vero scopo.
Oggigiorno la maggior parte della gente tratta gli shastra come un insieme di libri irrazionali, contenenti un'abbondan­za di dogmi, rituali, miti e storie immaginarie. Li considerano fuori moda.
Alcuni li considerano come libri da cucina, nel senso che possono essere utili solo a tener buone le vecchiette, magari vedove, che mancano di vera intelligenza e che pertanto pos­sono essere ingaggiate solo a dare una mano in cucina.
Un limitato numero di persone che accetta l'infallibile na­tura di questi inestimabili tesori, e la loro validità nel campo della religione, li interpreta in modo altamente intellettuale. Le conclusioni di queste persone sono basate principalmente sulla percezione diretta e sulla deduzione. Per costoro gli shastra sono là apposta affinché essi possano interpretarne i testi per farli convenire alle loro idiosincrasie. Arrivano a stor­cere molto i testi, talvolta spiegandoli dal punto di vista gram­maticale, etimologico e filosofico, talvolta dividendoli in così tante sillabe per poi riunirli di nuovo a modo loro come sup­porto alle loro vedute.
Qualcun altro desidera che tutte le affermazioni degli shastra siano comprovate con l'aiuto dell'apparato scientifi­co, in qualche laboratorio riconosciuto, sotto l'esperta supervisione di qualche eminente scienziato. Queste persone sono dell'opinione che in quest'era delle macchine sia giunta l'ora che gli shastra si sottomettano all'esame della scienza e della ragione per il bene dell'umanità intera. Se gli shastra non fossero capaci di superare questa prova scientifica la loro sopravvivenza sarebbe segnata.
Altri ancora, di gran lunga i più pericolosi, mentre denun­ciano tutte queste argomentazioni, aspettano pazientemente l'approvazione degli studiosi occidentali. Essi pretendono di essere i più raffinati nel comportamento, vestiti alla moda e civilizzati nelle loro vedute più di tutte le altre persone del mondo. Frequentano circoli prestigiosi, imitano esteriormen­te gli occidentali, nel portare il cappello o tenere in mano la pipa. Accettano solamente libri, scritti o persone che hanno l'approvazione di eminenti scrittori occidentali. Guidati da qualche istinto speciale, queste persone seguono con fede le istruzioni degli stranieri. Essi preferiscono trovarsi nel mezzo di quello che considerano la sezione intelligente e civilizzata della società di ultra-moderni, piuttosto che trovarsi nel mez­zo di una setta, a dir loro, di primitivi e donchisciotteschi indù che hanno rozze nozioni un po' su tutto.
Alcuni accettano solo i Veda come shastra originali, e le affermazioni come autentiche testimonianze religiose solo così come sono capite dalle loro menti empiriche. Non danno al­cun credito alle altre opere.
Altri accettano i Veda, i Vedanta (le Upanisad), i Vedanta sutra e la Bhagavad-gita come loro infallibili shastra. Essi denunziano i Purana, le opere epiche eccetera, come scritti più recenti, considerandoli libri di minore importanza. Essi insistono sullo stesso tasto persino quando sono direttamente chiamati in causa e sconfitti. Negano tutte le altre vedute, ec­cetto le loro, come aggiunte ingiustificate e non sostenibili, come se fossero state intenzionalmente e maliziosamente pre­parate per annientare le loro. Sostengono perciò che le altre opere non possono essere autentiche.
Un altro gruppo ancora, incolpa i brahmana e denuncia gli stessi shastra sostenendo che sono stati creati da quegli egoisti per sfruttare le altre tre caste innocenti. Essi rimarcano che queste opere contengono solo certe istruzioni che servono ad impaurire le persone con l'esistenza dell'inferno, e a tentarle con certi piaceri del paradiso e cose simili. Queste afferma­zioni aiuterebbero i brahmana a guadagnarsi da vivere ingan­nando il resto delle persone.
Tutti questi diversi atteggiamenti sono dovuti all'estrema ignoranza che circonda il soggetto. Come si dice: `i difetti abbondano dove scarseggia l'amore'.
Queste persone mancano proprio dei buoni sentimenti nati da precedenti meriti religiosi. Di conseguenza sono attratte da quel genere di letteratura scadente che abbonda di foto osce­ne, di storie assurde e incredibili, e di divertimento insensato, tutte cose che stimolano con facilità le passioni sensuali.
Generalmente la maggior parte delle anime incatenate non può rivendicare, sin dalla nascita, una posizione assai illumi­nata. Ci sono certe anime fortunate con sentimenti molto ele­vati, ed esse riescono ben presto nella loro vita ad associarsi con i sadhu e a praticare il distacco e tutto quel che segue.
Né un'affermazione dogmatica senza avere alcuna com­prensione, né una negazione dogmatica sono di per sé un se­gno di saggezza. Un'attitudine sottomessa, con una mente im­parziale, è il vero segno di un ricercatore della verità.
Molti ignoranti non accettano di buon grado la loro igno­ranza. Sono così egocentrici che non credono mai che nel mon­do ci siano delle persone più elevate. È come se fossero venu­ti spinti dalla risoluzione di non accettare nessun insegnamento dagli altri.
Il loro comportamento ci ricorda un verso delle Upanisad: "Coloro che, rimanendo nel mezzo dell'ignoranza, si consi­derano sapienti ed illuminati, vanno a finire male proprio come un cieco che guida un altro cieco." Mundaka Upanisad 1.2.8. Cadranno entrambi in un fosso rompendosi le ossa e il cranio.
Che cosa sono gli shastra, e perché crediamo in loro? Sebbene appaiano dinanzi a noi nella forma di libri, tra­scritti a mano o stampati con macchine da noi inventate, su carta che noi fabbrichiamo, gli shastra non sono, come molti pensano, alcun prodotto di questo mondo materiale. Essi sono le parole di Dio Stesso, che scendono in questo mondo attra­verso le labbra dei sadhu sottomessi senza riserve, che ne sono gli intermediari trasparenti.
Gli shastra sono rapporti e messaggi del regno trascenden­tale, scesi in questa realtà mondana per edificazione dell'uma­nità. Contengono le testimonianze delle ispiranti vite di gran­di personalità, le loro emozionanti esperienze, insieme ai se­greti sui particolari riguardanti la Suprema Personalità di Dio, fonte di ogni adorazione, e le Sue attività. Sono verità infalli­bili di là dagli inganni umani, e sono validi per ogni era.
"Errare è umano." "Ogni uomo nasconde in sé uno scioc­co." "Nessuno è sempre saggio." E si potrebbe continuare per un bel po' con i detti sull'argomento, pescando da qualsiasi cultura d'ogni tempo.
Poiché l'acquisizione di conoscenza da questo mondo im­perfetto avviene attraverso l'intermediario dei nostri ingan­nevoli e difettosi sensi, l'intelligenza umana, per quanto bril­lante e sviluppata possa essere, con tutto il suo ragionare ha in sé quattro tipi di errori. Ecco perché notiamo sempre che un tipo di argomento ne sostituisce un altro, il quale a sua volta è sconfitto da un altro ancora differente e così via.
Gli shastra, in quanto parola del Signore Supremo, sono ben di là di questi limiti: 1) bhrama, errore di falsa percezione o prender una cosa per un'altra, una corda per un serpente, 2) pramada, errore dovuto alla negligenza, 3) vipralipsa, errore dovuto al desiderio di ingannare se stessi e gli altri, 4) karana patav, errore dovuto all'auto-inganno e all'inganno dei sensi. Gli shastra non sono le composizioni di esseri umani o di qualche altra simile jiva caduta. Essi esistono da tempo immemorabile. Sono verità auto-rivelate, manifestate in que­sto mondo materiale dal volere divino attraverso il canale della comunicazione orale resa possibile dalla successione di maestri spirituali genuini.
Non c'è religione in questo mondo senza le sue autentiche scritture. Esse sono la vera sorgente di conoscenza. Se queste autorità sono ignorate, la religione diventa instabile e irrazio­nale. Gli shastra non sono irrazionali. Essi sono basati sulle vere ragioni e sull'esperienza pratica o realizzazioni, mentre noi, gli animali ragionevoli, ci affidiamo a ragioni travisate, a conclusioni non provate, a supposizioni che non reggono. La nostra è solo una guerra di parole vuote, mentre gli shastra sono testimonianze di esperienze pratiche. I Veda, le Upanisad, le grandi opere epiche come il Mahabharata e il Ramayana, i Pancaratra e tutto quel tipo di opere, commentari, ecc., basa­ti su di essi, scritti dagli acarya e autorizzati da Bhagavan per il bene dell'umanità, sono conosciuti con il nome di `shastra'.
Gli shastra non devono essere confinati solo ad una particolare lingua. Possono essere in qualsiasi lingua del mondo. Hanno a che fare con soggetti trascendentali e loro relativa co­noscenza, perciò non sono facilmente comprensibili dal neofita la cui conoscenza è completamente ricoperta dalle idee del mondo materiale. Egli deve ascoltare con spirito sottomesso l'esposizione di queste materie dalle labbra di sadhu genuini, dal momento che le persone sante sono gli shastra viventi e gli infallibili intermediari che ne diffondono il messaggio.
Questo è il primo e il più importante requisito per chi aspi­ra alla comprensione divina. Ciò è un'essenziale necessità per tutti, altrimenti gli shastra non rivelano le loro verità.
Sfidarne l'autorità è solo un segno di pura sciocchezza ed irredimibile arroganza. Una persona arrogante non avrà mai successo nel mondo materiale, che dire in quello spirituale.
Se il divino Signore, il Suo Nome, la Sua Forma e le altre caratteristiche fossero tutti oggetti della nostra percezione, chiunque, facendo uno sforzo per ottenerli, avrebbe avuto suc­cesso. Non ci sarebbe stata alcuna necessità della parola “tra­scendentale” nel dizionario e il mondo non avrebbe prodotto così tante filosofie diametralmente opposte l'una all'altra.
Venendo all'esposizione di Haridas sul Divino Nome, sia­mo certamente stati illuminati sull'elevata posizione dei Nama. La liberazione, mukti, della quale Gopala C. parla così bene e che caparbiamente difende, è ottenibile da un semplice barlu­me del Nama.
Prima però di ottenere i risultati che si possono avere con il canto del Santo Nome del Signore, ci sono da superare altri due stadi lungo il cammino, nama-aparadha e namabhasa, trattati in un'altra pubblicazione molto specifica, Harinama­cintamani di Bhaktivinoda Thakura.
Nonostante i suoi giochi di parole sul Nama, Gopala C. è completamente ignorante dei segreti del Santo Nome e delle sue glorie, ma è risoluto a mantenere le sue vedute. Questo è un segno di estrema ignoranza ed egoismo. Egli è inoltre igno­rante della vera devozione e dei suoi sbalorditivi effetti. Per lui la liberazione da tutti i problemi, fondendosi nel Brahman impersonale, è l'obiettivo più elevato. Ciò è una semplice questione marginale, un risultato secondario del riflesso offu­scato del Santo Nome.
Gopala C. proviene dalla scuola di coloro che considerano la bhakti debole e volgare e, di conseguenza, i bhakta, per quanto elevati possano essere, come persone di nessuna im­portanza. Quelli che vengono da questa scuola includono la bhakti tra le attività interessate. Egli è quindi convinto che anche Haridas sia un seguace di quella scuola erroneamente considerata di bhakti.
Haridas non è però né un seguace delle azioni interessate né un difensore dell'arido intellettualismo. Egli non è un op­portunista per il quale la religione è una faccenda di conve­nienza più che un credo, o qualcuno le cui vedute oscillano di qua e di là come un pendolo.
Gli opportunisti come Gopala C. adottano una certa filoso­fia per convenienza di discussione. Quando emergono i sacri­fici, le difficoltà e i problemi della vita pratica, sono però de­ludenti in tal misura che nessuno sarà più in grado di scoprire la loro precedente posizione teorica.
Haridas è per completo uno strenuo difensore della bhakti o devozione a Bhagavan. Tra i vari metodi di pratiche religio­se menzionati negli shastra, la bhakti occupa la posizione su­prema, è sopra di tutti. Le sue meravigliose caratteristiche, le sue magnifiche virtù, i risultati infallibili e l'emozionante in­fluenza sui suoi infiammati devoti sono realtà inesprimibili che si aggiungono alla sua gloria. Non è un soggetto incon­sueto per la gente del mondo, al contrario. È un tema di cui si parla molto. È discusso da molti spiritualisti e da eminenti personalità del mondo materiale, in differenti lingue e modi, e tuttavia quanto poco se n'è capito nel giusto spirito e ancor meno se ne pratica nella vita quotidiana.
Dopo aver fatto qualche sforzo insignificante e leggero, e talvolta neppure questo, semplicemente leggendo alcuni li­bri, spesso ci inganniamo da soli con il credo di avere rag­giunto la bhakti, senza alcuna conoscenza delle difficoltà insite nel raggiungerla. Essendo la più elevata realizzazione dell'esi­stenza umana, la bhakti non viene data dal Signore Supremo alle jiva su semplice richiesta.
“jnanataf sulabha muktir-bhuktir yajnadi pushyatah seyam sadhana sahasrer hari-bhaktih sudurlabha” (Tantra vacana).

"Seguendo il processo del jnana la liberazione è facilmente ottenibile, e l'esecuzione di attività virtuose porta ai vari godimenti sia in questa vita sia nella prossima, laddove persi­no con migliaia di metodi simili la devozione a Sri Hari rima­ne irraggiungibile."
Gli aspiranti alla bhakti devono affrontare innumerevoli ardue prove. Il Signore gioca duro con loro, e solo quelle ani­me sincere, libere da ogni ombra di desiderio materiale, o di auto-ingrandimento nella forma di liberazione, possono avere successo nei loro sforzi. Coloro che desiderano la bhakti de­vono essere pronti ad affrontare qualsiasi eventualità, perse­cuzione e molestia sia all'interno sia all'esterno della loro famiglia e società. La vita di Haridas narrata in questo libro è un ispirante esempio di quanto appena detto.
Le idiosincrasie, le persecuzioni e i capricci del marito pos­sono essere sopportati con calma e pazienza solo da una mo­glie fedele e devota, mentre colei che cerca solamente il pro­prio piacere e conforto ricerca sempre le coccole dal marito.
Il sentiero della devozione non è un letto di rose, non di certo un sentiero facile cosparso di fiori delicati dal dolce pro­fumo, come molti di noi sono propensi a pensare.
Alcuni di quelli tipo Gopala C., di mente liberale, credono che la bhakti sia un mezzo efficace per ottenere la mukti o liberazione. Per un vero bhakta, invece, la bhakti è sia il mezzo sia il fine in se stesso. Per lui la bhakti è la sua stessa ricompensa. Egli non brama nessun altro guadagno estraneo alla bhakti.
I fratelli Majumadar e la grande assemblea là riunita cono­scevano bene la gravità di commettere offese nei confronti di grandi devoti, e i susseguenti tragici effetti per gli offensori. Per liberarsi dalle terribili conseguenze, chiesero perciò tutti insieme ad Haridas di perdonarli. Questo è il miglior rimedio per essere liberati dagli effetti malvagi del commettere offe­se. L'offensore deve farsi perdonare dal santo che ha offeso.




CAPITOLO 4
HARIDAS A SANTIPUR


A Santipur, Haridas incontrò il grande Sri Advaita Acarya e gli si prostrò dinanzi. Veramente soddisfatto Advaita l'ab­bracciò e lo ricevette con gran cordialità. A quel tempo Advaita, già anziano, era la guida della comunità vaisnava di Navadvip. Proveniva da una famiglia di brahmana d'alto li­gnaggio, i suoi antenati erano, infatti, degli eminenti eruditi. Lui stesso lo era e inoltre era discepolo del gran santo Madhavendra Puri. Originario di Sylhet, Advaita si trasferì in seguito a Santipur e più tardi a Navadvip. Era abbastanza be­nestante. La gente di Santipur, così come quella di Navadvip, aveva verso di lui un gran rispetto per la sua vasta conoscenza degli shastra, la vita pia e la sincera devozione. Era inoltre uno dei pochi selezionati associati eterni di Sri Gauranga.
Advaita sistemò Haridas in una capanna solitaria sulle rive del Gange, e ogni giorno gli teneva una lezione su alcuni versi dello Srimad Bhagavatam e della Bhagavad-gita, spiegandone l'autentico significato. Haridas riceveva ogni giorno l'ele­mosina di cibo dalla casa di Advaita e passava i suoi giorni completamente perso nel vortice della beatitudine spirituale. In compagnia del suo venerabile ospite, egli rimaneva assorto in argomenti relativi ai passatempi del Signore, e i giorni scor­revano inosservati in tale impareggiabile felicità spirituale.
Un giorno Haridas avvicinò Advaita con un'umile richiesta: "Oh santo signore! Quale beneficio può venirvi dal nu­trirmi ogni giorno? Siamo in un posto noto per la presenza di molti brahmana, dove vivono molte eminenti persone d'alto lignaggio. Ignorandole tutte, la gran ospitalità che mi stai ac­cordando potrebbe possibilmente offenderle. Questo può aprire la via a qualche problema di carattere sociale. Mi appello per­ciò a te, dal profondo del cuore, di non continuare così, e di fare ciò che è più conforme ai principi sociali e spirituali."
Advaita possedeva una vasta erudizione, era di solidi prin­cipi e occupava una posizione straordinaria tra i devoti. Egli conosceva molto bene il suo ruolo. Sapeva che in quest'era di Kali è quasi impossibile trovare dieci milioni di brahmana. Egli chiese a Haridas di disfarsi di tali paure infondate, e lo rassicurò che avrebbe seguito solamente le raccomandazioni sanzionate dagli shastra. "Nutrendo te, in realtà si nutrono dieci milioni di brahmana!" (C.C. Adi 3.220). Con questa ri­sposta anche in occasione dell'annuale "Giorno dello sraddha" egli offrì a Haridas il cibo cucinato per gli antenati. Ciò era senza dubbio una grave e imperdonabile violazione del codi­ce sociale esistente. In accordo alle abitudini generali in vigo­re tra i brahmana ortodossi, tale cibo può essere infatti offerto solamente ai membri della loro comunità. Darlo ad un estra­neo, e specialmente ad una persona non indù, è una grave vio­lazione delle usanze comunitarie. Con questa azione il grande Advaita non dev'essere considerato uno che ha scavalcato i principi sociali o il varnasrama-dharma vedico. Egli ha in realtà rivelato e insegnato al mondo la posizione privilegiata di un devoto genuino, che va ben oltre la casta e il credo, e la sua esclusiva qualificazione ad accettare le offerte persino di brahmana di casta elevata in tali speciali occasioni. Quanto sopra riportato non è per niente in disaccordo con gli shastra.
"Tra migliaia di brahmana, colui che esegue i riti vedici è superiore, tra migliaia di tali brahmana vedici, colui che è molto versato nei significati della conoscenza vedica è supe­riore, tra dieci milioni di brahmana ben versati negli shastra, un devoto di Sri Visnu è considerato ancora di gran lungo su­periore, e persino tra migliaia di devoti di Sri Visnu un since­ro devoto di Sri Krishna è definito il supremo tra tutti." (Garuda Purana).
Tale era l'elevata posizione di cui godeva Haridas, persino di fronte al grande Advaita, la guida della comunità vaisnava di Navadvip.
La compassione di Advaita verso l'umanità caduta è senza paragoni. La deplorevole condizione delle persone aveva smosso il suo cuore. Desiderava fare qualcosa di sostanziale per loro. Prese in considerazione i metodi e i mezzi adatti a libe­rare tutte queste anime sofferenti. Fece il giuramento di por­tare sulla Terra, in mezzo alla gente, la manifestazione di Bhagavan Sri Krishna, ed iniziò ad adorarLo regolarmente con acqua del Gange e fiori di tulasi, un metodo molto efficace menzionato negli shastra. Anche Haridas, con rinnovato en­tusiasmo e fede, continuò il suo canto del Nama aspettando con ansia l'avvento di Sri Krishna. Influenzato dalla sincera devozione, e dalle ripetute suppliche di Advaita e di Haridas, il Signore Supremo Sri Krishna Caitanya Mahaprabhu mani­festò il Suo avvento in questo mondo. Come un furioso dilu­vio, le cui gigantesche onde straripano in tutte le direzioni, Egli inondò l'India dall'Himalaya a Capo Comorin con il Divino Nome, rendendola popolazione beneficiaria di questo movimento impetuoso.
"Il culto della pura devozione a Sri Krishna raggiunse il suo più elevato grado di sviluppo, ricevendo grande impeto dall'apparizione di Sri Gauranga Mahaprabhu, la più comple­ta manifestazione di Sri Krishna. Egli apparve a Navadvip, sulle rive del Gange, poco più di 500 anni fa, e fu attivo per circa mezzo secolo. Egli era Sri Krishna stesso manifestatoSi nella forma del Suo grande devoto. Sri Krishna è il mistero e Sri Caitanya Mahaprabhu ne è la spiegazione. Ogni qualvolta Sri Krishna viene sulla Terra come Mistero del­l'Amore, a cavallo tra dvapara e kali yuga, Egli ritorna poi nella forma di Sri Caitanya Mahaprabhu come spiegazione di questo mistero, 5000 anni dopo, per mostrare all'umanità la via che porta a Lui.
L'amore, la devozione e la spiritualità di Sri Caitanya non potranno mai avere paragoni. Egli annunciò pubblicamente il messaggio di Sri Krishna, il seme e l'anima dell'amore asso­luto, e mentre predicava prorompeva in lodi a Sri Krishna. Tutta l'India fu inondata dall'amore divino di Sri Caitanya.
Sri Caitanya predicò e dimostrò la potenza del nome di Sri Krishna: il Suo nome è in tutto uguale a Lui. Se qual­cuno dice "Krishna", "Krishna", mentalmente o ad alta voce, e concentra la sua mente su di Lui, ne assorbe il net­tare d'amore, si ubriaca con la Sua estasi, vede diretta­mente Krishna con tutto ciò che lo riguarda e alla fine del­la vita va a Goloka. II mondo non ha mai visto tale avatara, la manifestazione dell'amore assoluto, Krishna
Come maestri e servitori, i Suoi apostoli erano di una tale purezza e sublimità che sarebbe difficile trovare qualcuno di simile persino nell'India del passato. Ognuno di loro era com­petente a salvare il mondo intero. Essi lasciarono migliaia di libri sulla vita e gli insegnamenti di Sri Krishna e di Sri Caitanya Mahaprabhu, libri che sono il tesoro più prezioso per studenti e aderenti di tutte le religioni di ogni latitudine, era e denominazione. L'amore è il tema di ogni libro, ed è difficile resistere alla sua essenza che si riversa nel lettore mentre legge. Sri Caitanya Mahaprabhu non può essere com­preso senza aver prima capito Sri Krishna e i Suoi lila sulla Terra" (Estratti da "Sri Krishna - Il Signore dell'Amore').
Le attività di grandi personalità come Haridas non possono essere comprese dall'intelligenza umana ordinaria e limitata. Esse rimangono un enigma persino per i migliori cervelli del mondo. Ascoltare queste attività con vera fede è la sola via a noi accessibile.
La vita di Haridas in questo mondo è piena di vicende mi­racolose ed emozionanti. È semplicemente impossibile elen­carle tutte. Per ampliare le glorie di Haridas di cui siamo già a conoscenza, Krishnadas Kaviraj racconta un'altra vicenda.
Una volta, seduto in una caverna, come al solito Haridas stava cantando ad alta voce il Santo Nome. Era una notte di luna piena. La rinfrescante ed argentea luce lunare si diffon­deva sulla campagna, rendendo l'atmosfera tutt'intorno mol­to affascinante. Le onde scintillanti del Gange che scorreva li vicino aggiungevano nuova bellezza e solitudine alla preva­lente calma che regnava. L'entrata della caverna era santificata dalla presenza della sacra pianta Tulasi, cresciuta in una piattaforma elevata appositamente costruita. L'intero scenario era così attraente che avrebbe facilmente rapito il cuore di qualsiasi persona.
In quest'ambiente così affascinante, apparve una donna bellissima. Lo splendore che la circondava era così abbagliante che spazzò via tutta l'oscurità, illuminando completamente il posto. La dolce fragranza del suo corpo, che si mischiava alla leggera brezza, rese incantevoli le dieci direzioni. Il dolce tin­tinnio dei suoi ornamenti era più accattivante per le orecchie dei dolci canti dei Gandharva, i cantori celesti. Con grazia e gentilezza s'inchinò davanti a Tulasi, le girò intorno e rag­giunse l'ingresso della grotta di Haridas.
A mani giunte adorò i suoi piedi e, sedendosi sulla soglia, gli parlò in questo modo: "In realtà tu sei il benefattore dei mondo intero. Nell'aspetto, come nelle qualità, sei eccezio­nale. Incantata da questo sono venuta qui per godere della tua amorevole compagnia. Ti prego, sii così gentile da accettare la mia umile richiesta. Tu sei un gran devoto. I devoti sono per natura l'incarnazione della gentilezza e della compassio­ne. Essi sono eccezionalmente misericordiosi verso l'umani­tà sofferente."
Così dicendo, l'affascinante donna straniera cercò di am­maliare il grande Haridas con svariati gesti e pose sedu­centi che, senza dubbio, avrebbero violentemente disturbato l'equilibrio mentale perfino dei grandi muni. I suoi sforzi non ebbero però alcun effetto su Haridas, che se ne rimase fermo e indisturbato. Provava solo compassione per la sfortunata don­na, perciò le disse: "Ho fatto il voto di ripetere un certo nume­ro di Nama al giorno, finché non finisco il numero prefissato mi è impossibile dedicarmi a qualsiasi altra cosa. Questo è il mio voto. Quando il mio kirtan quotidiano sarà concluso, for­se avrò tempo sufficiente per il resto. Rimani seduta sulla so­glia e presta attenzione al canto del Nama. Una volta comple­tato il mio voto certamente soddisferò la tua richiesta."
Essendo profondamente assorto nella costante meditazio­ne sul divino nome di Sri Krishna, Haridas non era per niente consapevole del mondo esterno. Tutti gli sforzi di quella don­na seducente furono perciò un puro fallimento davanti al gran santo. Si dimostrarono vani come `una piacevole fragranza dispersa dall'aria del deserto'.
Alla fine del terzo giorno, quando era completamente de­lusa, avvicinò ancora una volta Haridas con queste parole: "Tu mi hai imbrogliato con le tue confortanti parole per tutti que­sti tre giorni. Sembra che non ci sia mai fine al tuo kirtan, né di giorno né di notte:"
A queste parole Haridas replicò: "Che ci posso fare? Non ho scappatoie. Ho fatto un voto. Come posso romperlo ora?" A questo punto lei si rese conto con chi aveva a che fare. Era ormai convinta, senza ombra di dubbio, che stava solo sforzandosi inutilmente. Tutte le sue speranze erano state frustrate. Pensò che non aveva più senso tentarlo ancora. Si deci­se perciò a svelare finalmente la sua identità.
Con grande rispetto s'inchinò dinanzi a Haridas e disse: "Io sono Maya, l'energia illudente del Signore. Sono venuta per metterti alla prova. Posso affermare di avere illuso tutte le jiva, a partire da Brahma nessuno ha mai potuto superare la mia prova. Oggi devo ammettere però di avere fallito comple­tamente. Il mio orgoglio è stato umiliato. Sì, sono stata miseramente sconfitta da te. Tu sei la sola eccezione di cui io sia mai stata testimone. Tu sei un gran maha-bhagavata. Semplicemente vedendoti ed ascoltandoti ripetere il divino nome, il mio cuore si è completamente purificato. Anch'io desidero rimanere assorta nel bere la nettarea beatitudine che emana dal divino nome. Ah! Quale esperienza meravigliosa ed emozionante. Abbi la misericordia di iniziarmi al dolce nome di Sri Krishna. Tutta l'India è sconvolta dalle onde travolgenti dell'amore divino. Sono tutti trascinati via da questa inondazione. Ma perché dico l'India? Il mondo intero è eccezional­mente fortunato. Coloro che sono privati di questa grande influenza sono i più sfortunati nell'intera creazione del Signore. Persino dopo milioni di nascite c'è ben poca speranza per co­lui che non ha assaporato la beatitudine del divino nome. In una precedente occasione accettai l'iniziazione al santo nome "Rama" dal gran devoto Shiva. Ora desidero ardentemente di poter essere favorita, per tua misericordia, con il divino nome "Krishna" e ti chiedo umilmente di iniziarmi al suo canto. II nome "Rama" è famoso per la sua caratteristica di liberare tutti dalla schiavitù di Maya, mentre il nome "Krishna" si contraddistingue perché concede in aggiunta Krishna-prema. Ti supplico, benedicimi con il nome di Sri Krishna, e rendimi atta a sperimentare l'impetuoso oceano dell'amore divino." Con queste parole adorò i piedi di Haridas.
La sua preghiera fu esaudita. Come può qualcuno sfuggire alla benevolenza travolgente di Haridas. Sì, fu debitamente iniziata al divino nome "Krishna".
Ma perché Mayadevi chiese ad Haridas il Krishna Nama, quando era già stata iniziata al Rama Nama nientemeno che dal grande Shiva? C'è qualche differenza tra i divini nomi del Signore? È essenziale che tutti debbano ripetere il Krishna­Nama? Che male c'è se pronunciamo il nome di Kali, Shiva, Ganapati, Kartikeya, e via di seguito?
Una persona riflessiva si deve confrontare con tali domande, quando s'imbatte in queste tipiche circostanze. I dubbi sono il risultato dei malintesi. Il chiarimento appropriato sul soggetto trattato chiarisce tutte le nostre idee erronee. Un'idea corretta della Verità Assoluta, che conosciamo con la deno­minazione di "divino" o "vera concezione di Sri Krishna", ci sarà di sicuro aiuto nel risolvere questo problema. Questo ci aiuterà sicuramente ad eliminare le nostre nozioni errate.
Per qualsiasi indù, Sri Krishna non è per niente uno scono­sciuto. Sebbene molte persone in India manchino spiacevol­mente di un'appropriata comprensione della Sua vera perso­nalità e del significato che si nasconde nei Suoi passatempi divini. Egli è largamente conosciuto persino tra le masse anal­fabete. Sri Krishna! Com'è dolce il nome stesso! Ah! C'è for­se qualcosa di più dolce per il cuore degli amanti di questo grazioso piccolo incantatore sempre pronto a far monellerie, scherzi e burle?
Egli è l'amore, la luce, la vita e la vera anima di Vrindavana. È il respiro vitale dei Vrajavasi. Milioni di persone, dall'Himalaya a Capo Comorin, inneggiano alle Sue glorie, cantano gli affascinanti eventi dei Suoi meravigliosi passatempi, ascol­tano con rapita attenzione i Suoi emozionanti messaggi, ripe­tono i Suoi dolci nomi e provano la folgorazione del Suo con­tatto che procura gioia ineffabile e soddisfazione nel cuore. Non c'è occasione in India, tra la maggioranza degli indù, in cui non ci si rivolga a Sri Krishna in un modo o nell'altro. Nei giorni di festa o nelle occasioni di matrimoni, nei mo­menti di felicità o di dolore, o nelle feste pubbliche, è diven­tata un'abitudine ricordarsi di Lui e cantare i Suoi affascinan­ti passatempi. Nel mezzo di inspiegabili sentimenti d'amore e di sincero entusiasmo Egli occupa una posizione di dominio nei cuori di milioni e milioni di abitanti dell'India. È il perso­naggio più popolare, l'oggetto più dolce di venerazione ed adorazione. Egli è l'amato Signore, il Salvatore e l'Assoluto per eccellenza.
Ci sono tuttora numerosi pareri per quanto riguarda Sri Krishna, persino tra gli eminenti studiosi dell'India. La Sua potenza inconcepibile impedisce a tutti i pensatori empirici, e ai loro sforzi, di avere una concezione completa della Sua di­vina personalità. Ogni erudito di questo tipo Lo modella in base al suo personalissimo modo di pensare, dando nuove for­me e colori alla Sua personalità e alle Sue attività divine.
Volendo davvero sapere qualcosa di genuino a Suo riguar­do, dobbiamo necessariamente prestar ascolto alle scritture autentiche che parlano di Lui, e affidarci alle parole di quei puri devoti che Lo hanno conosciuto nella Sua vera natura.
Le osservazioni dei semplici commentatori sono basate sulla loro comprensione individuale, banalmente ottenuta attraver­so i sensi materiali. È di ovvia evidenza che le facoltà intellet­tuali mondane non hanno accesso al divino. Affidandoci uni­camente alle affermazioni dei critici ordinari, i cosiddetti dot­ti ed eruditi, non possiamo perciò avere una vera visione di Sri Krishna, della Sua divina personalità, delle Sue divine at­tività, né del Suo divino messaggio. Tali osservazioni, sorret­te da rappresentazioni intellettuali di un certo peso, ma pur sempre basate su idee individuali frutto di una natura difetto­sa, ci portano solo più lontano dai fatti reali. Quasi tutte le conclusioni di oggi vengono spudoratamente cambiate e rimpiazzate da nuove ragioni il giorno dopo. Le conclusioni in­tellettuali sono perciò incomplete ed instabili. Persino sul piano percettibile della materia.
Le persone sagge accettano pertanto come solida base le scritture rivelate. Esse sono le sole a poterci svelare la verità. Le numerose concezioni che circolano sul conto di Sri Krishna, sono già di per sé una prova evidente che la maggior parte di questi dotti ed eruditi sono degli ignoranti per quanto riguarda la Sua vera personalità. Ciascuno Lo descrive nel modo a lui comprensibile.
Un primo gruppo riunisce chi considera Sri Krishna una delle infinite manifestazioni di Bhagavan Sri Visnu. Per co­storo Sri Visnu è la divinità suprema. Il termine "Visnu" lette­ralmente indica "Colui che pervade l'universo intero". I no­stri Purana hanno descritto varie manifestazioni di Bhagavan Sri Visnu, apparse in questo mondo in differenti occasioni per realizzare svariati scopi riguardanti l'amministrazione dell'universo. Anche Krishna è da costoro incluso nella lista dei molti avatara, le forme nelle quali Visnu discende, forme che si sono manifestate in questo piano mortale.
Altri, diciamo di un secondo gruppo, dopo aver fatto uno studio approfondito su questi avatara, sulle loro attività, pro­prietà, eccetera, distinguono Sri Krishna come il più comple­to o perfetto, il purna avatara, tra tutte le manifestazioni divi­ne. Lo considerano "il primo della classe" in mezzo a tutti questi avatara.
In un terzo gruppo ci sono quelli che Lo realizzano come una manifestazione personale, saguna brahman, dell'Assolu­to impersonale, nirguna brahman. Essi concepiscono la real­tà ultima come un vuoto senza alcun attributo. I pensatori empirici sono i fautori di questo punto di vista. Essi sostengono che l'Assoluto è di là dalla comprensione umana e, in quanto tale, indefinibile. Secondo loro questo Assoluto senza attributi s'incarna in questo mondo per diversi scopi, e tra le varie manifestazioni Sri Krishna è la migliore.
In un quarto gruppo ci sono i pensatori che non rientrano in nessuna di queste controversie, discussioni o speculazioni filosofiche astratte. Essi hanno una visione molto semplice. Si accontentano delle testimonianze storiche. e perciò Lo con­siderano un grande guerriero, un impareggiabile eroe e un potente sovrano della dinastia Yadava. Vedono in Lui un politico fenomenale, capace di stupefacenti tattiche e ingegnosi­tà, di un'incomparabile previdenza. Per loro è un acuto uomo di stato, un risoluto e terribile castigatore dei malvagi, un gran conquistatore dalle straordinarie abilità strategiche, un per­fetto oppressore di innumerevoli tiranni sfruttatori ed un abile e giusto amministratore.
Un quinto gruppo Lo acclama come i1 più grande tra i pro­feti che hanno onorato il mondo, Colui che con le Sue esposizioni filosofiche infuse nuovo vigore nelle formicolanti mol­titudini del mondo.
E in un sesto gruppo, usurpando il potere di giudicare, c'è chi nella sua arroganza Lo deride come un voluttuoso viveur. Questi ostinati e aridi intellettuali si vantano troppo della loro purezza e da un infimo livello materiale, redigono una graduatoria dei meriti morali delle personalità divine, facen­do pure delle osservazioni su di loro.
Un settimo gruppo ne nega apertamente l'esistenza, prendendoLo per una semplice allegoria, per il prodotto men­tale di un qualche poeta.
Facendo un paziente e scrupoloso scrutinio delle opinioni prevalenti, si possono metter insieme molti altri curiosi punti di vista sulla personalità divina di Sri Krishna. Il motivo fon­damentale di tutte queste varie e contrastanti vedute per quanto riguarda una tale singolare personalità, è che Sri Krishna è incomprensibile. In Lui tutte le qualità contraddittorie – come l'unità e la diversità, la completezza e la divisione - coesisto­no simultaneamente.
Un completo e attendibile resoconto della Sua affascinan­te personalità, della Sua meravigliosa carriera, dei ringiova­nenti insegnamenti si può avere da Mahabharata, Harivamsa, Srimad Bhagavatam e da Purana come il Brahma Purana, il Vaivarta Purana e via di seguito. Tra tutti questi lo Srimad Bhagavatam è la più insigne autorità. Quintessenza conden­sata di tutti gli shastra, lo Srimad Bhagavatam, il cui scopo principale è la glorificazione della bhahkti e della Krishna-lila, Lo dichiara "l'Assoluto per eccellenza".
"Quando il mondo è oppresso in ogni era dalle tiranniche conquiste dei nemici di Indra, i demoni, le Sue manifestazio­ni parziali rendono il mondo felice distruggendoli. Queste manifestazioni sono gli avatara parziali del Signore Supre­mo, Sri Krishna, che è svayam bhagavatan stesso." S.Bh. 1.3.28.
Dopo aver estesamente enumerato i principali avatara - 1. Catuhsana, 2. Varah, il divino cinghiale, 3. Narada, 4. Nara e Narayana, 5. Kapila, 6. Dattatreya. 7. Yajna, 8. Rishabha, 9. Prithu, 10. Matsya, il divino pesce, 11. Kurma, la divina tarta­ruga, 12. Dhanvantari, 13. Mohini, 14. Nrisimha, 15. Vamana, 16. Parasurama, 17. Vyasa, 18. Rama, 19. Balarama, 20. Sri Krishna, 21. Buddha. 22. Kalki - che sono così misericordiosi da apparire in differenti ere per il bene dell'umanità, Vyasadeva distingue con enfasi Sri Krishna come la Suprema personalità divina. Tutti gli altri sono solo Sue manifestazioni parziali e incarnazioni secondarie, come parti integrali, amsa, o come parti di una parte, kala. Ma Sri Krishna non è un avatara. Egli è l'avatara dal quale tutte le varie manifestazioni han­no origine. Egli è l'eterna realtà che si rivela a noi nei tre aspetti di Brahman, Paramatma e Bhagavan.
"Il tattva, la verità ultima, che i conoscitori della realtà chiamano advayajnana, è espressa con le designazioni di Brahman, Paramatma e Bhagavan." SBh. 1.2.11.
Questo sloka ci dà una bellissima esposizione della Realtà Assoluta, riassumendo in esso tutte le concezioni filosofiche delle diverse religioni del mondo. Tutte le nozioni riguardanti la Verità Assoluta trovano qui la loro collocazione. La Verità Assoluta, tattva, è descritta come advayajnana. Molto spesso questo termine viene confuso con il nirguna advaita tattva o brahman senza attributi della scuola monista. La parola advaya, uno senza paragoni ossia l'unico, è usata solo nel senso che non esiste una seconda entità uguale o superiore al Signore Supremo. Advaya non nega affatto l'esistenza di altre entità, come spesso molti interpreti vogliono fare frain­tendere. Per quanto la Realtà sia chiaramente chiamata conoscenza indivisibile", Essa si rivela ai Suoi eterogenei fedeli in differenti modi, in accordo alla particolare capacità di rea­lizzazione che essi possiedono, cioè nei tre aspetti di Brahman, Paramatma e Bhagavan. Queste rivelazioni non devono venir confuse come oggetti completamente indipendenti, bensì con­siderate come aspetti della stessa e unica realtà. La diversità di realizzazione è dovuta alla differenza del modo di vedere, derivata dai metodi divergenti adottati dai fedeli in base al loro grado di sottomissione alla Realtà Suprema.
Il primo di questi tre aspetti di rivelazione, il Brahman, è in realtà la non-qualificata, nirvisesha, ed imperfetta, asamyaka, manifestazione di Bhagavan, la personalità divina perfetta con tutte le qualità perfettamente sviluppate.
Bhagavan è abbondantemente qualificato con un numero infinito di propizi e perfetti attributi. In Bhagavan ritroviamo una completa manifestazione di tutte le shakti o energie, mentre nel Brahman esse rimangono solo allo stato potenziale. Il Brahman, in altre parole, è l'Assoluto filosofico nel quale i vari attributi e poteri rimangono indifferenziati. II Brahman senza attributi, presentato dalle Upanishad, è una manifestazione incompleta o imperfetta, asamiakia avirbhava, della Divinità Assoluta.
La Brahma Samhita 5.40 descrive questo aspetto della Divinità Suprema come lo splendore del corpo di Krishna: "Adoro Govinda, il Signore primordiale. Il Suo splendore è la sorgente del Brahman non-differenziato, menzionato nelle Upanishad, che si distingue dall'infinità di glorie dell'univer­so mondano e che appare come la Verità indivisibile, infinita ed illimitata."
A questo riguardo nella Bhagavad-gita 14.27 Sri Krishna aggiunge: "Io sono, infatti, il sostegno del Brahman e la base dell'immortalità; sono anche l'origine dell'eterna religione e della perfetta beatitudine divina."
Il Brahman è l'obiettivo finale di tutti i jnani.
II Paramatma, il secondo aspetto della manifestazione di­vina, è più qualificato del Brahman, ma quando viene parago­nato a Bhagavan rimane solo una manifestazione parziale, amsika, avendo principalmente una relazione con maya-shakti e jiva-shakti. Il Paramatma si situa come Signore immanente, tanto nell'universo materiale non-cosciente che nelle innu­merevoli jiva coscienti.
È il Paramatma, nei Suoi vari aspetti, che si prende cura della creazione, della preservazione e della distruzione dell'infinito numero di mondi. Egli è il regolatore sia della jiva individuale sia del mondo nel suo insieme. Il Paramatma è l'obiettivo finale di tutti gli astanga yogi.
Bhagavan rappresenta la più elevata tra la lunga lista d’infinite manifestazioni divine. Egli è realizzato come una per­sona alla quale sono associate le caratteristiche particolari, le potenze, gli attributi, le dimore e il seguito della sua energia interna. In Bhagavan c'è una diretta e completa manifestazione della Sua antaranga svarupa shakti, la forma della Sua energia interna. Le altre due shakti, bahiranga maya shakti o ingannevole energia esterna e tatastha jiva shakti o energia marginale delle anime individuali, sono manifestate indiret­tamente attraverso la mediazione del Suo aspetto parziale di Paramatma. Bhagavan è in possesso di tutte le shakti, è sarva shaktiman, e il summum bonum dei bhakta.
Il termine Bhagavan definisce "una persona in assoluta li­bertà da bahiranga maya shakti nella quale sono sviluppate appieno le sei qualità divine": aisvarya o maestà, il potere speciale di attrarre e tenere sotto controllo tutto ciò che è senziente e non-senziente; virya o prodezza di un'insolita e miracolosa influenza simile alle gemme preziose, agli incan­tesimi magici, e così via, capace di vincere qualsiasi potere sulla faccia della terra; yasa, rinomanza e fama, ovvero un'in­comparabile reputazione derivante da varie eccellenti qualità del corpo, della mente e della parola; sri o prosperità, com­prendente ogni tipo di ricchezza; jnana o conoscenza, in que­sto caso è meglio dire onniscienza; vairagya, spassionatezza o non-attaccamento agli oggetti del mondo materiale.
Bhagavan è completamente libero da qualsiasi influenza di sattva-guna, raja-guna e tamo-guna, gli attributi materiali. Essi sono dovuti all'influenza della Sua bahiranga maya shakti. EssendoGli sottomessa, questa shakti è incapace di esercitare una qualsiasi influenza sul suo Signore. In quanto tale, Bhagavan è ben sopra tutti questi attributi materiali.
"La natura degli attributi di Sri Hari è tale che obbliga per­sino grandi saggi che gioiscono in sé stessi, e sono completa­mente distaccati, a rendere un servizio amorevole e disinte­ressato al Signore." SBh. 1.7.10.
Le virtù e i principi descritti nei tre aspetti di Brahman, Paramatma e Bhagavan possono essere conosciuti nel loro perfetto e infinito sviluppo nella personalità di Bhagavan Sri Krishna. Lo Srimad Bhagavatam, la Brahma Samhita, la Bhagavad-gita ed una moltitudine di shastra, in modo unanime e senza ambiguità, dichiarano perciò Sri Krishna la Personalità Divina Assoluta nella quale tutti gli altri aspetti s'iden­tificano pienamente.
"Solo la conoscenza indivisibile è la verità eterna. È la verità sublime, che va aldilà della giurisdizione delle qualità mondane, l'entità completa in se stessa, onnipervadente, senza trasformazione (ciò illustra l'aspetto senza qualità, il Brahman). La stessa verità è immanente in ogni jiva, non in­fluenzata dagli eventi del mondo (ciò spiega il Paramatma, l'aspetto parziale). Il livello perfetto di conoscenza indivisibile è Bhagavan. Il saggio lo chiama con il nome Vasudeva, per­ché è figlio di Vasudeva." SBh. .i.12.11.
Molti sono dell'opinione che la Verità Assoluta, o la conoscenza, sia un'astrazione priva di qualsiasi forma, potere, nome, attributo, attività, ecc. Quest'affermazione, sebbene molto popolare tra la gente di mondo, e in qualche misura anche tra le masse, non trova un valido fondamento nell'auto­rità degli shastra. È semplicemente un'interpretazione unila­terale dei testi degli shastra. I Purana Lo proclamano infini­tamente potente. Le Sue energie sono imperscrutabili, ben ol­tre la portata del pensiero e della ragione umana, ed esse sono capaci di operare gli effetti più incredibili, andando persino oltre il possibile. Queste energie non sono delle cose specula­te o degli oggetti immaginari. Esse sono della stessa essenza del Signore. Sono entità inseparabili, ma il Signore nel Suo infinito potere le trascende tutte.
"Le shakti di Sri Visnu sono di tre tipi: 1. Para shakti (cit shakti), 2. Ksetrajna (jiva shakti), 3. Avidya shakti (maya shakti)" Visnu Purana 6.9.60.
     La para shakti è conosciuta anche come svarupa o antaranga shakti, maya shakti è conosciuta anche come bahiranga shakti e la jiva shakti come tatastha shakti o energia marginale.
La svarupa shakti è ulteriormente classificata in tre diffe­renti aspetti come sandhini, samvit e hladini shakti. Nel suo aspetto sat è sandhini. Questa sandhini shakti è l'energia di tutto ciò che esiste. Nell'aspetto cit è conosciuta come samvit, l'energia della conoscenza che s'illumina da sé. E’ l'energia che promuove l'impulso alla conoscenza. Nell'aspetto ananda è hladini, l'energia che impartisce piacere. È sotto l'influenza di quest'energia che si sperimenta gioia e felicità. La svarupa shakti ha a che fare direttamente con tutte le attività ed espan­sioni del regno divino. Maya shakti causa la creazione, il mantenimento e la distruzione del mondo fenomenico. E la jiva shakti manifesta un numero infinito di jiva, le anime individuali che sono l'espressione della tatastha o jiva shakti di Bhagavan.
Di queste tre shakti, la hladini è la più importante. Essa trascende le altre due. Sri Radhika, l'eterna consorte e la fa­vorita per eccellenza tra tutti i devoti di Bhagavan Sri Krishna, è rappresentata come la più eccelsa manifestazione della hladini shakti. Cc. Adi 4.82.
Sri Radhika ha raggiunto il più sublime stadio di mahabhava, livello che nessun altro devoto può raggiungere. L'applicazione di attributi materiali a Sri Radhika. l'immutabile personificazione della prema bhakti, è il risultato di pura e semplice ignoranza: un'assenza di adeguata comprensione della Sua reale personalità. Senza la minima distinzione ri­guardante la classificazione di sesso, Sri Radha e Sri Krishna, come shakti e shaktiman (possessore della shakti), sono iden­tici. La shakti è inseparabile dal suo possessore, come si può notare nel caso del fuoco e della sua capacità di bruciare. Di fatto shakti e shaktiman non sono per nulla due differenti per­sonalità. Sono la stessa e unica indivisibile verità, manifestata come coppia divina per azione dell'inconcepibile potenza del Signore al fine di stimolare i passatempi trascendentali.
"La principale gopi è Radha, la consorte di Sri Krishna, nella gloria e sulla terra. Radha significa `adorazione' o 'amo­re-devozione'. Sri Radha è la manifestazione personificata del principio d'amore di Sri Krishna, l'energia della Sua anima, il Principio di Sri Krishna, Colei che mette in moto il Suo amo­re. Radha è dentro Krishna come il Suo Principio di Ener­gia d'Amore, ed è fuori di Krishna come la personificazione di quel Principio. Radha è il primo Principio Attivo della Natura, l'Attivo Principio d'Amore, che inconsciamente dà nascita alla creazione e la pervade come l'energia spiri­tuale più pura. Anche Lei, come Krishna, è al di sopra e al di fuori della portata degli attributi cardinali creativi. Krishna è l'anima. Radha è il cuore dell'anima, le altre Sue otto compagne sono gli otto principali aspetti della de­vozione, e le altre gopi sono le inclinazioni e gli attributi minori della Sua mente animata.
Radha e le Sue compagne primarie sono le principali com­pagne di Krishna a Goloka. Esse vennero in gloria con Lui e presero nascita a Vrindavana come gopi. Altre gopi che parte­ciparono alla danza rasa erano manifestazioni di inni vedici e di verità che in natura sono delle entità, i centri-forma dei sentimenti e delle concezioni più pure della natura. Altre an­cora erano manifestazioni di dee, di divinità che presiedono alle forze spirituali e agli attributi della natura, mentre delle altre erano manifestazioni di alcuni dei più elevati ed illumi­nati santi, rishi, che avevano pregato in ogni nascita, per ere ed ere, di poter servire il Signore personalmente con la tenera devozione di una donna verso il suo amato. L'amore di queste gopi per Sri Krishna era assolutamente disinteressato. Esse Lo amavano per via dell'amore spontaneo e senza causa che sentivano per Lui e che la Sua personalità ispirava in loro, poiché Sri Krishna era proprio quell'amore senza causa. La danza rasa rappresentò le vibrazioni della mente assorta dell'anima, vibrazioni che riempirono l'universo con il nettare della beatitudine, distruggendo il karma di un intero kalpa, il karma che formava il prarabdha di quel tempo.
Sri Krishna danzò separatamente con ogni gopi. Ogni gopi aveva un Krishna al suo fianco. Krishna Si moltiplicò in tanti Krishna quante erano le gopi e tuttavia rimase lo stesso iden­tico Krishna. Un'anima individuale si comportò come se si trattasse di tante anime con tanti cuori e tuttavia ogni cuore vedeva una sola anima. Ogni gopi vedeva solo il proprio Krishna, ed era inconsapevole di qualsiasi altro mentre dan­zava, assorta nel suo Sri Kishna girava e girava, con le brac­cia intorno al collo, occhi negli occhi, scordando tutto, di­mentica del mondo continuava a girare nel vortice dell'esta­si, fluttuando sulle onde dell'amore, girava nella turbinosa beatitudine, l'amante e l'amato, la Piccola Anima che si av­volge intorno alla Grande Anima, la Grande Anima che versa il Suo nettare nella Piccola Anima.
Scrittori ignoranti e pudichi bigotti dell'Occidente, hanno osato definire questa gopi-lila di Sri Krishna scioccante per il senso religioso, a dispetto del fatto che più di trecento milioni di indù oggigiorno e una miriade di milioni nel passato, dei cui grandi intelletti e della cui sublime spiritualità il mondo odierno sta iniziando a stupirsi, definisce questa lila la più trascendentale tra tutte le attività che siano state mai eseguite sulla faccia del globo terrestre. In accordo a questi insignificanti critici del più grande avatara della Suprema Divini­tà, quella Suprema Divinità non può possedere nessun al­tro sentimento d'amore che quello di un Padre e di un Sal­vatore. Secondo costoro Dio non deve sentire né mostrare l'amore di un marito per la moglie o dell'amante per l'ama­ta. Se le cose fossero così, perché non ci dicono allora da dove ha preso l'uomo tali sentimenti, se non li ha avuti da Colui che lo ha generato e del Quale non è che un'immagine ne imperfetta? Dove li ha presi se non dalla sorgente stessa della creazione, della quale egli è solo una minuscola parte ed un prodotto? Questo negare a Dio il fatto di possedere i sentimenti di un amante implica una tale impertinenza che solo Dio, guidato dal Suo infinito affetto per le Sue creatu­re, può perdonare. Ciò non fa che metter in evidenza la densa ignoranza di questi critici a riguardo di origine e leggi della creazione, e delle relazioni della creazione con il suo creatore.
La Natura (la creazione) è la forza di volontà di Dio materializzata. Il volere divino è un riflesso di Dio stesso, le fasi estrinsecate della parvenza di molteplicità dell'Unico Assoluto. Dio è il marito e la Natura, l'energia del Suo Vo­lere, è Sua moglie. Dio è l'amante e la Natura è la Sua amata. Attraverso la Sua essenza onnipervadente, il solo supporto e sostentamento della Natura, Egli stringe al petto la Sua amata e danza con lei, seguendo gli intricati passi della musica delle leggi naturali. Questa è la danza rasa nel suo insieme, la danza rasa che si esegue ogni momento in Natu­ra, nascosta alla nostra visione fisica esteriore. Ciò che è vero a riguardo del grande universo è vero anche per la sua miniatura: l'uomo. Nel profondo del nostro cuore c'è la fore­sta di Vrindavana, attraverso la quale scorre il microscopico fiume blu dell'amore, la Yamuna, lambendo con brividi di gioia il boschetto erboso dove Sri Krishna - anima nostra - con le Sue gopi - le nostre aspirazioni mentali animate - ese­gue la Sua favorita danza rasa che non ha mai fine. E noi siamo all'oscuro di tutto ciò poiché la comprensione esteriore della nostra mente è rivolta al di fuori di noi, verso oggetti esterni. Se possiamo ritirare la visione della mente dall'ester­no e dirigerla nel profondo del nostro cuore, allora la fede nella danza rasa di Krishna verrà con la sua realizzazione pra­tica. Diventiamo allora dei residenti di Vraja e ognuno di noi, uomo o donna che sia, attraverso l'occhio interiore illumina­to, è una gopi che danza, non importa quello che può essere esternamente. Noi tutti siamo gopi, sia che rivestiamo la for­ma umana maschile o femminile, siamo tutti spiritualmente di natura femminile, perché Sri Krishna è l'unico maschio e tut­ti noi, parti infinitesimali, siamo tutti di natura femminile. Sia­mo tutte amanti, spose novelle e mogli del nostro unico marito, amante ed amato Sri Krishna. Nell'elaborazione delle sem­pre benefiche leggi della natura interiore, le leggi che fremo­no per il benessere dell'umanità, questa performance della costante danza rasa della Natura eseguita nel più profondo del cuore con il suo Signore, è per una volta riflessa sulla sua superficie esterna per ricolmare l'umanità e la Natura esterio­re dell'estasi della sua più grande spiritualità la benedizione dell'Amore Assoluto." (Estratti da "Sri Krishna, il Signore dell'Amore").
L'idea di tutte queste inerenti shakti stabilisce di là di ogni dubbio che la Verità Assoluta conosciuta come “Bhagavan” è una Persona Perfetta. Non è un'entità senza forma come qual­cuno Lo descrive. Egli è una persona nella quale esistono in modo inseparabile infiniti attributi ed energie. In molte parti degli shastra, parole come ananda ghan, rasa ghan e via di seguito, sono liberamente usate in associazione alla persona­lità di Bhagavan. Non si può ignorare l'importanza di queste parole. Esse ci fanno capire che Bhagavan è una persona- che possiede una Sua murti o forma. Poiché abbiamo l'abitudine di misurare ogni oggetto che ci viene posto dinanzi - e la no­stra esperienza di oggetti divini è veramente insignificante - le nostre idee di questa personalità del Signore sono per lo più erronee. L'idea stessa di una murti, o forma del Signore, ci scaraventa in un vortice di pensieri e di suggestive confusioni di speculazioni materialiste. Quasi tutti questi sforzi finiscono per somigliare al tentativo di mungere un montone.
       Questa forma del Signore non dev'essere intesa come qual­cosa di grossolano, come la forma del corpo materiale degli esseri umani. Il corpo di Bhagavan è non-fenomenale. Questo corpo consiste interamente di pura esistenza, pura conoscen­za e totale beatitudine. Come tale lo si descrive sempre come saccidananda vigrah. Questo corpo non è essenzialmente di­verso dal Suo essere. In Bhagavan non c'è la differenza di corpo organico e anima, come nel caso degli esseri umani. II Suo essere e il Suo corpo sono un'unica e identica cosa.
Gli shastra dichiarano che il corpo del Signore è come quello di un essere umano. La similarità di cui si parla riguar­da solo la forma e non gli ingredienti. In alcuni passi gli shastra parlano di Lui come senza forma. Quest'affermazione ha solo lo scopo di negare la presenza di un corpo materiale o di sensi materiali in Lui. Gli stessi shastra si dilungano pure un bel po' sulla bellezza della forma del Signore, parlando minuziosamente di ogni parte del Suo corpo, una dopo l'altra. Lo fanno forse per esporre teorie contraddittorie e aumentare la confusione nella mente delle persone ignoranti? No, mai. Essi stabiliscono con enfasi l'esistenza dell'auto-esistente for­ma naturale del Signore, che è di una sostanza puramente di­vina. II Signore non è soggetto ad alcun cambiamento, come possiamo notare invece nel caso degli oggetti materiali. Do­vuto alla Sua inconcepibile potenza, Egli è in grado però di adottare qualsiasi tipo e qualsiasi numero di forme a Suo gusto. L'ascesa e la discesa di Bhagavan hanno luogo semplice­mente mosse dal Suo libero atto di volontà. Questa forma di­vina del Signore è senza dubbio impensabile per coloro che sono inclini a pensare in modo materialista. È una questione di realizzazione e non di argomentazione.
Coloro che sono guidati dagli aridi ragionamenti empirici non riescono a comprendere questo concetto di personalità trascendentale. Questi sterili intellettuali, completamente incoscienti delle proprie limitazioni e della loro profonda inca­pacità e riluttanza ad affrontare persino il più semplice pro­blema che viene loro presentato, parlano oggigiorno come se fossero dotati di un'inesauribile riserva di impenetrabile ra­ziocinio. Affermano in modo orgoglioso che non accettano nulla, qualunque ne sia la fonte, che non sia passata per il crogiolo del loro intelletto, e non riconoscono nessuna scrit­tura per quanto autentica possa essere, né le autorevoli affer­mazioni dei santi.
Nel seguente sloka questa nozione errata è spiegata benis­simo con un'immagine.
"Le gemme sono sparse al suolo e il vetro adorna la coro­na. Solo l'ignorante confonde le due cose e pensa che il vetro sia una gemma e viceversa. Per la persona saggia, invece, il vetro sarà sempre vetro e la gemma sarà sempre una gemma".
La relazione tra le convincenti argomentazioni basate sulle realizzazioni pratiche che si trovano nelle infallibili scritture della nobile religione del sanatana dharma, e le conclusioni degli sterili empirici guidati dalla comprensione e dall'espe­rienza basata sugli ingannevoli sensi dell'uomo, soggetti ad essere vittime di molteplici errori, è sempre stata quella della gemma col vetro, ingannevole per l'ignorante, ma chiara per coloro che non sono resi ciechi dalle vane e ingiustificate pre­tese. Le conclusioni della saggezza empirica, per quanto con­vincenti possano essere alla superficie, sono solo espressioni di mezze verità e di menzogne.
Questi dotti empirici pensano che quando l'Assoluto desi­dera rendersi manifesto in questo mondo, Egli lo faccia en­trando in un corpo fatto di carne, sangue ed ossa. Per una que­stione di comprensione essi usano allora la parola incarnazione per tali manifestazioni divine. Questa conclusione è com­pletamente infondata, ed è dovuta all'assenza di un appro­priato concetto riguardante la natura e le potenzialità del Signore Divino. Nella Bhagavad-gita 9.11 lo stesso Sri Krishna mette nella giusta luce questo punto in discussione.
"Le persone influenzate dall'estrema ignoranza non danno la giusta importanza alla Mia forma umana, poiché sono com­pletamente all'oscuro della Mia vera natura suprema e del fatto che lo sono il Signore Supremo dell'universo."
Un grande santo dell'era moderna, originario del Bengala, ha interpretato questo sloka in modo semplice ed ispirante: "La Mia vera ed eterna forma, grossolanamente frainte­sa dalle persone che sono sotto l'influenza dell'assoluta igno­ranza, è invariabilmente composta da sat (esistenza), cit (co­noscenza) e ananda (beatitudine). Le Mie energie funzionano in accordo alla Mia volontà e alla Mia grazia, ma lo rimango estraneo a tutte le loro azioni. Mi rendo visibile al mondo materiale ogni qualvolta Io lo desidero. Questa ap­parizione avviene attraverso l'opera della Mia potenza in­terna ed è fondamentalmente guidata dalla Mia compas­sione verso le anime cadute. Essendo sottomessa a Me, la Mia energia non può avere alcuna influenza su di Me. Io sono completamente di là dalla comprensione di qualsiasi natura o legge materiale. Sono onnipotente e auto-splendente la Mia volontà è la causa del Mio venire al mondo. Nessun altro potere è capace di indurMi ad una tale mani­festazione. Quelli che sono abbastanza ignoranti della Mia natura eterna e della Mia personalità, Mi associano a vari attributi materiali. La Mia Suprema Personalità assomi­glia ad una forma umana, ma è completamente non­fenomenica. È una Forma di inimitabile bellezza, di un'eter­na adolescenza e di una statura media. Questi ignoranti credono che questa Mia forma eterna sia una di quelle mortali, soggetta all'influenza di Maya o Mia potenza in­gannevole" Sarartha-varsini.
Le scritture descrivono la forma del Signore talvolta a due braccia e altre volte a quattro o più braccia, provvista dei vari arti ed organi - testa, occhi, piedi, e così via. In realtà tutte le varie forme manifestate dal Signore sono eterne e coesistono in Lui. Tra tutte, quella a due braccia, con un meraviglioso flauto tra le mani, è la migliore e la più bella.
I vari attributi di Bhagavan, spiegati negli shastra, non sono imposti su di Lui dall'esterno. Sono invece aspetti invariabili del Suo sé e come tali sono tutti Suoi attributi inerenti.
Questi attributi possono essere così riassunti: 1. capacità di pervadere e compenetrare oggetti e luoghi: 2. capacità di ma­nifestarsi autonomamente; 3. capacità di essere ben oltre i corpi grossolani e sottili; 4. capacità di non essere soggetto a tra­sformazioni o cambiamenti come nascita, esistenza, crescita, trasformazione, decadenza e distruzione; 5. capacità di rima­nere invisibile agli occhi dei mortali; 6. capacità di essere di là dall'influenza materiale in questioni come la nascita, la for­ma e l'azione.
Dagli innumerevoli e non equivoci testi dei vari shastra si può, senza alcuna difficoltà, capire la vera natura e la vera personalità di Bhagavan, e come essa sia pienamente identifi­cata con la personalità di Sri Krishna. Krishna non è solo sem­plicemente un avatara, come molti credono, ma l'avatari, l'origine di tutti gli avatara, l'Assoluto per eccellenza. In questa breve narrazione è impossibile trattare di tutti questi minuziosi dettagli.
" Sri Krishna, che è conosciuto come Govinda, è la Divinità Suprema. Egli ha un corpo formato di eternità, conoscenza e beatitudine. Egli è senza inizio, è l'origine di tutto, ed è la causa di tutte le cause" Brahma Samhita 5.1.
Le manifestazioni o avatara di Sri Krishna sono innumere­voli come le onde dell'oceano. Esse sono principalmente sud­divise in sei gruppi: 1. Purushavatara, 2. Gunavatara, 3. Lilavatara, 4. Manvantaravatara, 5. Yugavatara, 6. Saktyavesavatara.
Sebbene categoricamente non ci sia alcuna differenza tra i vari avatara del Signore, tuttavia Sri Krishna è superiore a tutti gli altri, in quanto ci sono certe speciali qualità in Lui che sono esclusive e che non si trovano nei Suoi avatara appartenenti alle suddette sei categorie.
Questa differenza non deve essere vista da un punto di vista materiale di superiorità o inferiorità. Una qualsiasi discri­minazione del genere, di natura mondana, sarebbe la blasfema perpetrazione di una grave offesa contro il Signore. Le conse­guenze di tali offese sono niente meno che una totale danna­zione.
Le qualità del Signore Supremo Sri Krishna sono innume­revoli. Queste qualità, sperimentate ed espresse dai Suoi de­voti favoriti, sono state riassunte in numero di sessantaquattro come segue:
1 Possiede un corpo affascinante. 2 Possiede tutte le carat­teristiche eccellenti. 3 Fulgido. 4 Eroico e raggiante. 5 Forte. 6 Giovane. 7 Esperto in molte e strane lingue. 8 Veritiero. 9 In grado di parlare in modo piacevole. 10 Eloquente. 11 Erudito e saggio. 12 Intelligente. 13 Geniale. 14 Abile e astuto. 15 Ingegnoso. 16 Esperto e veloce. 17 Riconoscente. 18 Risolu­to. 19 Possiede una conoscenza adatta a tempo, luogo e circo­stanza. 20 Agisce in accordo agli shastra. 21 Puro e purifican­te. 22 Si autocontrolla. 23 Fermo e costante. 24 In grado di sopportare sofferenze intollerabili. 25 Sa perdonare. 26 Pro­fondo. 27 Soddisfatto e placido. 28 Equilibrato. 29 Liberale nel dare. 30 Pronto ad eseguire il proprio dovere. 31 Corag­gioso. 32 Compassionevole. 33 Rispettoso. 34 Amabile e di buon comportamento. 35 Umile. 36 Modesto. 37 Protettore dei devoti. 38 Felice. 39 Amico dei devoti. 40 Controllabile dall'amore. 41 Generoso con tutti. 42 Capace di sottomettere i nemici. 43 Famoso. 44 Popolare. 45 Parziale verso il buono, e rifugio per il buono e il virtuoso. 46 Incantatore delle donne. 47 Eminentemente adorabile, venerato da tutti. 48 Prospero. 49 Preminente. 50 Indipendente e supremo.
In modo molto limitato le suddette qualità sono presenti anche negli esseri umani.
51 Incondizionato. 52 Onnisciente. 53 Sempre nuovo. 54 Possiede una forma compatta auto-esistente, auto-cosciente e piena di beatitudine. 55. Possiede tutti i poteri e le perfezioni.
Queste 55 qualità sono presenti in personalità come Brahma e Shiva, in modo maggiore rispetto agli esseri umani, ma notevolmente inferiore nei confronti di Bhagavan.
56 Possiede un numero infinito e indescrivibile di poteri 57 Mantiene un'infinità di universi e vi manifesta milioni e milioni di forme diverse. 58 È il seme di tutti gli avatara. 59 Dà la liberazione, mukti, ai nemici da Lui uccisi. 60 Per una moltitudine di anime liberate personifica l'attrazione­
Tutte queste 60 qualità sono presenti in una forma perfetta in Sri Narayana ed altri importanti avatara del Signore.
61 È un oceano dei più meravigliosi e affascinanti passa­tempi. 62 È sempre circondato da una moltitudine di devoti esperti nel loro incomparabile, confidenziale e amorevole ser­vizio reso a Lui. 63 È un incantevole flautista che attrae la mente degli abitanti dei tre mondi con la melodiosa musica del Suo flauto. 64 Possiede una forma dolce e meravigliosamente affascinante, senza eguali, che non solo attrae le entità mobili e immobili, ma incanta anche Lui stesso (Brs 2.1.23-24; 2.1.45-217).
         Tutte queste 64 qualità divine sono presenti in Sri Krishna nella loro condizione perfettamente sviluppata. Come abbiamo già detto, le qualità divine di Krishna sono infinite. Non si esauriscono mai, e nessuno può comprendere il limite di tali virtù. Queste qualità, guna, non sono prakrta o fenomeniche (Brs 2.1.210).
Sri Krishna si distingue dagli altri avatara in virtù della Sua madhurya o dolcezza.
Egli è un oceano di passatempi trascendentali nei quali le inesauribili onde dei lila tengono i devoti immersi in estrema meraviglia ed incanto. Il magico rapimento che questi passa­tempi creano nel cuore dei devoti, va ben oltre ogni capacità di espressione. Non ci sono vocaboli nel linguaggio umano, in quello celestiale o in qualsiasi altro, che possano rendere piena giustizia a questi passatempi del Signore che catturano l'anima.
Nel Brihad Vamana Purana Uddhava dice:
"Lasciate che i deliziosi passatempi e le innumerevoli ma­nifestazioni di Sri Narayana, il Signore di Laksmi, appaiano nel mio cuore, ma la meravigliosa danza rasa che incanta per­sino il cuore del mio Signore Sri Krishna, il Signore di Dvaraka, è davvero incantevolmente seducente per me. " Riportato nel Brs 2.1.210.
Sri Krishna manifesta i Suoi passatempi nelle Sue tre di­more eterne di Dvaraka, Mathura e Vrindavana. Giudicando dal punto di vista del madhurya rasasvada, Sri Krishna si manifesta in modo completo a Dvaraka, in modo più comple­to a Mathura e al massimo della completezza a Vrindavana. Quando lascia Vrindavana non va a risiedere in nessun altro posto oltre i due qui sopra menzionati. Vrindavana è il luogo preferito da Sri Krishna per i Suoi passatempi (Adi Purana).
"Essendo solo Amore, Sri Krishna non conosce nient'al­tro che l'amore, dà e accetta solo amore, non fa che amore, respira solo amore, parla solo ed esclusivamente amore: Sri Krishna è Amore stesso. L'Amore che distrugge ogni distanza. L'Amore che porta amante e amata il più vicino possibile l’uno all'altra. Non conosce nessuna cerimonia. Non conosce nessun rispetto formale. Non conosce nessuna motivazione. L'Amore è da sé causa, motivo e soddisfazione. La Divinità richiede la nostra riverenza e ci ispira rispetto. No­nostante la Sua forte attrazione non possiamo che adorarla mantenendo le distanze, non possiamo avvicinarla troppo. Ma l'Amore ci trascina sul suo petto e ci tiene stretti. L'Amore è un padrone e l'Amore è uno schiavo. Non conosce barrie­re, non vede difetti, anzi, vede virtù nei difetti. Risponde alla sua chiara chiamata o vibra alla voce della sua ispirazione e benedice la sua creazione con più grandi doni della sua stessa ricchezza.
Nei quattro tipi di bhakti, cioè dasva, sakhya, vatsalya e madhurya, quest'ultimo, ossia il sentimento di una moglie amorevole verso il suo signore, riassume l'essenza dei prece­denti tre sentimenti. È il più elevato ed affettuoso sentimento devozionale. La vera moglie è la serva, l'amica, la madre e l'amante del marito. È schiava, uguale, e superiore in virtù del suo illimitato amore. Ogni forma d'amore puro è sottomissione spontanea. L'amore che non conosce l'abban­dono o il sacrificio è una presa in giro. Prende in giro più sé stesso che il suo oggetto, perché il sacrificio è la sua pro­va principale e la sua migliore espressione. L' Amore che ama solo se riamato è puro egoismo. È auto-inganno. Ma l'Amore che ama senza motivazione e trova piena soddi­sfazione in se stesso, l'Amore che ama chiunque e qualun­que cosa il suo oggetto ami, questo è l'Amore Assoluto che Sri Krishna rappresenta. L'anima che lo sviluppa lega Sri Krishna e lo fa suo prigioniero per sempre. Quando questo amore sviluppa l'affettuosità di una moglie amorevole, esso cattura il cuore dei cuori e manda in estasi l'anima delle anime, Sri Krishna.
"Quei sadhu che hanno fissato il cuore e la mente in Me, e che condividono il dolore degli altri come se fosse il loro, Mi conquistano attraverso la devozione amorevole, come una casta e virtuosa moglie che è devotamente fedele al suo ugualmen­te premuroso e devoto marito." S.Bh. 1.4.66.
Il legame di relazione che esiste tra l'amante e l'amato va un passo più in là di quello di cui si parla sopra. Oltrepassa tutte le barriere sociali e le convinzioni formali, le responsa­bilità obbligatorie, la reverenza, il conservatorismo e cose del genere, e prosegue dritto verso le insondabili profondità di un libero e raffinato amore.
Questo sentimento trova una bellissima espressione nel seguente sloka:
"Una donna che avendo un marito intrattiene un'altra relazione amorosa, sebbene impegnata nelle sue faccende di casa, gode nel profondo del cuore il rapimento di un'unio­ne sempre nuova con l'amante." C.c. Madhya 1.211.
L'intensità dei sentimenti per il suo amante non conosce limiti, perché è qualcosa d'inspiegabile che si sia innamorata dell'amante, e tutto ciò sia successo mentre l'oggetto del suo amore carnale, il marito, vive accanto a lei. Lei ama l'aman­te malgrado se stessa. L'andamento dell'amore illecito è molto strano. Corre voce che l'amore sia cieco, ma l'amore illecito definitivamente lo è. Le sue vie sono contorte. Nel suo cuore lei si sente sempre così: "Quanto più benefico sarebbe stato se questa spina nella forma di marito fosse rimossa per spia­nare la strada di casa all'amante, in modo da poterlo servire con la mente, l'anima e il corpo. " Nella maggioranza dei casi, per una persona imparziale, l'amante è visto come molto in­feriore rispetto al di lei marito per quanto riguarda l'aspetto, il fisico e la ricchezza, ma lei è sotto l'incontrollabile incan­tesimo di quel cieco e intenso amore carnale che non consi­dera nessun rischio troppo grande per incontrare l'oggetto del suo amore, poiché le opportunità di incontrarsi sono po­che e lontane l'una dall'altra. Così ogni incontro diventa per lei una novità, dal momento che include nuove scappatelle, scalate e fughe per un pelo, da sormontare. Tutti i particolari del suo incontro con lui, le rimangono freschi nella memoria per un periodo più lungo che nel caso del suo primo incontro con il marito. L'intensità del sentimento d'amore, sebbene illecito, è incontrollabile. Similmente un devoto che coltiva la devozione amorevole verso Sri Krishna, sebbene appa­rentemente impegnato in attività mondane, nei profondi recessi del suo cuore sta segretamente nutrendo un intenso sentimento di amore divino per Sri Krishna e continua a gustare la sempre nuova deliziosa dolcezza della perenne­mente fresca relazione o comunione con il suo amato Sri Krishna, senza darlo per nulla ad intendere dall'esterno.
Egli è sempre circondato da una moltitudine di devoti amo­revoli, la profondità dei cui sentimenti non trova analogia da nessun'altra parte.
"Oh amato tra gli amati! Quando vai via durante il giorno verso i pascoli di Vraja, noi siamo completamente private della Tua vista. Per noi quei momenti di separazione sono come un'eternità, e quando alla fine della giornata, al Tuo ritorno dai pascoli, ancora una volta Ti vediamo e saziamo la nostra bramosia contemplando il Tuo ammaliante volto, abbellito da fluenti riccioli, non possiamo sopportare di perderti di vi­sta nemmeno per una frazione di secondo. La nostra impa­zienza raggiunge il suo limite, e consideriamo il creatore Brahma uno sciocco incompetente per aver creato le ciglia che ci privano per un attimo della Tua vista con il loro batti­to." SBh. 10.31.15.
"Oh distruttore del demone Agha! Dovuto alla Tua incan­tevole compagnia, molte di quelle memorabili notti al chiaro di luna son volate via come un battito di ciglia. Ahinoi! Afflit­te come siamo per il dolore della separazione da Te, ora anche una frazione di secondo sembra che duri più a lungo di tutta un'era." Brs 2.1.212.
Il potere che ha il meraviglioso flauto di Krishna di far impazzire l'anima è argomento comune molto discusso in di­verse maniere. Chi in India non ha mai sentito parlare degli incantevoli risultati di questo misterioso strumento?
"Quando Sri Krishna suona il Suo flauto, nelle originali e variegate tonalità che catturano l'anima, elevati esseri celesti come Indra, Shiva, Brahma e molti altri come Skanda, Katyayani, Ganesa e altri, le ascoltano con la testa e il cuore colmi di riverenza. Sebbene essi siano tutti grandi esperti, persino maestri in varie tonalità e ritmi, essi rimangono con­fusi di fronte ai nuovi tipi di tonalità e alle loro melodie." SBh 10.35.15.
Voler parlare delle glorie di quest'incantevole e preferito strumento di Sri Krishna, è paragonabile ai tentativi di un pig­meo di afferrare la luna. Il melodioso suono di questo flauto generò inesprimibili e inimmaginabili meraviglie nel cuore di saggi come Sanaka e Sanatana. La loro meditazione fu molto disturbata, essendo stata la mente completamente catturata da quel suono. Su in alto nel cielo i movimenti delle nuvole si arrestarono. Narada, con il suo celebrato tambura, fu ripetutamente sopraffatto da ineffabile gioia e interminabile sorpresa. Brahma rimase talmente sbalordito che non ci sono parole per descriverlo. Nel cuore del re Bali fece aumentare la bramosia che si accompagna all'agitazione, e il grande Si­gnore Anantadeva scosse la testa con gioia immensa. Tali sono gli sbalorditivi effetti di questo strumento che penetrarono e si diffusero in tutte e dieci le direzioni.
Quanto fu tremenda la sua influenza nei cuori delle pastorelle di Vraja, incondizionatamente dedicati a Sri Krishna. Esse rimasero completamente confuse persino nelle loro atti­vità quotidiane. Senza la minima esitazione, esse abbandona­rono i parenti più vicini e le regole sociali. Non si preoccupa­rono neppure del proprio corpo, che ognuno si tiene molto caro. Quale meraviglioso raggiungimento! Persino i movimenti del sole e della luna, e anche la ruota del tempo, tutti si ferma­rono. I fiumi iniziarono a fluire controcorrente, le cose mobili diventarono immobili e viceversa. Gli uccelli, le bestie, e le altre forme di vita, tutti persero la loro coscienza. Tutto ciò che era cosciente diventò incosciente, e viceversa.
"Bhagavan Sri Krishna manifestò in questo mondo la Sua forma divina per mezzo della Sua Yogamaya, per far capire a tutti la miracolosa capacità della Sua energia interna. Essa è in grado di manifestare delle forme straordinariamente bellis­sime, che sono anche le più adatte per i Suoi passatempi con gli esseri umani. Questa forma è così affascinante non solo per il mondo, ma anche per Sri Krishna, tanto che Lui stesso ne rimane incantato. È il pinnacolo dell'eccellenza e della perfezione, un affascinante ornamento per gli ornamenti, un miracolo di bellezza impareggiabile." C.c. Adi 4.147-148.
"Quale donna nei tre mondi, oh amato Signore Sri Krishna, dopo essere stata sedotta dalle ultra-melodiose e incantevoli tonalità del Tuo meraviglioso flauto, non devierebbe dai co­dici morali prescritti dalla sua religione? Contemplando la Tua più che affascinante forma, che incanta i cuori di tutte le enti­tà dei tre mondi, le mucche, gli animali, gli uccelli e persino gli alberi si fermano stupefatti da una gioia incomparabile." S.Bh 10.21.40.
Sri Krishna vedendoSi riflesso sul muro ornato di gemme rimase sbalordito dalla Sua bellezza estremamente attraente e disse tra sé e sé:
"Questo affascinante flusso di squisita dolcezza, mai com­presa da Me prima, Mi travolge. Ahimè! Anch'Io, bramoso di gustare la Sua dolcezza come Sri Radhika, desidero ardente­mente godere di Lui." Cc. Madhya 8.147-148.
"Oh! Quanto è dolce davvero questa forma di Sri Krishna. Oh! Il Suo volto! Come descriverlo!?! Sorpassa tutti i concetti di bellezza, e la dolce fragranza che emana dal Suo corpo è eccezionalmente ammaliante. Il Suo dolce e gentile sorriso è meravigliosamente affascinante e infinitamente dolce." Krishna karnamrita, 12.
Da quel che è stato finora spiegato, va da sé che in quanto a bellezza Sri Krishna non ha paragoni. Persino Cupido si sente preoccupato davanti ad una tale incomparabile bellezza. Que­sto incantatore di Vrindavana è sempre nell'affascinante alba dell'eterna giovinezza. Egli è sempre nell'ammaliante giovi­nezza che si può notare all'inizio del quindicesimo anno di età. Ogni Suo arto è in grado di eseguire la funzione di tutti gli altri; la più che affascinante forma "curvata in tre punti", con il flauto dai poteri meravigliosi, è la Sua forma eterna. (Vedi Brahma-samhita 5.33 e 5.31.)
Come si sarà già compreso, Sri Krishna si distingue come superiore a tutte le altre Sue manifestazioni per via delle sud­dette quattro qualificazioni speciali. Esse sono assenti nelle altre apparizioni del Signore che si son fatte da noi conoscere.
Chi non sarebbe tentato di contemplare con i propri occhi una tale incantevole figura? Certamente ogni uomo e ogni donna lo desidera, ma come fare? Egli non è visibile agli oc­chi materiali che rincorrono le varie forme di questo mondo, cercando di goderne. La Sua bellezza può essere sperimen­tata solo da quella fortunata persona che ha gli occhi im­pregnati di amorosa devozione.
"Adoro Govinda, il Signore primordiale, Syamasundara Sri Krishna dagli inconcepibili e innumerevoli attributi. Lui, che i puri devoti vedono nel cuore attraverso gli occhi della devo­zione unti col balsamo dell'amore." Brahma-samhita 5.38.
In aggiunta, Sri Krishna è la personificazione di tutte le dolci qualità, rasa, assommanti a dodici.(Brs. 2.5.115-116). Di queste, cinque sono preminenti e sette sono secondarie. La posizione unica di Sri Krishna è tale, che qualsiasi devoto, con uno qualunque dei cinque rasa principali, Lo può adorare fino a Sua completa soddisfazione. Le altre manifestazioni del Signore non possiedono questa capacità. Esse possono essere avvicinate con specifici e limitati tipi di questi rasa. Anche Sri Ramacandra, rispetto ad altre manifestazioni del Signore, può essere adorato da altri rasa in aggiunta a queste qualità. Ma nelle forme di adorazione di tutte queste manife­stazioni il sentimento dominante è quello di timore e riveren­za. Di conseguenza la perfetta e ben sviluppata forma di ado­razione mossa dall'amore spontaneo o prema, non si può os­servare nel corso di servizio reso ad altri avatara. La solita­ria eccezione di questo servizio d'amore si può notare solo nella personalità di Sri Krishna. In Lui notiamo una rara e meravigliosa combinazione con tutti gli attributi e rasa.
"Quando Sri Krishna, accompagnato dal fratello maggiore Balarama, entrò nell'arena di Kamsa, sebbene fosse in tenera età e possedesse ovviamente un corpo molto delicato ed un'inesprimibile dolce carnagione, ai due lottatori Mustika e Canura, entrambi dotati di corpi dalla forza erculea e arti di granito, possenti come montagne, Egli sembrò duro e possente come un fulmine. A tutte le persone lì riunite, specialmente ai residenti di Mathura, Egli appariva come la gemma degli uo­mini. Le giovani donne Lo vedevano come un autentico Cupi­do in forma visibile. I pastorelli o gopa, Lo vedevano come un loro parente. Egli era il castigatore severo per i governanti malvagi e gli oppressori delle persone buone, degli innocenti e dei devoti. Per i Suoi genitori, Nanda, Vasudeva, Devaki, era un bambino, un oggetto di compassione. Appariva come la morte crudele per Kamsa, come un essere umano ordinario per gli ignoranti e gli offensori, quali i fedeli servitori, i sacer­doti e i vari complici del malvagio Kamsa; come la suprema realtà per i saggi come Sanaka; come la Divinità Assoluta, il vero oggetto della loro adorazione, per i membri della razza Vrsni." SBh.10.43.17.
' L'umanità, con la sua limitata capacità di comprensione, è assolutamente incapace di misurare la portata delle Sue innu­merevoli glorie, che sono causa di enigmatica perplessità per­sino per grandi deva e saggi.
"Offro i miei innumerevoli omaggi al Signore Supremo che gli stessi Brahma, Varuna, Indra, Rudra e Maruta magnifica­no cantandone le lodi divine. I Veda, con le Upanishad ed altri testi complementari, Lo elogiano continuamente. I Suoi pregi sono cantati dai seguaci del Sama Veda. Gli yogi Lo contemplano nella loro mente persa nella completa contem­plazione, ed il limite e l'estensione delle Sue glorie sono in­comprensibili persino ai deva e agli asura." S.Bh.12.13.1
"Mi prostro in segno di omaggio a Sri Krishna, possessore delle più meravigliose ed incomprensibili energie di piacere. Attraverso un Suo semplice atto di volontà, un vasto oceano si trasforma in un tratto di terra, ed un pezzo di terra ordinario in un oceano, atomiche e microscopiche particelle di polvere si trasformano in un'immensa montagna e le montagne in ato­mi, un debole filo d'erba diventa un potente fulmine e un ful­mine si trasforma in un filo d'erba, un fuoco ardente diventa un blocco di ghiaccio ed il freddo ghiaccio può sviluppare la capacità delle cose roventi." Padyavali 6
"È per via di queste sei virtù - 1. l'affetto filiale, 2. dare rifugio ai deboli, 3. salvare i sofferenti, 4. un'estrema munifi­cenza, 5. la capacità di distruggere i peccati e 6. offrire innu­merevoli altri raggiungimenti di buon auspicio - che solo Sri Krishna, il Supremo Signore di tutti i mondi, dev'essere da noi adorato come ne danno testimonianza i grandi devoti qua­li Prahlada, Vibhisana, Gajendra, Draupadi, Ahalya e Dhruva attraverso i loro casi individuali." Padyavali 7
"Che c'è da meravigliarsi se l'importanza del sacro fiume Gange, l'antico luogo di pellegrinaggio di gran rinomanza che ha lavato i piedi di Bhagavan, è reso insignificante dalle cre­scenti meravigliose glorie di Sri Krishna, il più grande tra tut­te le persone sante, che apparendo ora nella dinastia degli Yadhu brilla di una luce mai vista prima. Per questo motivo l'importanza dei luoghi sacri di pellegrinaggio e dei santuari si è enormemente ridotta. È una meraviglia tra le meraviglie che sia dei nemici come Kamsa sia i Suoi devoti prediletti come i Vrajadevi siano venuti a contatto con la Sua vera iden­tità: i primi immergendosi nel Suo splendore e i secondi go­dendo della compagnia della Sua affascinante svarupa. Non è una scioccante sorpresa che l'eccelsa Laksmi, alla quale si rivolgono con ripetuti sforzi i grandi deva capeggiati da Brahma per ottenere una particella della Sua grazia, fallì nel godere della compagnia di Sri Krishna come le gopi che eb­bero accesso alla famosa danza rasa? Che meraviglioso ottenimento! Sì, le due sillabe kri e shna sono di gran lunga superiori ai nomi delle Sue manifestazioni parziali, quali Narayana e via di seguito, e producono meraviglie superiori all'efficacia di cui è stato scritto. L'ascolto e il canto di quelle sillabe salvano l'umanità da tutto ciò che è nefasto. Quel nome supera tutti gli altri nella Sua capacità di concedere la più sublime munificenza: krishna prema. Stabilire i rispettivi do­veri nelle varie dinastie dei rishi, cosa che libera l'umanità e la terra da tutti i mali e mantiene anche l'universo intero, si può accreditare solo ed unicamente a Sri Krishna. C'è forse da stupirsi perciò se Lui distrugge il peso dei peccati della terra con la Sua arma, la ruota del tempo? Niente affatto. Li­berare la terra dal peso dei peccati, attività di cui la gente si stupisce, per Sri Krishna non è per niente un'impresa. Per Lui è un semplice gioco da ragazzi." S.Bh.10.10.47.
Persino i granelli di sabbia sulla spiaggia, o le stelle della galassia, possono possibilmente essere contati, ma è certamen­te impossibile contare le innumerevoli glorie di Sri Krishna.
Il grande Ananta Deva, con le Sue migliaia di bocche che le declamano da un numero infinito di anni, accetta apertamen­te la sua sconfitta nell'impresa di rendere piena giustizia fos­se anche solo ad una porzione delle attività di Sri Krishna. Stando così le cose, come potremmo noi esseri umani, vitti­me di infinite inabilità ed imperfezioni, brancolanti nell'oscu­rità, situati nel mezzo di tutte le sfavorevoli condizioni am­bientali, assediati da interminabili ostacoli, parlare delle divi­ne qualità di Sri Krishna? È solamente la Sua misericordia che ci permette di parlare anche solo per questo poco di Lui. La nostra conoscenza di Lui dipende soprattutto dal grado di misericordia che abbiamo da Lui ottenuto. Proprio come dif­ferenti uccelli che volano nel vasto cielo si sentono soddisfat­ti credendo di aver raggiunto la più alta posizione, allo stesso modo gli esseri umani si sentono felici dando libero sfogo, secondo le loro limitate capacità, a certe espressioni su Sri Krishna e sulle Sue insondabili qualità. Proprio come Sri Krishna si distingue in materia di bellezza, dolcezza, capaci­tà, profondità dell'amore e passatempi trascendentali, così il Suo nome occupa una posizione superiore a tutti gli altri nomi del Signore. I nomi di Bhagavan sono infiniti. Nessuno li può limitare. Tuttavia, per Sua misericordia, `i mille nomi' si sono manifestati in questo mondo nelle parole del grande Shiva. "Un singolo nome Rama equivale a pronunciare mille altri nomi di Sri Visnu, così come una singola pronuncia della parola Krishna, per una volta, da più che a sufficienza lo stesso risultato ottenuto ripetendo per tre volte i sacri mille nomi, sahasranama". Padma Purana, Rama-astottara-sat­Nama, 9; Brahmanda Purana; Krishna-astottara-sat-Nama; Hari-bhakti-vilasa 2.11.488
"Kri e shna, queste due sillabe! Ah! Che meravigliosa fontana di gioia ineffabile! È veramente uno sforzo vano cercare di misurare il limite della beatitudine incomparabile che questo nome contiene. Come posso esprimere le Sue sbalorditive esperienze? La Sua dolcezza è inesprimibile, inimmaginabile, Quando danza selvaggiamente sulla lingua, crea improv­visamente un ardente desiderio di possedere un infinito nu­mero di lingue contemporaneamente. Quando penetra nelle cavità auricolari, insorge automaticamente un desiderio ar­dente di avere migliaia di orecchie. Non appena diventa l'ami­co del cuore, nell'arena della coscienza, allora sopraffa' le azio­ni di tutti i sensi e li costringe tutti a renderGli servizio. È di là della mia comprensione valutare di che tipo di intensamente misteriosa dolcezza le due sillabe kri-shna siano imbevute."  Vidagdha-madhava 1.15.
"Come è benedetto Sahasraksha (Indra), per aver avuto in dono migliaia di occhi per godere della bellezza divina di Sri Krishna! Maledetto sia quel Brahma per aver dato agli uomi­ni solo due occhi e anche quelli con le ciglia che impediscono la Sua continua visione. Che fortuna sarebbe stata se tutti i sensi umani avessero avuto il potere della visione. Oh! A qua­le stato di estasi mentale sono portate le persone nel loro ar­dente desiderio di avere la Sua visione completa!" Brihad Bhagavatamrta 2.5. 110.
"Lasciami avere centinaia di milioni di occhi per godere della Tua bellezza ed uno stesso numero di orecchie per senti­re la Tua voce melodiosa. Un uguale numero di nasi per inalare le inondazioni della Tua fragranza, milioni e milioni di lin­gue per gustare la Tua innata dolcezza, e miliardi di cuori per abbracciarTi". Sri Visvanatha Cakravarthi.
Dalle suddette considerazioni relative alla svarupa di Sri Krishna, alla sublime posizione da Lui occupata, e alla spe­ciale capacità del Suo nome, in particolare "Krishna", si spe­ra di aver dato risposta alla maggior parte dei dubbi sull'ac­cettazione da parte di Mayadevi del Sri Krishna Nama-mantra.

CAPITOLO 5
IL MAESTRO SPIRITUALE
E LA SOTTOMISSIONE SPONTANEA
L'avvento di Sri Krishna Caitanya Mahaprabhu in questo mondo è un evento degno di gran nota persino per i più eleva­ti esseri celesti, come Brahma e Shiva, e per saggi della repu­tazione di Sanaka, Sanandana, Sanatana. Sanat Kumara. Bramosi di gustare la più elevata e rara beatitudine. essi han­no preso nascita sulla terra, ed essendo stati benedetti con il divino nome, danzano, cantano e si perdono nelle onde del­la beatitudine divina. Non fanno eccezione neanche devoti del livello di Narada e Prahlada. Assumendo la forma umana, anch'essi bevono l'ambrosia che fluisce dalla sorgente ine­sauribile del nome trascendentale. Anche Lakshmi ed altre consorti di Sri Visnu. tentate dallo stesso desiderio, hanno preso nascita in questo mondo mortale nella forma umana, e lo stanno gustando. Che dir degli altri, se Sri Krishna stesso sta gu­stando la dolcezza del Suo nome! Stando così le cose. per­ché meravigliarsi davanti alla richiesta di Mayadevi?
Ci sono molti che predicano contro l'idea di accettare una guida spirituale. Queste persone girano per i paesi e fanno veementi discorsi criticando il principio stesso di maestro. Il dovere del guru è quello di illuminare le persone ignoranti, rimuovendo i loro malintesi in questioni di carattere spirituale e gettando sufficiente luce in modo che esse non siano sviate da pseudo propagandisti. Il guru, attraverso la sua speciale misericordia ed influenza, aiuta il degno discepolo a cambia­re l'avversione per Dio in un'attiva conversione verso di Lui e verso il servizio che Gli si rende.
Alcuni, ben pochi in effetti, che pur essendo contrari al­l'idea di un maestro, sono per natura leggermente più miti, si fanno passare per moderati e si presentano con dei diversi punti di vista. Essi sono favorevoli al principio del servizio al Signore Supremo, ma protestano con enfasi contro l'idea che ci si debba sottomettere a qualcun altro. Non approvano l'idea che un'altra persona in questo mondo, per quanto sublime sia, possa controllare il loro modo di vivere e dettar loro delle condizioni. Essi sono dell'opinione che non ci sia proposta più umiliante, per un uomo, che chiedergli di sottomettersi in modo incondizionato ad un'altra persona che essi ritengono sia fatta della loro stessa stoffa.
Non c'è nulla in questo mondo, di carattere spirituale o materiale, che un essere umano possa capire senza l'aiuto di una guida. L'importanza di una guida è sentita in modo cospi­cuo in ogni campo di conoscenza. Il bisogno imperativo di una tale persona non può mai essere trascurato, persino nell'acquisizione della conoscenza riguardante quegli oggetti propri del campo di ricerca sintetica e analitica possibile per l'abilità umana, che dire allora della conoscenza di Dio che è ben oltre la portata dell'intelligenza umana. Quando la com­prensione dei segreti di oggetti che rientrano nella sfera d'ispe­zione dei sensi tangibili è completamente impossibile senza l'esperta guida di un aiuto esterno, come possiamo aver suc­cesso, senza aiuto alcuno, nel farci un'idea di Uno dichiarato "trascendentale" dai migliori cervelli e dalle sacre scritture?
Cerchiamo di seguire ciò che Bhagavan Sri Krishna, in modo specifico, ha detto a questo proposito nella Bhagavad­gita 4.34: "Impara la verità divina con spirito sottomesso, domande sincere e un servizio obbediente a quelle gran persone che non sono solo eruditi, ma hanno realizzato l'Assoluto." La posizione del guru e del discepolo è così spiegata in modo esplicito. II guru, al contrario di quello che molti arro­ganti elementi della società credono, non è una persona ordi­naria come noi, non è nemmeno un topo di biblioteca, o uno studioso di qualche opera in sanscrito, né un esperto di truffe verbali. Egli è una persona che ha realizzato l'Assoluto, ed è perciò sufficientemente competente a far comprendere ad al­tri l'eterna Verità. Chi non l'ha realizzata non può essere un precettore spirituale. Il guru è il solo benefattore, senza com­parazione alcuna, dell'umanità caduta: egli l'aiuta a concen­trare le diverse attività sul Supremo. È un'incarnazione della gentilezza che, attraverso la sua potente influenza spirituale, disperde tutta l'oscurità risultante dall'estrema ignoranza di questo relativo stadio di sviluppo e ci apre gli occhi imparten­doci una genuina conoscenza divina. È una guida onesta e perfetta nel nostro viaggio spirituale. Come un esperto timo­niere, egli ci guida verso il porto eternamente sicuro della beatitudine trascendentale, protetto dagli attacchi di qualsiasi vento impetuoso o tempesta. Egli è il vero messaggero del Signore che tutti ama. Sì, egli è il Suo mediatore trascenden­tale ansioso di stabilire un vero legame di relazione amorosa tra il Signore e quelle fortunate anime in un corpo umano che ricercano sinceramente questo tipo di rapporto. È un pioniere del vero amore, un agente dell'amore, capace di stabilire tutte le relazioni d'amore; è un sicuro ed esperto distruttore di tutti i nostri principi contrari all'amore. Se possiamo coltivare un'at­titudine di devozione verso questo rappresentante del Signore infinitamente misericordioso, allora siamo definitivamente sicuri di raggiungere il nostro obiettivo finale. Egli ci salva dai nostri mutevoli punti di vista e dai tipi di mentalità errata. La posizione che il vero guru occupa è veramente elevata.
Nessuno occupa una posizione altrettanto nobile. In questo rispetto è persino superiore al Signore Supremo, poiché pub impartire il Signore e il Suo servizio a chiunque egli favori­sca. Gli shastra dichiarano persino che: "Il disappunto del Signore, quando è diretto verso una persona, non arreca dan­no se quest'ultima è protetta dal divino maestro, mentre colui che è denunciato dal precettore spirituale non troverà rifugio alcuno nell'infinito numero di mondi." Aditya Purana.
Bhagavan rimane silenzioso e inflessibile verso chi manca di rispetto al precettore spirituale, il Suo amorevole agente. Senza la misericordia di un'anima eternamente liberata, un'anima condizionata non potrà mai liberarsi dallo stato di vincolo. Chi è già in catene non può aiutare un altro parimenti incatenato. Una persona libera può sciogliere chi è legato.
Conversando a Dvaraka con Sudama, Suo vecchio compa­gno di scuola ed amico, Bhagavan disse: "Oh amico! Io sono il Signore Supremo e risiedo nel cuore di ognuno come il te­stimone interiore. Non sono così soddisfatto dall'esecuzione dei quotidiani sacrifici obbligatori dei brahmacari, dalla pro­creazione, dal mantenimento e dall'osservanza dei doveri pre­scritti da parte dei capifamiglia, dalle severe austerità dei vanapastha, né dalle pratiche dei sannyasi che vivono in soli­tudine, così come lo sono invece dai servizi resi con amore al precettore spirituale. " S.Bh. 10.80.34.
In un'altra occasione Bhagavan dice: "Si deve adorare il guru prima di iniziare la Mia adorazione; solo chi lo fa ha successo nei suoi sforzi. Le violazioni a questa procedura ri­sultano un completo fallimento." Hari-bhakti-vilasa 1.4.344.
Il Signore Supremo favorisce la jiva individuale attraverso il Suo intermediario: il guru. Il guru, o maestro spirituale, è di tre tipi: diksha-guru, colui che impartisce l'iniziazione o mantra; siksha-guru, colui che dà istruzioni spirituali; caitya­guru, la guida interiore che ispira e dirige dall'interno.
"Oh Signore! I grandi saggi, benedetti dai benefici dei Tuoi vari favori, sentono che non riusciranno mai a saldare ade­guatamente il profondo debito che hanno verso di Te, anche se dovessero avere a disposizione una vita lunga come quella di Brahma. In molti modi concedi loro la Tua misericordia. Tu distruggi ogni loro propensione malvagia e attaccamento mondano come diksha e siksha guru nella forma di maestro spirituale vivente, e nell'intimo come caitya guru, guidandoli al raggiungimento dell'amore divino." S.Bh. 11.29.6.
Questi tre guru appartengono tutti alla stessa categoria. Sono tutti trascendentali. Essi sono sempre impegnati nelle ininterrotte realizzazioni delle trascendentali attività del Si­gnore. Tra le due forme visibili di guru, una diventa il nostro diksha guru. Egli ci impartisce i mantra e l'iniziazione. Diksha guru è uno solo, mentre siksha può essere uno o molti. Il pa­dre è uno, ma gli zii possono essere molti. In certi casi indivi­duali può essere la stessa persona a far da siksha e diksha guru.
"Gli interessati al raggiungimento del loro benessere eterno devono avvicinare con sottomissione un guru erudito nella conoscenza ultima degli shastra e favorito dalla piena realiz­zazione dell'Assoluto, e farsi illuminare da lui." S.Bh. 11.5. 21.
"Con completa fede nella natura trascendentale del precet­tore spirituale come eternamente identico al Signore Supre­mo Sri Hari, e accettandolo come il proprio eterno benefatto­re, una persona deve costantemente e con ferma devozione soddisfarlo e ricevere da lui istruzioni sul bhagavata dharma, la cui osservanza soddisfa così tanto Bhagavan, che Egli si abbandona ai Suoi devoti." S.Bh. 11.3.22.
Il vero significato degli shastra, nonostante i grandi ottenimenti letterari, rimane una verità nascosta.
"Gli shastra rivelano il loro vero significato solo a chi ha uguale devozione per il Signore Supremo e per il Suo rappre­sentante, il precettore spirituale" Svetasvatara Upanisad 6.23.
Da tutte queste importanti istruzioni degli shastra, una per­sona saggia può sentire l'imperativa necessità di accettare il precettore spirituale e rendergli un servizio sincero. Quelli che lo ignorano sono sotto il perfido ordine della loro ingannevo­le mente. La loro condizione è vividamente descritta nello Srimad Bhagavatam in questo modo: "Oh Signore! Quelle sfortunate persone che, evitando di prendere rifugio ai piedi del maestro spirituale, fanno un vanaglorioso tentativo di con­trollare la loro mente irrequieta e impazzita come un cavallo a briglie sciolte, cosa che appare impossibile persino a grandi yogi che hanno un controllo perfetto dei sensi e delle funzioni respiratorie, vanno incontro aduno spiacevole fallimento. Essi si trovano indifesi in mezzo ad una serie di difficoltà ed osta­coli. La loro condizione è simile a quella di quei mercanti che iniziano il loro viaggio senza un timoniere e rimangono in balia del mare tempestoso, con il vascello sbattuto senza pie­tà da una forte burrasca." S.Bh. 10.87.33.
Le suddette non sono che alcune idee riguardanti il vero guru in accordo agli shastra. Ecco ora quelle sul discepolo. Il discepolo non dev'essere come un moderno studente che frequenta un'istituzione educativa per assicurarsi un sempli­ce diploma o laurea con l'obiettivo di mettere qualche zero in più sul salario dopo aver superato le varie prove competitive di dipartimento, o per acquisire una conoscenza generale che gli permetta di poter portare avanti un commercio di fami­glia, o per avere una posizione nella società, ecc. Egli dev'es­sere un sincero ricercatore della verità, pronto a sopportare qualsiasi somma di difficoltà e sacrifici per raggiungere il suo traguardo. Un discepolo per modo di dire è invece colui che se la prende con comodo, che è incurante e indifferente. Il suo sforzo d'incontrare un maestro spirituale, e i futuri sviluppi di quest'incontro, si scontreranno con una forte delusione.
Come già si è detto, un degno discepolo deve avvicinare un vero precettore spirituale con la dovuta sottomissione; anche nel mondo materiale nessuno tollera un approccio ar­rogante. Una persona arrogante fallisce persino nell'avere la simpatia dei suoi colleghi, che dire dei suoi superiori. Un appello fatto da una persona arrogante non incontra mai il successo. Per l'illuminazione spirituale, un discepolo deve avvicinare una persona che ha realizzato l'Assoluto, e dev'es­sere completamente equipaggiato con tre qualifiche:
1.    Una resa completa. Il discepolo deve abbandonare, senza condizioni, l'ego materiale che gli viene da nascita, età, ricchezza, popolarità, conoscenza materiale ed orgoglio lega­to all'apparenza personale. Egli non deve mai fare dei tentati­vi di esaminare il maestro spirituale dopo averlo accettato.
2.    Un sincero desiderio d'informarsi sulla verità. Doman­de non necessarie, che siano per far sfoggio della propria in­telligenza o per mettere alla prova l'abilità del maestro, devo­no essere sempre evitate. Persino le domande fatte per soddi­sfare la propria curiosità devono essere assolutamente abban­donate. A1 maestro devono essere poste solo domande di vitale importanza e di beneficio immediato per la propria elevazione spirituale. Il discepolo non deve in alcuna circo­stanza discutere con il suo maestro spirituale, né cercare di conquistarlo con le proprie nozioni e vedute imperfette rac­colte da questo mondo difettoso attraverso l'assistenza dei sensi ingannevoli. Al contrario, dovrebbe aspettare con bramosia e sottomissione l'esposizione spontanea del suo guru, le cui spiegazioni sono interamente basate sulle sue continue ed indisturbate realizzazioni di Dio e dei Suoi vari passatempi.
3.    Servizio amorevole. Senza la minima esitazione, il di­scepolo dev'essere pronto a rendere servizi amorevoli di qual­siasi natura, insignificanti o dignitosi. Gli ispiranti esempi di Sri Krishna e Sri Rama, e le vite ideali dei maestri del mondo sono monumenti viventi che illustrano il suddetto ideale.
Sri Krishna e le Sue divine manifestazioni, come Rama e affini, non hanno bisogno del benché minimo aiuto esterno su qualsiasi faccenda. Di fatto, nessuno potrebbe essere in grado di far Loro da precettore. Tuttavia, per beneficio del mondo, per illuminare l'umanità caduta, Essi danno l'esempio stabi­lendo un ideale. Non andò forse Sri Krishna nella foresta con un'ascia in mano per tagliar legna, farne dei fasci e portarli sulla testa come servizio al grande Sandipani che aveva ac­cettato come Suo precettore? Non passarono Sri Rama e Sri Laksmana notti insonni con l'arco e le frecce in mano, talvol­ta seduti su delle pietre ammucchiate e talvolta riposando sul­la nuda terra, per soddisfare il Loro maestro? Dobbiamo leg­gere questi eventi commoventi come fossero storie che non ci riguardano? Non abbiamo forse bisogno di catturare il signi­ficato insito in tali azioni e trasporlo anche nella nostra vita?
Saranagati, l'atto della resa spontanea al Signore Supre­mo, è un requisito essenziale che un aspirante sul sentiero della ricerca religiosa non può mai ignorare. L'uomo orgoglioso, spinto dal suo falso ego, trascura i principi fondamentali della vita umana, cioè una vita virtuosa piena di fede e di amore per il suo sempre amorevole Signore. Provvidenzialmente però, giorno verrà quando dovrà sentire la necessità di questo prin­cipio fondamentale, realizzando la completa vanità dei piace­ri mondani. L'uomo sfortunato, cadendo vittima delle influenze malvagie del falso ego dominato dai sensi, può rivoltarsi con­tro il suo Signore, l'unico benefattore dell'umanità, può con­quistare i mondi, può essere l'artefice di nazioni, può costru­ire vasti imperi o può fare molte altre cose meravigliose che le persone ordinarie non riescono neppure ad immaginare. Tuttavia è totalmente in balia di sé stesso nell'attraversare quest'insondabile oceano di mondanità. In ogni momento egli è violentemente sbattuto dalle onde tumultuose di questo oce­ano di sofferenze senza fine. Tutte le sue false speranze sono frustrate, la sua fiducia nell'efficacia delle sue azioni alla fine lo tradisce. Egli vede tutt'intorno a sé tentazioni minacciose, orrori e correnti travolgenti di preoccupazioni, calamità, an­sietà e dispiaceri. Avverte la sua impotenza. Con sincerità desidera ardentemente uscire da questa terribile situazione. Acquisisce maggiore esperienza in questo mondo transitorio di piaceri passeggeri e diventa più saggio. Ricorda i saggi pro­verbi, e gli giunge all'orecchio il suddetto principio fonda­mentale. Egli si sottomette allora al Signore Supremo. Non enfatizzò forse Bhagavan Sri Krishna, con parole che non dan­no adito ad equivoci, l'imperativa necessità della resa?
"Scarta tutti gli elementi umani, presenti nella religione, che sono rivolti all'anima incarnata, ossia i doveri sociali come nitya, naimittika e kamya karma, rigetta la fiducia nella tua forza fisica, nelle capacità mentali, nei tuoi raggiungimenti morali, nei doveri sociali, la fede riposta nei tuoi antenati, nella ricchezza, nelle proprietà e in altre simili cose di natura temporanea, ed arrenditi a Me. Io sono qui per addossarmi tutte le tue responsabilità. Ti posso salvare da tutti i tuoi pec­cati risultanti dalla tua inosservanza degli editti indirizzati al­l'anima incarnata. Non devi preoccupartene nemmeno per una frazione di secondo. Nessun altro può fare questo per te. Ti rassicuro, Io sono il Signore Supremo, sono il solo salvatore dell'umanità. Perché dipendi da altri e da altre vie? Non pos­sono salvarti. Anch'essi sono nella situazione penosa in cui ti trovi tu. Stando così le cose, come possono darti una mano? Perché speri di attraversare l'oceano aggrappandoti alla coda di un cane? Questo è un oceano tumultuoso, con onde impe­tuose. È infestato da feroci animali che aspettano con le fauci spalancate. Ti divoreranno in un attimo. I tuoi sforzi, per quanto a tuo parere possano sembrare ben studiati ed equipaggiati, non possono mai portarti sano e salvo sull'altra sponda. Se mi disobbedisci ed entri nelle sue acque tempestose, sarai intrappolato in breve tempo nei suoi terribili gorghi, circon­dato da bestie feroci che possono divorare facilmente persino degli elefanti. Perciò il metodo più sicuro per te è di venire da Me. Io sono qui con il Mio battello. Non devi avere nessun tipo di timore, sarai in salvo una volta per tutte, per l'eternità. Non c'è da pentirsi per i fallimenti nell'adempiere i differenti doveri che ti toccava eseguire. Tutti quei doveri sono intesi in ultima analisi solo per soddisfarMi. Io sono favorevolmente disposto verso di te, non c'è nient'altro che dovresti ottenere nell'infinito numero di mondi. Puoi essere sicuro di aver otte­nuto tutto. Questo è il raggiungimento finale di tutte le anime fortunate: il Mio amore. Procedi, non perder tempo, affrettati e liberati da tutte le preoccupazioni cui sei soggetto da tempo immemorabile." Bg 18.66.
I doveri che sto eseguendo, come la meditazione e attività simili, dovrebbero conformarsi ai doveri prescritti dal codice dell'asrama o essere esclusivamente indipendenti? La rispo­sta è questa: "Abbandona tutti i codici di condotta prescrit­ti per i varna, come ingiunge il varnasrama dharma, e prendi completo rifugio in Me."
La parola parityajya non dev'essere interpretata come `ab­bandono di legami e attaccamenti mondani per diventare un eremita'. Ad Arjuna, in quanto ksatriya, è infatti vietato di­ventare un sannyasi. Questo non dovrebbe però essere inter­pretato come se Bhagavan Sri Krishna, rivolgendosi ad Arjuna in particolare, intendesse convogliare la Sua direttiva al resto della gente. Quando era appropriato per Lui dare delle istru­zioni solamente ad Arjuna altri potevano essere inclusi in ag­giunta, ma non viceversa. La parola parytyajya non dev'esse­re intesa come `abbandonare solo i frutti delle proprie azio­ni'. Ciò è illustrato in questo modo: "Oh re! Quella persona che abbandonando i suoi doveri, propri del varnasrama­-dharma, prende rifugio solamente in Sri Mukunda - la persona più adatta tra tutte quelle che danno protezione- non è né schiavo né debitore verso gli antenati, i benefattori, le altre entità animate, i saggi, o gli altri deva." S.Bh. 11.5.41. "Quando un mortale, che ha abbandonato tutti i suoi doveri mondani dedicandosi a Me con il desiderio di cercarMi, ottie­ne l'immortalità, diventa davvero qualificato a conoscere Me, l'Uno senza causa. L'uomo dovrebbe continuare ad eseguire i suoi doveri mondani fino a quando non si libera dai legami materiali, o non è capace di sviluppare un attaccamento per l'ascolto delle Mie narrazioni." SBh. 11.29.34. "Quella per­sona che conoscendo i meriti e i demeriti delle Mie direttive - sempre comunque date da Me - serve unicamente Me, lasciando da parte tutti i codici morali e religiosi del suo dharma, è il più virtuoso tra i virtuosi." SBh. 11.20.9
Tutte queste parole di Sri Krishna comunicano lo stesso significato, per via del prefisso pari che significa `tutt'intor­no', perciò le parole prendi rifugio solamente in Me signifi­cano imperativamente che non si deve fare ricorso al dharma, alla conoscenza, allo yoga, all'adorazione degli esseri cele­sti, e altre attività simili.
"All'inizio ti ho detto che sei qualificato per la devozione mista ai riti religiosi, pensando che tu non avessi diritto alla più alta forma della Mia bhakti: ananya bhakti, la completa devozione a Sri Krishna e nessun altro, come unica risorsa. Ora, per via della Mia pura ed illimitata gentilezza verso di Te, hai ottenuto il diritto alla Mia più alta forma di bhakti, ananya bhakti, che in modo accidentale ed inspiegabile, yadriccikaya, è ottenibile solo per grazia dei Miei ardenti de­voti che hanno interamente dedicato se stessi solo a Me. La particolarità di ananya bhakti è che Mi fa rompere i Miei voti per soddisfare quelli dei Miei bhakta, come ti sarà indicato dalla rottura del Mio voto per soddisfare quello di Bhisma al momento della tua battaglia con lui. Per Mio comando non devi avere nessuna paura degli ostacoli che possono presen­tarsi nell'abbandonare questi riti religiosi di pratica quotidia­na. L'ordine di praticarli è stato dato da Me solamente, nella forma dei Veda; ma anche il loro abbandono è ordinato da Me, Krishna in persona. Come può esserci perciò possibili­tà di commettere peccato non eseguendoli? A1 contrario, persistendo ancora nella loro esecuzione, commetteresti peccato per aver disubbidito agli ordini diretti dati da Me in persona. In verità, chi si è completamente offerto ad un qualsiasi protettore diventa totalmente dipendente da quest'ul­timo, come un animale comprato ad un certo prezzo, forzato a fare ciò che gli chiedono, a stare dove gli è chiesto di stare e a mangiare ciò che gli viene dato. Questi sono i principi dei codici della dedizione del sé."
Nel Vayu Purana è detto: "L'accettazione completa di tutto ciò che è favorevole, il totale rifiuto (astinenza) di tutto ciò che è sfavorevole, la ferma fede nel fatto di essere protetto, la preferenza del Signore, il mettere ogni cosa nelle Sue mani lasciando che si occupi Lui di tutto, l'abbandono della meschinità, questi sono i sei aspetti della Saranagati."
La parola anukulyam significa `quella condotta di conti­nuo avanzamento in sintonia con il Dio, o divinità, prescelto, in linea con il codice della devozione'; pratikulyam è l'esatto opposto di ciò; bhatritva è la fede implicita che Egli solamente è il mio protettore e nessun altro; visvas, è quella fede incrollabile che Egli mi proteggerà persino nel mezzo di cir­costanza avverse, come quelle di Draupadi, Gajendra e simi­li; niksepanam è l'utilizzo di ogni cosa, che sia parte della struttura grossolana mortale, o del corpo sottile, al servizio di Sri Krishna; akarpanyam è l'abbandono della meschinità, il non mostrare la propria povertà morale altrove. Queste sei qualità costituiscono Saranagati, o completa resa di sé al Su­premo creatore. D'ora in poi prendo perciò assoluto rifugio in Te. Come mi si addice, devo quindi compiere il dovere asse­gnatomi, buono o cattivo, fausto o infausto. Se mi chiedi di compiere solo i miei doveri religiosi di routine, non ci sarà ansietà in questo, ma dovuto alla Tua caparbia natura in quan­to Signore di ogni cosa, se mi obblighi a praticare l'iniquità, adharma, che ne sarà allora di me? La risposta a questo dub­bio è data nel verso aham tvam sarva papebhyo moksayishyami ma sucah: "Io ti libererò da tutti i peccati, siano essi antichi, cioè accumulati nelle nascite precedenti, o futuri, quelli che secondo te potrò farti compiere. I1 significato è che lo non fallirò nel proteggerti, come fanno altri. E solo per tuo benefi­cio che sto insegnando al mondo intero queste ingiunzioni delle scritture. Non addolorarti. Non affliggerti, sia che fosse per il tuo interesse e beneficio, come per il beneficio di altri. Possano tutte le persone come te, abbandonando comple­tamente i propri codici di condotta e quelli di altri dharma, meditare, eseguire kirtan e così via e, prendendo assoluto rifugio in Me, vivere felici. Mi sono, di fatto, addossato cos un giuramento la piena responsabilità di liberarli da tutti i loro peccati e legami materiali, e Mi sono preso il compito di aiutarli a raggiungerMi. Che altro? Mi sono impegnato anche a nutrirli. È già stato detto. Mi assumo la responsabi­lità di occuparMi del benessere di coloro che essendo com­pletamente assorti solo in Me, senza cercare nessun altro protettore, Mi adorano con tutto il cuore e in modo premu­roso. Non addolorarti dicendo, `Ahimè! Ho caricato un peso così grande sul mio Signore.' La meditazione sul Signore, che è così gentile verso i Suoi devoti, e fedele alla Sua parola, può essere fatta facilmente, senza alcuno sforzo. C'è qualcosa di più elevato di questo che rimanga ancora da dire?"
"Oh Uddhava! Per la ragione che già ti è stata spiegata, prendi assoluto rifugio in Me, Sri Krishna (indicando se stesso con il dito) l'anima di tutti gli esseri viventi, con cuore e anima, abbandonando tutto quello che le sruti e le smrti ordinano che una persona esegua o rifiuti, abbandonando l'attaccamento e la rinuncia verso le cose mondane, dimen­ticandoti di tutto quello che hai finora sentito e desistendo completamente da qualsiasi inclinazione ad ascoltare quello che ancora rimane da sentire. Non aver paura, poiché lo sono il tuo protettore." SBh. 11.12.14-15.
La resa a Bhagavan è il sentiero più sicuro. Tutti i nostri shastra ripetutamente insistono su questa linea di condotta. Ogni osservanza priva dello spirito di resa fallisce nell'invo­care la misericordia divina. La resa pura e autentica smuove il cuore del Signore Supremo. Lo scioglie, ed Egli si affretta a liberare il devoto che si è arreso a Lui. Quanti esempi ci sono nelle vite dei grandi santi che lo confermano con enfasi! Il caso di Gajendra, di Draupadi, e la vita di una moltitudine di devoti antichi e moderni, sono esempi gloriosi che attestano questo fatto. Le parole non possono spiegare in modo adegua­to l'effetto sbalorditivo di tale resa.
Saranagati ha sei aspetti come caratteristiche speciali. Le scritture li spiegano così: una forte determinazione ad accet­tare quelle attività che sono congeniali allo sviluppo della bhakti. Un aspirante che sinceramente desidera avanzare nel sentiero della devozione deve praticare, con la massima cura, solo quelle osservanze che sono favorevoli al suo rapido pro­gresso. I sensi molto turbolenti, con tutte le loro propensioni malvagie e le loro pazzie, devono essere impegnati al servizio del Signore. Tutte le attività dell'aspirante alla devozione, come il prender cibo, l'associazione, i movimenti e via di se­guito, devono essere regolate da questo principio. Tali attivi­tà, elencate nell' Upadeshamrta 3, sono di sei tipi:
1. Un genuino entusiasmo nell'osservare le attività devozionali è una delle invariabili virtù necessarie per raffor­zare la nostra devozione verso Bhagavan. Chi è indifferente alla sua vera elevazione, e perciò riluttante a praticare tutto ciò che è favorevole allo sviluppo della bhakti, incontra orde di tremende difficoltà sul suo sentiero.
L'entusiasmo nell'osservanza delle pratiche religiose pre­scritte è un fattore connaturale nell'edificare la bhakti per il Signore. In assenza di un genuino entusiasmo, la letargia, l'in­differenza, la disperazione, e altre simili spregevoli qualità, ci domineranno. La pigrizia è il peggiore nemico del progresso religioso. Se un aspirante darà anche il minimo spazio a que­sta infausta qualità, essa prenderà indebito profitto di lui e lo rovinerà completamente. La riluttanza e la mancanza di sfor­zo nell'osservare le pratiche devozionali ci rendono vittima di questo sciagurato agente. "Una quercia non può essere ab­battuta con un colpo solo," dice un saggio proverbio. Uno manca di fiducia in se stesso, e di conseguenza i suoi sforzi gli creano disperazione. Un aspirante sul sentiero della devozio­ne non dovrebbe mai cadere vittima di questo scoraggiante fattore. Deve elevarsi ben al di sopra di esso.
"A chi ha vari desideri Sri Krishna consiglia di seguire il sentiero del karma. Chi ha uno spirito di rinuncia nelle attivi­tà quotidiane ed occasionali prescritte dagli shastra dovrebbe necessariamente seguire il sentiero della conoscenza- Quelle persone che nel passato, dovuto a qualche sconosciuta virtù divina, hanno radicato in sé una forte fede nelle glorie e nelle attività di Bhagavan, devono invariabilmente seguire il sen­tiero della devozione o bhakti." S.Bh. 11.20.7-8.
Anche i bhakta possono essere indifferenti all'osservanza dei doveri quotidiani ed occasionali, ma adottano quei princi­pi che sono favorevoli alla crescita della devozione. Chi ha i requisiti per seguire il sentiero della bhakti non è molto attac­cato ai frutti delle sue azioni. Senza il corpo fisico la pratica di attività devozionali su questo piano mortale è impossibile. Per quanto sgradite siano, una certa quantità di attività è perciò inevitabile nel mondo materiale. I sinceri aspiranti alla devozione, sebbene con riluttanza, devono lavorare per pro­cacciarsi i mezzi di sussistenza, ed adorare il Signore Supre­mo Sri Krishna con intensa bhakti per Lui. Essi sono estrema­mente distaccati dai vari tipi di azioni materiali, e con il pas­sare del tempo diventano sempre più devoti alle pratiche devozionali del Signore. Manifestandosi nel loro cuore, il Si­gnore misericordioso distrugge tutte le nefaste propensioni. Attraverso il continuo ricordo del Signore il loro cuore si pu­rifica. Essi sono liberati in eterno dalle rovinose conseguenze della schiavitù. Anche i loro dubbi sono rimossi. Si qualifica­no per realizzare il Signore Supremo. Altri tipi di sforzo non hanno successo nel portare i risultati sperati, se a questi meto­di manca la qualità della dipendenza dal Signore Supremo. La loro inabilità a distruggere le terribili conseguenze del karma non deve dissuaderli dagli sforzi. Fin dall'inizio delle attività devozionali, l'aspirante deve preservare un vivo entu­siasmo persino al prezzo delle comodità. Questa è la vita stes­sa della ferma fede, un prerequisito per ottenere la bhakti.
2. Coloro che percorrono il sentiero della devozione devo­no avere delle ferme convinzioni sul sentiero che stanno per­correndo e sulla meta finale. Finché non c'è piena fiducia nel metodo e nei risultati che esso offre, si rimarrà sotto l'influen­za dei dubbi. Se un aspirante è preda dei dubbi è perduto.
"Chi ignora la vera conoscenza della relazione e manca di fede nell'esecuzione del niskama karma, è sopraffatto dal sen­timento dell'esitazione ed incontra la rovina. Per uno scettico non c'è futuro luminoso. Non potrà mai aver successo nell'ot­tenere felicità, tanto in questo mondo che nel prossimo." Bg. 4.40.
Perciò una forte fede nelle affermazioni delle scritture, senza il minimo dubbio, è assolutamente necessaria per la cre­scita della devozione.
3. La pazienza è un'altra essenziale e favorevole qualità necessaria per tutti gli aspiranti alla devozione. "La pazienza e la perseveranza possono scavalcare anche le montagne." Noi siamo molto delusi e perplessi a causa della mancanza di pa­zienza. Coloro cui manca questa qualità sono rovinati, non prosperano mai. Attraverso l'influenza della pazienza un aspi­rante alla devozione ottiene il perfetto controllo di se stesso, e alla fine il mondo intero s'inchina a lui. Le anime sotto il do­minio di Maya sono schiave dei sei tipi di passione. Coloro che hanno successo nel conquistare queste sei passioni sono maestri del mondo intero (Upadeshamrta 1).
Questi impulsi sono: un'incontrollabile tendenza al pettegolezzo ozioso, le varie indesiderabili speculazioni della mente vacillante, la propensione ad un'incontrollabile collera, un inusuale desi­derio di soddisfare la lingua con varietà di cibi deliziosi, il desiderio di mangiare troppo ed uno sfrenato appetito sessua­le. Questi sei impulsi sono un enorme ostacolo allo sviluppo della devozione. Con la più grande pazienza, nello svolgersi della vita quotidiana essi devono essere abbandonati da chi aspira alla bhakti. Finché il corpo umano continua ad esistere, cioè fino alla morte, un sincero aspirante deve fare tutti gli sforzi necessari a controllare questi incitamenti ostili, impe­gnandoli al sevizio del Signore.
Tutti gli aspiranti nei vari sentieri religiosi inseguono un qualche guadagno. Coloro che compiono attività interessate desiderano il paradiso, con le sue varietà di piaceri che non si possono trovare nella stessa misura in questo mondo. Le per­sone che seguono il sentiero della conoscenza lo fanno con il forte desiderio di un'eterna liberazione per se stessi. Simil­mente, coloro che seguono il sentiero della bhakti o devozio­ne, desiderano costantemente soddisfare in pieno i sensi del Signore. Un ritardo nel raggiungimento del proprio obiettivo è spesso causa di gran disperazione, il che porta alla fine ad una caduta dall'obiettivo desiderato. Per evitare questa conseguenza funesta, un bhakta incamminato sul sentiero della devozione dev'essere completamente legato a questa qualità della pazienza. Il Signore Supremo è un oceano di misericor­dia. Un giorno o l'altro in questa vita, oppure in un'altra, il Signore farà scendere su di lui la Sua misericordia. Egli non abbandona chi dipende solamente da Lui.
" Mi aggrapperò ai Suoi piedi di loto con ogni speranza e non Lo abbandonerò mai, neanche nelle prove più difficili." Tale ferma determinazione aiuta l'aspirante ad ottenere un successo glorioso.
"La pazienza è il miglior rimedio contro l'angoscia e l'af­flizione". È la pomata per tutte le piaghe. In tutta sincerità, una persona deve perciò coltivare la virtù della pazienza.
4. Nell'osservare gli atti devozionali prescritti, gli shastra stabiliscono una serie di attività per risvegliare e promuovere in noi i sentimenti della devozione. Queste attività devono occupare il posto più importante nella nostra vita quotidiana. I sessantaquattro principi della sadhana bhakti sono attività favorevoli che ci aiutano a raggiungere il nostro traguardo.
Nello Srimad Bhagavatam 11.19.20-24, Sri Krishna istrui­sce Uddhava in questo modo:
"Oh Uddhava! La fede nell'ascolto delle Mie nettaree nar­razioni, ripetendole costantemente, un grande attaccamento nell'eseguire la Mia adorazione, cantare inni in Mia lode con fervore e devozione, una naturale attenzione nel renderMi ser­vizio, omaggi prostrati con tutti gli indriya, un'inclinazione speciale a rendere servizio ai Miei devoti, sentire la Mia pre­senza in ogni essere creato, impegnare completamente i pro­pri sensi al Mio servizio, cantare le Mie glorie, dedicare il proprio cuore a Me, rinunciare a tutti i desideri, sacrificare la propria ricchezza, le comodità, e i piaceri per il Mio servizio, consacrazione di tutte le cose degne di essere desiderate, ese­cuzione dei sacrifici religiosi, salmodiare i mantra, osservanza dei voti religiosi, e pratica delle austerità per il Mio piace­re: osservando tutto questo la devozione amorevole per Me viene destata nei cuori di quelle anime che si sono arrese in modo incondizionato a Me."
5. Rifuggire da tutte le cattive compagnie. "Un uomo si riconosce da chi l'accompagna". La compagnia esercita un'enorme influenza nell'erigere il carattere di una persona, sia sul piano materiale sia su quello spirituale. Il tipo di asso­ciazione è di due tipi: la compagnia di altri e l'attaccamento ad altri oggetti o persone. Il primo si divide a sua volta in due tipi: mantenere la compagnia di non-devoti e di persone attac­cate al sesso, e associarsi senza restrizione con l'altro sesso. Anche il secondo è di due tipi: l'attaccamento ai cattivi istinti e l'attaccamento a ricchezza, proprietà, casa, ornamenti, rela­zioni e così via. Tutto ciò, sia in forma di compagnia sia in forma di attaccamenti, è un ostacolo al progresso della devo­zione.
Sri Krishna ne spiega così le nefaste conseguenze nella Bhagavad Gita 2.62-63:
"L'associazione con gli oggetti del mondo sveglia le pas­sioni nell'uomo, quando le passioni sono ostacolate generano la collera, la collera conduce all'illusione, l'illusione è segui­ta dalla perdita della memoria, quando una persona è priva della memoria perde l'intelligenza, il che di conseguenza la porterà alla sua totale distruzione".
Le anime cadute sono deboli sotto ogni aspetto. Lasciate alla mercé dei sensi materiali la loro distruzione è inevitabile. "Ogni simile ama il suo simile." I sensi materiali trascinano lentamente l'uomo verso dei simili oggetti dei sensi. In loro associazione si genera un graduale attaccamento per gli og­getti. Più ci si attacca, minore sarà l'interesse per l'obiettivo spirituale. In breve la condizione diventa deplorevole e si fi­nisce per sperimentare una lamentevole caduta.
I devoti sposati che praticano la devozione, conducendo una vita di famiglia in accordo alle ingiunzioni degli shastra, devono associarsi con il rispettivo coniuge in base alle regole stabilite dalle scritture. Marito e moglie, assistiti da altri mem­bri della famiglia come figli, figlie, fratelli, sorelle, devono fare degli sforzi sinceri per impegnarsi pienamente al servizio del Signore. Allora non ci sarà il pericolo di una cattiva associazione o che si vengano a creare degli attaccamenti monda­ni. Tanto per gli sposati che per i rinuncianti, la compagnia di gente indesiderabile è comunque malsana e sgradevole.
L'attaccamento, o la schiavitù, agli istinti malsani prece­denti dev'essere totalmente abbandonato. La sua associazione con noi in così tante vite lo fa diventare una natura intrin­seca. Ciò provoca un danno considerevole al nostro benessere eterno. L'attaccamento ad oggetti materiali e a persone - ric­chezza, proprietà, case, terreni, ornamenti, vestiti, bambini, mogli, fratelli, sorelle, e così via - è come un brigante che ci deruba della ricchezza spirituale che abbiamo accumulato sul sentiero regale che porta alla devozione. Anche essere schiavi di intossicanti e stimolanti rientra nella stessa categoria.
Mangiare cibi discutibili come carne, pesce, uova, non è favorevole al raggiungimento del nostro obiettivo. L'umanità si salva da tutte queste cose nefaste grazie alla meravigliosa efficacia di sadhu-sanga, o associazione con i bhakta.
6. Seguire la via praticata dai devoti, è il noto efficace e favorevole metodo che aiuta nei suoi sforzi chi s'impegna a sviluppare la bhakti. I sadhu, il cui modello di condotta do­vremmo seguire per nostro beneficio spirituale, sono di due tipi: i devoti sposati che praticano una vita esemplare nell'am­bito della famiglia, e coloro che abbandonano i legami fami­liari e s'impegnano esclusivamente al servizio del Signore. Dovuto alla differenza di stile di vita e di responsabilità, alcune caratteristiche di queste due classi di devoti mostrano una leggera differenza. Tuttavia ci sono anche dei principi comu­ni. Le scritture descrivono una serie di regole per disciplinar­ci. Il punto centrale di tutte le regole stabilite dagli shastra è quello di riportarci da una vita irreligiosa, incivile e barbara ad una vita perfetta di fede in Dio e di amore per Lui.
Coloro che conducono una vita di famiglia sono tenuti a guadagnarsi da vivere e mantenere la famiglia con mezzi one­sti, impegnandosi inoltre al servizio di Bahgavan e dei bhakta e nel canto del santo nome. Intrattenere gli ospiti è un dovere importante che gli sposati devono immancabilmente e con munificenza praticare. Essi devono essere franchi nel loro com­portamento e cordiali nell'attitudine. Non dovrebbero mai usare dei mezzi disonesti per guadagnarsi da vivere, né adeguarsi a tipi di vita barbari. Devono essere gentili persino verso le entità sub-umane. Evitando ogni pseudo tipo di ascetismo essi devono condurre una vita da genuini devoti. Pseudo ascetismo è abbandonare con un sentimento di disprezzo gli oggetti mondani intesi al servizio del Signore, attribuendo loro delle qualità materiali. Genuino ascetismo è invece quello che uti-lizza gli oggetti del mondo al servizio del Signore, senza ave­re il minimo attaccamento verso nessuno di essi.
 Un seguace del genuino ascetismo conduce una vita regolata, si guadagna in modo onesto i mezzi di sussistenza per soddisfare le sue legittime necessità. Non è né per l'eccessivo godimento né per la rinuncia. Sostiene l'idea di un uso appropriato di ogni oggetto, senza mai rincorrere follemente i bisogni egoistici e innaturali. Nel mezzo di un'atmosfera di vita di famiglia in spirito è un vero devoto impegnato al servizio del Signore.
Chi ha abbandonato ogni connessione con la famiglia per impegnarsi esclusivamente al servizio del Signore, cioè il sannyasi, deve condurre una vita molto semplice. Il canto costante del santo nome è un fattore importante del suo dove­re quotidiano. Evitando in ogni occasione i pettegolezzi mondani, le deliziose varietà di cibo e i vestiti vistosi, egli deve in tutta umiltà ripetere il santo nome. Deve mantenere il corpo e provvedere alle sue necessità essenziali elemosinando da co­loro che sono fedeli a Dio e agli shastra. Rifiutando l'attitudi­ne orgogliosa e vagando da un posto all'altro sopportando ogni tipo di sofferenza in quest'oceano di mondanità, egli deve dare il massimo aiuto alle altre anime, che sono avverse a Dio.
Tutti dovrebbero, ad ogni modo, rifiutare le attività nocive che si presentano sul sentiero del raggiungimento della bhakti. Le anime, imprigionate nel corpo fisico e sottile e guidate da desideri egoistici, vagano in questo mondo da tempo immemorabile. Esse prendono nascita in differenti specie in accordo alle loro azioni. In questo mondo accumulano una varietà di esperienze, buone e cattive. Se queste esperienze le rendono sagge e le persuadono ad abbandonare la propensio­ne al godimento o alla libertà in qualsiasi forma, avranno avu­to successo nella missione della loro vita. Lo scopo della na­scita umana sarà stato realizzato. In caso contrario devono invece ruotare incessantemente nel mondo delle futilità. Ciò scontenta il Signore e non può perciò avere il suo amore.
Senza la minima esitazione dobbiamo astenerci da quelle attività che sono pregiudizievoli al progresso della devozio­ne. Upadeshamrta 2. Tali agenti indesiderabili sono suddivisi in sei gruppi.
1. La tendenza ad accumulare qualsiasi cosa in più di quello che è legittima necessità è un impedimento che dobbiamo sin­ceramente evitare tutti, nella nostra attività quotidiana.
Il godimento del mondo attraverso gli organi dei sensi - occhi, orecchie, naso, lingua e pelle - gioca un ruolo impor­tante nel quale ogni anima incatenata è immersa senza spe­ranza in questo mondo. Tolta una certa indulgenza nelle atti­vità dei sensi è impossibile per l'essere umano sopravvivere in questo mondo. Senza queste attività la vita umana non può esistere. Dal momento che abbandoniamo tutte le attività dei sensi, smettiamo di esistere. Le attività sono la natura intrin­seca dell'uomo. Egli non può vivere in questo mondo senza agire. La vita priva di azione non è altro che la morte. Quando queste azioni sono compiute con uno scopo egoistico, senza alcuna devozione per Bhagavan, esse sono la causa della no­stra schiavitù e del ripetuto ciclo di nascite e morti. Quando si fanno con l'intenzione di soddisfare il Signore, quelle stesse azioni ci salvano dagli effetti ciclici di questo mondo. Le no­stre attività quotidiane devono quindi esser regolate in modo favorevolmente coordinato, cosicché eseguendole in modo ap­propriato possiamo raggiungere il Signore.
2. L'eccesso di zelo nelle acquisizioni insignificanti è una debolezza di molti aspiranti alla devozione, che cadono vitti­ma di questo falso zelo. Essi ci mettono innumerevoli e in­stancabili sforzi nell'accumulare conoscenza, fama, ecc. La devozione pura al Signore Supremo è la ricchezza di tutte le ricchezze. La resa incondizionata e la lealtà nelle parole, at­tività e pensieri in relazione a Bhagavan, formano un'importante caratteristica della bhakti. Tutto ciò è parte integrante della natura stessa delle anime pure, perciò la bhakti è la fun­zione naturale di tutte le jiva. Senza dubbio nel nostro stato condizionato una certa quantità di pratica è inevitabile per risvegliare queste genuine qualità dormienti. Gli sforzi che non servono a risvegliare la bhakti sono degli impedimenti alla realizzazione del nostro obiettivo più elevato. In genere si fanno per ottenere maggior conoscenza e più benefici dalle attività che danno frutto. Lo zelo nell'accumulare conoscenza fa sì che si impazzisca nell'inseguire la realizzazione del Brahman senza attributi per esser infine assorbiti in esso.
"II Signore Supremo Sri Krishna, sebbene inconquistabile in tutti e tre i mondi, è conquistato da coloro che, messi da parte tutti i loro vanagloriosi sforzi di comprendere la natura divina, gli attributi, ecc., del Signore attraverso la conoscenza empirica, si sottomettono ai Suoi piedi. Essi sopravvivono ascoltando le gloriose narrazioni del Signore che emanano spontaneamente dalle bocche dei grandi santi che vivono in luoghi che santificano con la loro presenza, e li accolgono e li venerano con il corpo, la mente e le parole". SBh. 10. 14.3.
3. II pettegolezzo ozioso è un altro fattore sconveniente che ostacola coloro che sono desiderosi di realizzare la bhakti. A lungo andare ciò porterà sicuramente al disappunto. Questa turpe abitudine, se non viene recisa in tempo porta nella sua scia così tante difficoltà. Sfortunatamente, con il progredire dell'era di Kali queste abitudini sono diventate una grave malattia tra le persone. Iniziato come un fenomeno sporadico, lentamente si è sviluppato in endemico; trasformatosi poi in epidemico ha abbracciato dapprima un'intera regione, e infine è diventato pandemico diffondendosi in tutto il mondo.
Una superflua indulgenza nel pettegolezzo, giochi di parole infruttuosi, parlar male di altri, indulgere in litigi, scrutina­re la condotta e le attività degli altri, dir il falso, denigrare le persone sante, discutere con troppo zelo di cose mondane e altre azioni nella stessa categoria: sono tutte cattive abitudini di cui ci si deve liberare in maniera totale.
4. Dev'essere evitato l'indebito attaccamento all'osservanza delle regole degli shastra, o la sua totale negligenza. Gli insegnamenti degli shastra, nel loro insieme, si dividono in due categorie: i comandamenti o asserzioni positive, e le proi­bizioni o asserzioni negative. Attraverso tutti questi metodi gli shastra cercano, direttamente o indirettamente, di regola­re la nostra vita ed ispirare genuina devozione in noi. Il più alto stadio di realizzazione spirituale si ottiene dopo una serie di stadi graduali. In ognuno di questi stadi per l'aspirante è imperativamente necessario praticare certe osservanze relati­ve a quel particolare stadio. La stretta osservanza di questi doveri prescritti lo rende idoneo al prossimo stadio immedia­to. Il fallimento in queste osservanze lo porta ad una caduta dal sentiero spirituale. Anche la fedele dedizione ai doveri di un livello già superato dall'aspirante ostacola il suo progres­so. Ogni sadhaka dovrebbe perciò eseguire con sincerità i doveri in relazione alla particolare fase del suo sviluppo, sen­za esserne mai indifferente.
5. La cattiva compagnia, o l'associazione con persone che non possiedono una briciola di bhakti, è un altro serio osta­colo che porta alla rovina l'aspirante alla devozione. Una semplice conversazione o sedersi vicini non si considera com­pagnia. Per compagnia si intende qualsiasi transazione o rela­zione con tali persone in uno spirito di troppa cordialità ed interesse. Per quanto ci proibiscano di associarci con le per­sone malvagie, gli shastra non ci incoraggiano mai, tuttavia, a parlar male di nessuno, nemmeno di queste persone. Parlan­do male degli altri ci degradiamo. Essere imprigionati in una stanza circondati dal fuoco è, secondo gli shastra, una situa­zione preferibile a quella di vivere con persone malvagie.
6. Una mente volubile e la cupidigia provocano la caduta dell'aspirante e lo scoraggiano dal perseguire il suo obiettivo. Questo carattere capriccioso è influenzato in due modi: dalla posizione instabile del cuore e dell'intelligenza. L'affi­nità della mente verso gli oggetti dei sensi crea nel cuore sia attaccamento sia odio. Questi cambiamenti nella mente e nel cuore disturbano la tranquillità dell'aspirante. Proprio come un forte vento sbatte una barca nel mare, così i disturbi della mente distraggono l'aspirante dalle sue pratiche. Una ferma fede che il Signore Supremo ci proteggerà in tutte le circo­stanze è necessaria. In realtà chi è che ci sta salvando dai pe­ricoli e dalle calamità che ci circondano ogni momento?
Nel momento di un gran pericolo tutte le nostre acquisizioni e le relazioni più intime si dimostrano un totale fallimento. Non c'è nessun potere in questo universo che possa far del male ad una persona protetta dal Signore Supremo. Viceversa, tutti gli abitanti dell'universo intero, con tutte le risorse, non possono salvarlo se è rinnegato dal Signore.
La fermezza nelle sue credenze rende una persona ancora più stabile. Questo spirito di fiducia la salva dalla natura in­stabile della mente. La fa sorridere nei momenti di pericolo, e rafforza il suo debole entusiasmo. Le permette di vincere i suoi nemici interiori. Rende leggera e facile la vita, e il viag­gio molto più lineare e piacevole.
"Il Signore Sri Hari, il solo responsabile della creazione, del mantenimento e della distruzione di questo mondo e an­che l'origine di tutto, la cui Yogamaya non può essere capita nemmeno dai più grandi maestri di yoga, Lui che è il Signore di tutte le triplici qualità, questo stesso Signore fatto di Pura Esistenza verrà a liberarci. Perché allora dovremmo preoccu­parci inutilmente?" SBh. 3.16.37.
Coloro che sono avversi al Signore dipendono dalle loro risorse materiali come unico supporto nella vita. Le loro spe­ranze sono ben fondate nei propri depositi bancari, in premi assicurativi, obbligazioni, oro, argento, proprietà, animali, fondi di previdenza, pensione, e così via. Fino a quando pos­sono affidarsi a queste cose deperibili? È definitivamente si­curo che un giorno o l'altro queste cose finiranno per mostra­re la loro vera natura. Esse non hanno mai salvato una singola persona dalle varie preoccupazioni cui può essere soggetta. E anche in futuro non saranno in grado di fare quello che non possono fare al presente. Sono materia inerte, come potrebbe­ro aiutare l'anima che risiede in un corpo umano?
La resa a Bhagavan dev'essere completa nelle parole, nel­le attività e nei pensieri. Una persona sottomessa si sente ve­ramente felice per effetto di un tale atto. Attraverso le parole lo esprime al Signore, attraverso la mente assapora quello che dice, e con il corpo prende rifugio nei luoghi sacri santificati dai vari passatempi del Signore. Il successo dei nostri sforzi sul sentiero della devozione dipende da questo atto di auto sottomissione. La variazione nei risultati delle pratiche spiri­tuali è dovuta principalmente alla differenza del grado di resa.
Chi ha risposto perfettamente nella sua vita a tutte e sei le qua­lificazioni di saranagati ottiene un'immediata risposta dal Signo­re. Il fallimento nel conseguire l'obiettivo, persino dopo ripetuti sforzi, si deve invece alla mancanza di un'assoluta saranagati, una resa senza alcuna riserva. Questa invero è la vita stessa di saranagati. È quella particolare forza vitale che rende tutte le altre qualità di saranagati pienamente energetiche.
Se abbiamo completa fede nel Signore Supremo come nostro Salvatore, il resto dei doveri seguirà automaticamente, se questo principio sostanziale è assente, le restanti funzioni sono prive di vita. È come il tronco principale di un albero nel quale gli altri cin­que principi sono dei rami dipendenti. Questa nobile idea è ben esemplificata nei seguenti sloka:
"Oh protettore delle mucche! Oh oceano di misericordia! Oh Signore di Laksmi! Oh distruttore di Kamsa! Oh incarna­zione della compassione per Gajendra! Oh Madhava! Oh fra­tello minore di Balarama! Oh precettore dei tre mondi! Oh Tu dagli occhi di loto! Oh signore delle gopi! Proteggimi, non conosco nessuno oltre a Te". Sri Mukunda-mala-stotra 44.
"Oh Signore Supremo! Per le innumerevoli jiva che vivo­no nell'infinito numero di mondi, Tu solo sei il Padre. Tu so­lamente sei la Madre; Tu solo sei l'amato Figlio; Tu solo sei il vero Amico; Tu solo sei il vero Benefattore; Tu solo sei il Precettore; e Tu sei l'unico Rifugio per tutti. Anch'io dipendo da Te, sono il Tuo servitore, e Tu sei la mia meta. Mi offro ai Tuoi piedi. È evidente e certo che anch'io devo essere protet­to solamente da Te". Stotra-ratna 57
Tutte le attività di un'anima sottomessa sono guidate dal Signore stesso. Il servizio al Signore è il suo motto. Un sadhaka sottomesso sente che egli non è né il regolatore, né la guida, né colui che detta la sua vita e le sue attività. Egli lealmente attribuisce queste funzioni al Signore Supremo. Poiché è completamente fiducioso che il Signore è l'agente guida che sta dietro ogni sua azione, diventa completamente accondiscendente ai desideri di Bhagavan: il suo ego individuale è completamente arreso ai piedi del Signore. Egli crede fermamente nei poteri meravigliosi del Si­gnore onnipotente.
Il voler essere indipendenti dal Signore è la causa-che ha portato le jiva ad essere immerse nel peccato, la sottomissio­ne a Lui è il solo rimedio a ciò.
"Il Signore Kesava non è mai lontano da coloro che sono totalmente liberi dalle vanità mondane. È invece separato da coloro che sono sotto il dominio dell'incontrollabile arrogan­za, come sommersi da una marea di montagne." Brahma Vaivarta Purana
Quando Vibhishana venne dal campo opposto a prender rifugio ai piedi di Ramacandra, Sugriva disse al Signore che non doveva accoglierlo, ma Lui gli rispose in questo modo:
"Se qualcuno, (fosse pure un Mio nemico), Mi si avvicina e Mi dice anche una sola volta, `Oh Signore! Sono Tuo', Io gli do sempre piena assicurazione di protezione eterna, perché questa è la Mia pratica dichiarata (il credo), cui neppure Io posso trasgredire." Ramayana, Lanka khanda 17.33.
Chi sta praticando la resa completa, nell'osservare quest'ul­timo stadio è completamente convinto delle sue inabilità e limiti. I ricordi delle sue passate attività si susseguono nel suo cuore come onde nell'oceano. Egli vede davanti a sé un qua­dro completo dei suoi atti indegni. Si pente sinceramente per tutti i suoi atti peccaminosi passati e per le sue malvagie pro­pensioni. Prega dal profondo del cuore e piange continuamente di fronte al Signore.
In una delle sue canzoni devozionali, un gran santo spiega que­sta qualificazione della resa nel seguente modo:
"La mia vita è stata sempre dedita a commettere peccati; non c'è neanche una briciola di pietà in essa. I miei misfatti verso gli altri non si possono manco calcolare. Spesso e volentieri ho ferito i loro sentimenti. Sono stato causa di regola­re tormento per gli altri e ho arrecato loro considerevole dolo­re. Pur di assicurarmi una vita confortevole, non mi ha mai intimorito il fatto di commettere i peggiori peccati. Sono sem­pre stato scortese ed egoista nella mia attitudine. Era una re­golare tortura per me vedere gli altri in circostanze felici. Ho sempre raccontato bugie ed era per me un piacere vedere gli altri soffrire. Il mio cuore era un deposito di cattivi desideri. Ero sempre in preda alla collera e traboccante d'orgoglio. Ammaliato dalla mondanità, ero saturo delle varie vanità. Malizia e orgoglio erano miei ornamenti, li indossavo frequen­temente. Essendo preda di sonno e pigrizia, ero privo di qual­siasi attività virtuosa, ma molto zelante nelle attività empie. Tutte le mie azioni erano indirizzate ad ottenere fama nel mondo. Pieno d'ipocrisia e abbagliato dalla cupidigia, ero schiavo delle passioni lussuriose. Sono un peccatore abban­donato da tutte le anime virtuose, e il peggiore dei criminali, terribilmente disposto a commettere sempre crimini. Non c'è neanche un singolo atto virtuoso a mio favore e sono misera­bilmente incline alle attività malvagie. Mi sento perciò una deplorevole preda di multiformi sofferenze. Ora la vecchiaia mi ha sopraffatto. Non vedo venire alcun aiuto da nessuna parte. Il mio orgoglio è umiliato, tutte le mie speranze disper­se. Sono completamente indifeso. Oh mio amato Signore! Sottometto tutte le mie afflizioni ai Tuoi piedi di loto."
La sottomissione si differenzia leggermente dalla totale resa di sé, sebbene siano considerate della stessa categoria. Saranagati ci guida verso la realizzazione della liberazione e infine all'amore divino. I vari segreti e specialità nel vasto campo dell'amore divino, - sneha, mana, pranaya, raga, anuraga, bhava, mahabhava, dasysa, sakhya, vatsalya e madhurya - sono realizzati solamente attraverso atma­nivedana. Saranagati non ha accesso a questa specifica realizzazione che si trova nei più profondi abissi dell'ocea­no dell'amore divino.
Atma-nivedana è la completa resa di corpo, mente, parole, attività, pensieri, atma e tutte le altre cose che uno sente o rivendica come sue, con la conoscenza della relazione e gui­dato dal sentimento predominante di rendere di tutto cuore servizio al Signore.
Atma-nivedana ha due caratteristiche: la completa indiffe­renza a fare sforzi per soddisfare le proprie necessità vitali e l'assoluta dipendenza dal Signore.
Saranagati è un'attitudine mentale, mentre atma-nivedana è completa resa anche dell'anima ai piedi del Signore. Non si ottiene con lo studio degli shastra o discutendo frequente­mente problemi filosofici. È resa effettiva solo per grazia del Signore o svarupa shakti. È facile impressionare un gran pubblico descrivendo la necessità della resa incondizionata e ci­tando innumerevoli esempi sensazionali da differenti shastra. È possibile anche dilungarsi sui suoi meravigliosi benefici, ma sentirne la necessità nel profondo del cuore, e vivere per essa, costituisce il problema più difficile che si pone di fronte ad ogni uomo.
Salvo che una persona non si guadagni sufficiente espe­rienza nel corso del suo soggiorno in questo mondo, e sia con­vinta in pieno di essere completamente indifesa vista la futilità di dipendere dagli oggetti terreni, la sua condizione penosa continua a persistere per sempre. Una innata convinzione che nessun altro, eccetto il Signore Supremo, sia in grado di salvarla dalle sofferenze senza fine alle quali è soggetta, è perciò una disposizione favorevole per raggiungere questa virtù. Automatica­mente abbandona tutte le altre forme di adorazione che ha pratica­to fino a quel momento e prende completo rifugio solamente nel Signore Supremo.
"I Kirata, gli Huna, gli Andhra, i Pulinda, i Pukkasa, gli Abhira, i Kanka, gli Yavana, i Khasa e simili altri nati da raz­ze peccaminose, come anche chi è incline per natura a com­mettere peccati, tutti costoro sono liberati dai loro precedenti peccati prendendo rifugio ai piedi di chi dipende dal Signore. Offriamo i nostri omaggi prostrandoci ai piedi di loto di que­sto Signore onnipotente." SBh. 2.4.17.
"Quale meraviglia! La malvagia Putana, la strega sorella del demone Baka, mossa dal desiderio di uccidere Sri Krishna Lo allattò con il petto cosparso di veleno mortale. Essendo invece lei a morire, in cambio della sua intenzione di nutrirLo ottenne da Lui la posizione di nutrice. C'è qualcun altro più misericordioso di Sri Krishna, cui possiamo offrire noi stessi per avere protezione?" SBh. 3.2.23.
"Come possono i problemi di carattere fisico, mentale o di altra natura, nati da sorgente divina, o da un intermediario umano, o persino da altri esseri ostili, affliggere una persona che ha preso rifugio in Sri Hari?" S.Bh. 3.22.37.
"Per quelle persone auto-controllate, sempre dedite alla verità, che fanno atto di resa incondizionata ai piedi di Sri Hari, il distruttore di tutte le pene terrene, non rimane più nul­la ancora da ottenere in questo mondo " S.Bh. 3.23.42.
"A coloro che hanno preso rifugio nel vascello dei soffici piedi di loto di Sri Krishna dalle eternamente santificanti ec­cellenze, vascello accettato da tempo immemorabile come unico supporto persino da grandi deva e santi, il vasto oceano dell'esistenza materiale appare insignificante come l'acqua contenuta nell'impronta lasciata dallo zoccolo di un vitello. L'attraversano senza la benché minima difficoltà. Per loro il raggiungimento dell'obiettivo finale, Vaikuntha, è sempre libero da ogni ostacolo." SBh. 10.14.58.
"Oh Signore! Coloro che hanno preso rifugio nella polvere che sta sulla pianta dei Tuoi piedi di loto non vogliono mai da Te nessu­na ricompensa, fosse anche il regno dei cieli, la sovranità sulla Ter­ra, l'elevata posizione di Brahma, il governo dei più elevati pianeti superiori, il raggiungimento dei poteri soprannaturali ottenuti dagli yogi, o persino moksa stessa, la liberazione che pone termine al ciclo ripetuto di nascite e morti." SBh. 10.16.37.
"Oh Signore! In verità Tu sei l'amato dei devoti, sempre veri­tiero, amichevole, e veramente riconoscente per i servizi resi. Quale uomo saggio, ignorando Te, Sri Krishna, prenderebbe rifugio in un altro Dio o Dea? Se qualcuno, in qualsiasi momento, Ti ha reso un qualsiasi insignificante servizio, Tu in cambio di quel servi­zio soddisfi ogni suo desiderio, ma con ciò non sei ancora soddi­sfatto, e gli dai anche Te stesso, Tu, l'eternamente libero da cresci­ta e decadenza." S.Bh. 10.48.26.


CAPITOLO 6
HARIDAS THAKUR
E IL KAZI
Per qualche tempo Haridas visse a Fulia, un villaggio si­tuato sulle rive del Gange, a metà strada tra Ranaghat e Santipur, nel distretto di Nadia, Bengala Occidentale. Fulia si trovava molto vicino a Santipur, dove risiedeva Advaita Acarya, e Haridas era molto felice di poter avere la possibilità di godere della sua compagnia.
Colmo di gioia ineffabile, Haridas trascorreva le giornate cantando i santi nomi del Signore. Distaccato dagli oggetti mondani e indisturbato dagli alti e bassi di questo mondo tran­sitorio, nuotava nell'oceano della beatitudine trascendentale. Ripetendo ad alta voce "Sri Krishna", vagava di frequente con gran gioia lungo le rive del Gange. Non avendo alcun attacca­mento per i fuggevoli piaceri del mondo, egli era a ragion veduta il migliore degli asceti. Non smetteva mai di pronun­ciare il santo nome nemmeno per un momento.
Per influenza delle più elevate qualità della bhakti, egli pro­vava vari sentimenti: danzava, cantava, piangeva, rideva, si rotolava per terra. In breve, aveva su tutto il corpo i segni delle alterazioni spirituali, causati da rapimento divino, che solo un devoto di Sri Krishna, peraltro molto elevato, può spe­rimentare. Appena Haridas cominciava a danzare, tutti i suddetti segni di devozione amorevole comparivano sul suo cor­po. Oh! Che meravigliosa inondazione di beatitudine spirituale! Essa bagnava ogni suo arto, e al solo vederla persino il peggiore degli atei si sentiva trasportato in uno stato di gioia. Questi meravigliosi e inconsueti segni di devozione emozio­navano persino grandi deva come Shiva e Brahma, per non dir poi degli altri.
I brahmana di quel villaggio erano molto impressionati dai suoi meravigliosi raggiungimenti nel campo della devozione, e la maggior parte di loro lo accettava come un gran santo.
Dopo aver fatto il bagno nel Gange, Haridas vagava libera­mente tutt'intorno cantando incessantemente il santo nome ad alta voce. Questo suo comportamento non era però molto apprezzato da una certa sezione di brahmana, e ancor meno dai dominatori musulmani del posto. La gente di questo tipo è abituata a considerare la religione un fagotto di ristretti dog­mi e bizzarre costrizioni. Trovando da ridire su quella pacifica e benefica azione di Haridas, essi si allearono per opporsi a lui, considerandola una grave violazione alle usanze sociali.
Sul lato occidentale del Bhagirathi - altro nome con cui si designa il Gange - si trovava la città di Ambua. Un Nawab (un governatore, un potente ufficiale reale incaricato di am­ministrare la città e i villaggi circostanti) aveva lì il suo quartier generale. I brahmana che si opponevano a Haridas, e che ave­vano una profonda e radicata inimicizia verso i devoti del Si­gnore, cospirando con i musulmani locali arrivarono alla de­cisione unanime di punire Haridas con l'accusa di creare disordine sociale. La questione fu riportata al Kazi, sacerdote musulmano e amministratore locale, il quale dopo aver con­dotto un'accurata investigazione dell'intero caso, decise di sottoporlo all'attenzione del suo superiore, il governatore di Ambua. A questo proposito il Kazi andò di persona dal gover­natore, l'informò di tutta la faccenda e gli chiese di punire Haridas in modo esemplare per aver lasciato l'Islam per l'Induismo.
Il governatore non era neanche lui, come si dice, di larghe vedute; era anzi più conosciuto per la sua crudeltà. Emise immediatamente l'ordine di imprigionare Haridas, e non ci fu molto da attendere prima che l'ordine venisse eseguito.
Sempre contando sulla misericordia di Sri Krishna, Haridas non temeva nemmeno la morte, che dire dunque di un gover­natore e dei suoi malvagi consiglieri.
I virtuosi e devoti abitanti di Fulia provarono invece un immenso dispiacere per questa dissennata azione delle auto­rità governative che, con la loro decisione di incarcerare un gran santo come Haridas, li privava della sua felice e ispirante compagnia.
Senza la minima esitazione il crudele governatore l'aveva fatto gettare in carcere come un criminale ordinario. A quel tempo i prigionieri non mancavano. Non appena la notizia dell'arresto di Haridas giunse alle loro orecchie, nell'intimo essi provarono una gran gioia. Giacché Haridas era un devoto del più elevato livello, erano tutti propensi a credere che la sua semplice presenza avrebbe posto fine alla loro miserevole condizione di carcerati. Si affrettarono perciò tutti a chiedere ai loro carcerieri di poter avere l'opportunità di vedere il grande devoto mentre transitava dalla loro parte. Al suo passare là dove lo stavano aspettando con tanta trepidazione, Haridas fu profondamente toccato nel veder tutti così ansiosi. Il suo cuo­re tenero e compassionevole si sciolse alla vista di quei con­dannati e silenziosamente fece piovere su di loro le sue benedizioni. Il suo aspetto impressionò profondamente tutti. Le mani arrivavano a toccargli le ginocchia, un segno propizio raro a trovarsi in un comune mortale; il volto luminoso come la luna, con quegli occhi simili a petali di loto, si aggiungeva al fascino della sua già impareggiabile apparenza.
Alla sola vista della bellissima e rispettabile personalità di Haridas, tutti i prigionieri presenti s'inchinarono spinti da un impulso naturale di rispetto e devozione. I loro sentimenti non tardarono a dare i risultati conseguenti. Gli ardenti desideri, anche se di natura momentanea, non possono mai essere un fallimento. Il dolce augurio di Haridas non andò invano. Essi sentirono nel cuore un lampo di gioia impareggiabile, devo­zione amorevole per Sri Krishna, che portò un gran cambiamento in loro.
Notando lo stato d'animo nel quale si trovavano in quel momento, Haridas li benedisse sorridendo: "Che Dio vi bene­dica! Che possiate sempre rimanere così come siete ora."
A queste parole quei poveri prigionieri si sentirono molto delusi, poiché si aspettavano una benedizione che li salvasse dalle catene della vita di prigione. Essi non compresero le sue dolci intenzioni, non afferrarono per niente il vero significato delle sue parole. Haridas se ne accorse dal loro improvviso scoramento, e si affrettò a spiegarne il significato nascosto.
"Suppongo che voi tutti vi sentiate miseramente delusi dalle mie parole di benedizione," egli disse. "Sicuramente non ne avete capito il vero significato. Non benedico mai nessuno per apportargli disgrazia. Se solamente cercaste di approfon­dire, vi convincereste sicuramente delle mie migliori inten­zioni. Non siatene dispiaciuti. Lasciate che la vostra mente sia assorta in Sri Krishna come lo è allo stato presente. L'attitudine che avete ora è molto benefica per voi. Che possiate da questo momento cantare insieme il nome di Sri Krishna e pensare a Lui costantemente. In questo momento la vostra mente è interamente libera da ogni pensiero di malizia e di oppressione verso altre entità viventi, e da altri vizi del gene­re. Meditate incessantemente su Sri Krishna, ripetendo il Suo nome con la più gran umiltà. Se vi immergete di nuovo nel mondo materiale, per influenza delle cattive compagnie vi dimenticherete ben presto di Lui. Il vero amore per Sri Krishna non può essere ottenuto da chi è profondamente assorto nella mondanità, o da chi sta in compagnia di persone mondane. Per colui che rincorre pazzamente i piaceri temporanei, Sri Krishna è più lontano della più lontana delle stelle nel cielo. Per chi ha abbandonato tutto a Lui, e cerca con bramosia di amarLo, è invece più vicino del respiro stesso, delle mani o dei piedi. Una mente assorta nel godere degli oggetti monda­ni è il peggior impedimento alla realizzazione di Dio. Fino a che c'è il minimo desiderio di soddisfare i sensi materiali, le possibilità di ottenere la devozione ai piedi di Sri Krishna sono molto striminzite. Il servizio a Sri Krishna e il godimento dei sensi si trovano ai due lati opposti. Un'anima dimenticata, che non tende verso il servizio al Signore Supremo, perde il suo tempo prezioso in questioni mondane. `Il tempo non aspet­ta nessuno'. Il tempo scorre via con una velocità inimmaginabile. Se per misericordia senza causa del Signore Supremo una persona è abbastanza fortunata da ottenere la compagnia dei puri devoti, sarà liberata dal mulinello della mondanità, e le sarà infusa la tendenza a servire Bhagavan. Tutte le offese di cui vi siete liberati al presente vi riprenderanno di mira quando ritornerete in compagnia delle persone mondane. Questa è la natura invariabile del mondo e della sua relazione. Dovete capire che questa è la sostanza di tutto quello che volevo trasmettervi. Non siete riusciti a capirmi e mi avete frain­teso. Non ho mai desiderato che restiate in prigione per il re­sto della vostra vita, e neanche vi ho benedetto in questo sen­so. Dimenticate questo mondo transitorio e i suoi fuggevoli piaceri e ripetete costantemente il dolce nome di Sri Krishna. Che tutti voi possiate avere il prezioso dono di una risoluta devozione per Sri Krishna."
Con questo commovente discorso Haridas colmò di bene­dizioni tutti i prigionieri lì presenti.
Il governatore, che l'aveva preso per una persona ordina­ria, chiese che gli portassero il nuovo prigioniero. L'impressionante figura e la singolare personalità di Haridas lo obbli­garono però a ricredersi. Dapprima gli offrì un seggio con gran rispetto, poi, con tono familiare, gli chiese:
"Fratello! Che c'è che non va? Perché ti comporti in que­sto modo così singolare? È evidente che tra tutte le comunità del mondo quella musulmana è la migliore. Tu sei stato assai fortunato ad aver preso nascita in una nobile comunità. Per­ché sei dedito alle pratiche degli indù che sono socialmente inferiori a noi? Hai trasgredito la religione della tua razza e adottato altri metodi di condotta nella tua vita. Con tale com­portamento inappropriato nella vita presente, come puoi aspet­tarti la salvezza nell'altro mondo? Per le tue malefatte già commesse, dovute all'ignoranza, sei colpevole di gravi pec­cati. Ma a che cosa serve piangere sul latte versato, cerca piut­tosto di liberarti dai peccati in cui sei incorso. Ti voglio dare un piccolo consiglio che ti salverà da questa critica situazio­ne. Recita il Kalm della nostra nobile fede e fai ritorno alla nostra religione, ciò cancellerà il problema stesso. Sono fer­mamente convinto che questa sia l'unica valida soluzione."
A queste parole del governatore, chiaramente infatuato dall'energia d'illusione del Signore, Maya, Haridas non riu­scì a trattenersi dal ridere. Era sbalordito dalla meravigliosa capacità di Maya di illudere le anime sfortunate a riguardo della vera conoscenza del Signore e della Sua eterna religio­ne. "Meraviglioso davvero", riuscì a dire tra gli scoppi di risa che lo prendevano, "è il potere ingannevole di Sri Visnu!"
Poi, con un tono dolce, continuò: "Mi ascolti, caro signo­re! Dio è Uno, per tutti. È l'unico ed eterno oggetto di adorazione, senza comparazione, per tutti: indù o musulmani, gio­vani o vecchi, uomini o donne, Egli, solamente, è la Divinità Suprema. Gli indù e i musulmani ignoranti, che non hanno conoscenza della vera natura di Dio, sono i soli responsabili di queste spiacevoli rivalità religiose. Essi si creano un Dio diverso e separato, generando inutili e sciocchi litigi che por­tano amarezza tra i membri di entrambe le fazioni. Se cerchi per un momento di dimenticare questi insignificanti, ristretti, inventati e fanatici sentimenti, e di capire con mente impar­ziale la verità, considerando sia i Purana degli indù sia il Co­rano dei musulmani come autorità nel giudicare certe que­stioni, solo allora potrai capire che essi parlano della stessa verità. Entrambi sono concordi su questo punto. E’ la stessa eterna entità, la personificazione della perfezione, la verità invisibile, il Signore Supremo, l'indistruttibile per natura, che risiede nel cuore di tutti. Gli abitanti di tutti i mondi si muo­vono in accordo all'ispirazione che lo stesso Signore Supre­mo infonde nella loro mente. `Oh Arjuna! Il Signore Supremo manovra tutte le jiva come dei burattini attraverso la Sua po­tenza esterna, Maya, e dimora nel loro cuore come consiglie­re interiore.' Bg 18.61.
Il nome e le glorie di questo stesso Signore sono cantate da tutte le persone in ogni parte del mondo, in accordo alle affermazioni delle loro rispettive scrit­ture. Ma lo stesso Signore accetta le intenzioni che stanno dietro alle azioni di tutte le persone. Ogni azione di disprezzo verso una qualsiasi delle Sue creature è disprezzo anche verso di Lui. Non è perciò consigliabile mostrare odio verso una qualsiasi creatura del Signore onnipotente. Facendo rinnega­re forzatamente ad una persona i propri sentimenti naturali con l'imposizione delle ristrette vedute di qualcun altro, viene fatta una grande ingiustizia a tutte le altre religioni del mondo ed è inoltre una grave offesa al Signore Supremo, l'uni­co oggetto di adorazione di tutte queste differenti scuole di pensiero. Spesso confondiamo le parole servizio e disprezzo del Signore. Dimenticando l'amore per Dio, le persone diven­tano schiave di molti credi e pratiche di questo mondo. Fer­mare le azioni presenti che sono un ostacolo al proprio bene eterno, non dev'essere confuso con il disprezzo per una qualche religione o come mancanza di rispetto per Dio stesso. Al contrario, se invece di illuminarli con appropriate verità reli­giose e indirizzare la loro disposizione mentale verso l'eterno servizio al Signore, un qualsiasi servizio che viene loro offer­to li immerge ancora di più in un ambiente materiale e li porta poi alla totale perdizione, questo non è un segno di benevo­lenza verso di loro. Di fatto, è una grossa ingiustizia nei loro confronti. Tali azioni, sebbene appaiano come benevolenza e compassione, dovrebbero essere completamente evitate. Io sto perciò agendo nel modo in cui il Signore si compiace di gui­dare la mia mente. Il progresso di un'anima nel servizio al Signore dipende interamente dalla misericordia senza causa del Signore stesso. Noi avanziamo quel tanto che Lui ci per­mette. `Coloro che Mi adorano con un cuore amorevole, e sono sempre in comunione con Me, sono da Me dotati di un tale amore puro, nato dalla pura intelligenza, che li rende in grado di raggiungere la Mia dimora felice.' Bg 10.10. Se un brahmana, rifiutando la sua religione, abbraccia la fede dell'Islam, come dobbiamo considerarlo? Come dobbiamo valutare questi fatti? Le attività di una persona non riguarda­no che lei. Le entità viventi, influenzate da certi istinti, ese­guono le azioni in questo mondo. Le azioni vengono pagate con la stessa moneta, dal momento che le azioni sono accom­pagnate dalle reazioni. Non c'è un'ulteriore necessità di im­porre loro una punizione speciale. A che serve uccidere una persona che ha già commesso suicidio? Quello che semini devi raccogliere. Buon signore! Ti prego, giudica il mio caso ora. Se pensi ancora che sono colpevole di qualche offesa, puniscimi."
C'era una gran folla ad ascoltare questo caso peculiare. I musulmani lì riuniti erano molto soddisfatti delle parole ge­nuine di Haridas. Tutte le religioni del mondo hanno molte cose comuni, che possono colpire i seguaci di qualsiasi religione. Quando ci si impegna nello studio attento di tutte le religioni, ci si imbatte in due importanti aspetti: il generico e lo specifico. Gli insegnamenti generici di tutte le religioni del mondo sono più o meno di natura simile. Le differenze e le rivalità sorgono quando spieghiamo la religione nell'aspetto specifico. Lo studio specifico di qualsiasi religione tratta chia­ramente tutti i problemi intrinseci e sottili in senso profondo. Non andando in profondità negli aspetti specifici del suo cre­do, Haridas poté facilmente imprimere le verità comuni della religione persino ad una platea musulmana.
In realtà, la nobile religione del Sanatana dharma, voluta dal Signore Supremo stesso, e basata sulle solide fondamenta delle scritture infallibili, contiene dei meravigliosi aspetti. Tutte le religioni del mondo possono facilmente e magnificamente essere accomunate in essa. Le varie vedute delle diffe­renti scuole di pensiero trovano un terreno comune in questa eterna religione. Essa è splendidamente ricca di raggiungimenti filosofici e avanzatissime realizzazioni teologiche, rinforzate da ispiranti regole di principi sociali e morali per la vita quo­tidiana dell'umanità. Questa religione avoca un'origine che si rifà all'eterno Signore stesso. "Non è stata fondata dai rishi, dagli yogi, dai jnani o dai katmi, e neanche dagli esseri cele­sti, i deva. Bhagavan stesso ne è il fondatore." SBh. 6.3.19.
Nella Bhagavad-gita 14.14, Egli dice: "Sono Io colui che dev'essere conosciuto nei Veda. Io sono l'autore del Vedanta e ne sono anche il conoscitore."
      Poiché ha origine da Bhagavan, si chiama Bhagavata Dharma, e la sua giurisdizione è molto vasta. È un vero e proprio punto d'incontro dei diversi tipi di credo. Come tale comprende il più vasto campo, dal livello più basso della dedicazione di tutte le azioni, karma-yoga, ai più alti raggiungimenti dell'amore trascendentale, prema. Offre inol­tre ai suoi seguaci, realizzazioni su tutti i differenti aspetti della Realtà Assoluta.
      Pur avendo conquistato i cuori degli ascoltatori lì presenti, Haridas non aveva però convinto il peccaminoso Kazi. Costui possedeva un cuore di pietra, senza la minima particella di benevolenza umana in esso. Egli disse al governatore: "Che sia punito! Questo essere malvagio confonderà gli altri e rovi­nerà la loro vita. Denunciando la nostra nobile religione, l'ide­ale che ha ora presentato, che mette in primo piano la religione indù, preparerà indubbiamente il terreno a molti altri che in un prossimo futuro ne seguiranno le orme. Ciò porterà tota­le discredito alla razza musulmana. Perciò, allo scopo di ri­muovere un tale insulto alla nostra società, Haridas dev'esse­re severamente punito. A meno che non si penta delle sue attività peccaminose, ammetta le sue colpe e segua le sublimi scritture musulmane."
Il Kazi è un'autorità nel campo religioso, le cui parole non possono essere ignorate. Su sua esplicita pretesa, il governatore dovette quindi chiedere di nuovo a Haridas: "Caro fratel­lo! Abbandona le pratiche degli indù e fa' ritorno alla nostra comunità, recita le nostre scritture e liberati da tutte queste inutili preoccupazioni. Questa è la tua unica possibilità ora, altrimenti tutti i Kazi insieme t'imporranno una dura punizio­ne. Dovrai solo continuare a ripetere le nostre scritture. Per­ché devi soffrire inutilmente?"
Haridas era fermo nella sua fede e nelle sue convinzioni, più di tutti gli altri, anche se messi insieme, nelle loro. I sug­gerimenti del governatore e le minacce del Kazi non ebbero la minima influenza sulla sua determinazione.
"Nessuno può andare contro i desideri del Signore onnipo­tente", egli disse. "Ciò che il Signore vuole che una persona faccia, quello dovrà fare. Non c'è potere alcuno, nell'infinito numero di mondi, che possa opporsi alla volontà di Dio. Siate certi che i frutti delle nostre azioni ci saranno adeguatamente concessi dalla mano sempre giusta di Dio. La punizione per le varie offese da noi commesse ci viene data dallo stesso Si­gnore onnipotente. Anche se il mio corpo venisse fatto a pez­zi, cosicché l'anima lo abbandoni, non smetterei di ripetere Sri Harinama."
Quale brillante esempio di ferma determinazione, e che nobile ideale di straordinaria forza di volontà. Per ogni aspirante sulla via della realizzazione di Dio, quest'esempio di Haridas è una vivida stella che fa da guida. Tutto ciò che ten­de in modo genuino verso il nostro bene eterno, è spesso cir­condato da ostacoli di natura ostinata. Salvo che l'aspirante non sia fermamente disposto ad affrontare qualsiasi ostacolo che gli si presenti dinanzi sul cammino, il suo progresso si bloccherà, e dovrà aspettarsi solo disappunto e delusioni. Egli dev'essere preparato ad affrontare a mente fredda qualsiasi emergenza si trovi davanti. La ferma determinazione capace di sostenere qualsiasi prova, unita alla pazienza può respin­gere tutti gli attacchi rivolti contro i nostri sforzi. C'è un sag­gio proverbio che val la pena ricordare sempre: "La pazienza e la perseveranza possono scavalcare le montagne”. Queste due qualità sono molto utili ad ogni nostra causa. Una delle quattro qualifiche menzionate da Sri Gauranga Mahaprabhu per poter ripetere incessantemente il santo nome è la tolleran­za, diventare ancor più tolleranti di un albero. Lasciamo che queste parole di Haridas riecheggino sempre nelle nostre orec­chie, che esse siano ben impresse nella nostra mente, che lascino una profonda e permanente impressione nei nostri irre­soluti cuori, così che seguendo le sue orme, grazie alla sua misericordia senza causa, anche noi possiamo ottenere la for­za di affrontare con coraggio ogni ostacolo posto sul nostro sentiero religioso, ed avere successo nel raggiungere il nostro obiettivo.
Le parole di Haridas ebbero l'effetto di frecce penetranti scagliate da un potente arco. Il governatore sentì frustrato ogni suo ulteriore tentativo di dissuaderlo. Vista la gran determina­zione di Haridas chiese al Kazi: "Quale sarà la tua prossima mossa?"
Il malvagio Kazi rispose: "Che sia frustrato nei ventidue bazar, le strade della città dove ci sono i negozi e le bancarel­le. Solo allora aprirà gli occhi, capirà il risultato del suo pec­cato, commesso ripetendo il nome di un dio indù. Toglietegli pure la vita senza aver alcuna considerazione per lui. Se so­pravvivrà persino alle intollerabili frustrate nei ventidue ba­zar, allora crederemo alle sue affermazioni, se soccomberà ci riterremo soddisfatti perché con ciò sarà stato severamente punito per la sua grave offesa."
Il governatore non poteva far a meno di ottemperare a questo consiglio del Kazi, perciò ordinò ad alta voce ai suoi uo­mini: "Frustratelo lungo i ventidue bazar della città. Eseguite il vostro lavoro in modo tale che non possa sopravvivere. È nato musulmano, ma pratica l'induismo. La liberazione da tale peccato è possibile solamente al prezzo della sua stessa vita".
Su ordine del Kazi e del governatore, guardie e carnefici, dei veri bruti, afferrarono Haridas e cominciarono a frustarlo, strada dopo strada. Da parte sua, egli meditava costantemente sul santo nome di Krishna, senza avvertire ciò che gli stava succedendo. Non avvertiva alcuna sofferenza fisica.
Le persone buone e pie della città erano perturbate alla vi­sta di questo odioso atto. Si sentivano molto addolorate, nel profondo del cuore, ma che cosa avrebbero potuto fare? Alcu­ni dissero: "L'intero paese è dannato per questo crimine di torturare un santo come Haridas", Alcuni maledirono il go­vernatore, mentre altri non esitarono ad organizzare una pro­testa e una rivolta. Alcuni caddero ai piedi di quei malvagi mascalzoni che frustavano Haridas, pronti ad offrire allettanti tangenti pensando con ciò di poter addolcire i loro cuori e farli desistere dal colpire così duramente. Questi interventi della gente non servirono affatto ad intenerire i cuori di pietra di quei crudeli servitori del governatore. Senza la minima pietà continuarono ad eseguire gli ordini ricevuti. Era come se ap­partenessero ad una creazione separata, dove la dolcezza è completamente assente dal cuore umano. Abituati com'erano ad eseguire quel tipo di ordini, ogni traccia di sentimento era completamente scomparsa in loro. Oltretutto, il severo ordine del loro superiore li spronava ancor di più ad ottemperare. Per misericordia di Krishna, Haridas non avvertiva la minima sof­ferenza, nonostante la violenza di quell'inumana punizione.
Proprio come in passato le varie torture fatte subire a Prahlada dagli asura, per ordine di Hiranyakasipu, si dimo­strarono un gran fallimento, allo stesso modo le continue e perniciose frustate di quei carnefici musulmani non facevano alcun male ad Haridas. Questa straordinaria tolleranza è l'in­nata virtù dei bhakta genuini. Essi sono talmente intossicati dall'eterno servizio al Signore Supremo che non sentono mai il dolore dei vari tormenti a loro inflitti dagli elementi demoniaci del mondo materiale. Come abbiamo già visto, una delle qualifiche per ripetere costantemente Sri Harinama, come Sri Caitanya ci ha chiesto, è quella di esser più tolleranti di un albero. Se i devoti nella loro vita quotidiana, per influenza degli eventi esterni, si adirano e diventano intolleranti, il loro progresso verso la meta viene ostacolato. Spesso vediamo in questo mondo che i sinceri esponenti della verità sono perse­guitati per colpe non commesse. Devono affrontare opposi­zioni dalla maggioranza delle persone.
Il fatto di non sentire alcun dolore non è una caratteristica esclusiva di Haridas, anche coloro che ricorderanno con fede il gran santo in tale difficile situazione potranno superare le sofferenze e le calamità.
Haridas provava dispiacere solo per quelle innocenti persone coinvolte in questo terribile crimine. Egli pregava ripetutamente Bhagavan Sri Krishna di far piovere le Sue be­nedizioni su quelle innocenti jiva, perdonandole per tutte le loro offese. L'augurio di benessere, inviato persino a coloro che si dichiarano nemici, non si può manifestare in una perso­na egoista di questo mondo. Nessuno, eccetto i magnanimi devoti del Signore, che sono liberi da tutti i pregiudizi, può nutrire tale desiderio. Gli uomini di questo mondo sono gui­dati da scopi egoistici, cercano sempre di tenere le altre jiva soggiogate a se stessi, anche con la forza bruta. Pur di realiz­zare i loro propositi egoistici, i peggiori tiranni non cambiano la loro crudele attitudine. Persino coloro che esteriormente si mostrano liberali, lo fanno solo per mantenere le apparenze, per realizzare i loro scopi e per guadagnarsi una reputazione nella società.
I carnefici colpivano brutalmente Haridas, bazar dopo ba­zar. Lo frustavano con tutta la forza possibile, intenzionati ad ucciderlo, ma con loro gran sorpresa non ci fu alcun cambio in lui. Egli era praticamente inconsapevole di quello che sta­va succedendo al suo corpo fisico, perso com'era nella beati­tudine divina. Appariva vivace e più che mai allegro, al contrario delle guardie che via via si stupivano sempre di più di quello che stava succedendo, non riuscendo a darsi una spie­gazione. Tra sé e sé si chiedevano con grande stupore: "È mai possibile che un essere umano possa sopportare dei colpi così duri? Generalmente dopo essere stata colpita in due o tre ba­zar una persona qualsiasi perde la vita. Con lui invece abbia­mo attraversato tutti i ventidue bazar senza smettere di colpirlo duramente. È incredibile che egli spesso si metta a ride­re, bisognerà abbandonare l'idea di poterlo uccidere. Forse, come dice la gente, è veramente un Pir, un santo musulmano?"
Disperati e impauriti, anche i brutali carnefici finirono per cercare aiuto in lui. "Bene, Haridas!", essi dissero. "Tu sarai la causa della nostra distruzione. È infatti ben strano che tali continue e violenti frustate non ti abbiano tolto la vita. Ti ab­biamo colpito come meglio potevamo. Ora siamo completa­mente esausti, senza più forze. Su di noi incombe una pesante punizione se le nostre percosse non ti provocano la morte. I nostri superiori non ci crederanno. Il Kazi sarà certamente fuori di sé e ci condannerà a morte per non aver eseguito i suoi ordini."
Al sentire queste pietose espressioni di terrore, Haridas disse con un sorriso: "Se il mio esser sopravvissuto, persino dopo esser stato percosso così a lungo, sarà per voi causa di soffe­renza, sarò io il primo a dolermene. Per prevenire tale calamità, e per il vostro interesse, mi lascerò perciò morire imme­diatamente. Non abbiatene il minimo dubbio, ne sarete testi­moni ora stesso."
Così dicendo Haridas si concentrò profondamente sul Si­gnore Supremo. In breve perse ogni coscienza esteriore e di­ventò completamente immobile. Non c'era più segno di vita nel suo corpo. Quei mascalzoni rimasero molto sorpresi da questo improvviso cambiamento di Haridas. Come avrebbero potuto, quei poveri peccatori, conoscere i suoi poteri sopran­naturali. Essi credettero davvero che fosse morto. Presero il corpo e lo portarono davanti alla residenza del governatore, il quale ne ordinò l'immediata sepoltura.
Ma persino su questo, sulla sistemazione del corpo, dove­va trovar da ridire il crudele Kazi. Si era fatto una sua opinio­ne, basata sul suo credo religioso. "Se il suo corpo viene se­polto dopo la morte," egli disse, "otterrà sicuramente la libe­razione. Nonostante la sua nascita in una famiglia elevata, e in una fede superiore, egli è stato poi dedito ad attività abiet­te. Egli deve perciò pagare per gli imperdonabili peccati che ha commesso".
In accordo al credo religioso del Kazi, se il corpo morto di una persona viene sepolto, questa ottiene il bene eterno, men­tre invece se viene gettato in un fiume, in questo caso nel Gange, soffrirà eternamente. Il Kazi, supposta autorità in ma­teria di religione, con questo discorso rivelò appieno il suo malvagio cuore: era semplicemente determinato a sfogare la sua vendetta su Haridas persino dopo la morte. Come pena per aver accettato e pregato il nome di un dio indù, gli augura­va di prender ripetutamente nascita tra gli indù e di soffrire profondamente in ogni sua nascita.
Su istruzione del Kazi i servitori afferrarono il corpo di Haridas per gettarlo nel Gange. Nel frattempo Haridas era pro­fondamente assorto in meditazione su Sri Krishna, gustando la gioia ineffabile che ne derivava. Il suo corpo era diventato così pesante che nonostante tutti gli sforzi non riuscivano ne­anche a smuoverlo. Il Signore Divino, l'obiettivo della con­templazione di Haridas, era disceso nel suo corpo. L'appari­zione del Signore onnipotente, il sostenitore degli infiniti mondi, nel suo corpo, lo rendeva così pesante da esser inamovibile. Haridas fluttuava intanto sulle onde del nettareo oceano della beatitudine divina. Era completamente assorto nella sua meditazione, e di conseguenza era libero da qualsiasi sensazione grossolana. Non sapeva dove si trovava, non sapeva se stava in aria, sulla nuda terra o sulla corrente del sacro Gange.
La devozione esibita in tempi remoti dal grande Prahlada, profondamente assorto in meditazione su Krishna, è il solo esempio degno di accostarsi a questo passatempo. Lo Srimad Bhagavatam afferma che Prahlada aveva un naturale istinto di devozione verso Bhagavan Sri Vasudeva. Da ragazzo non sprecava mai il suo tempo in giochi infantili, come i suoi co­etanei. Tralasciava quei fatui diversivi e si impegnava in me­ditazione su Sri Krishna. Per effetto di tale meditazione si sa­turò con il flusso incessante della contemplazione del Signore, e come risultato di ciò era completamente inconsapevole del mondo materiale.
Le sue attività quotidiane, come prender cibo, camminare, riposare, bere e via di seguito, si succedevano come i movimenti di un automa. SBh. 7.1.6-7.
Nel Ramayana c'è una vicenda che ha qualche similitudine con questa. Poiché Indrajit, il figlio di Ravana, non riusciva a colpire Hanuman, diresse contro di lui l'infallibile brahmastra. Per mostrare il dovuto rispetto a quest'arma che non può sba­gliare, Hanuman si lasciò cadere al suolo tramortito. Haridas ricevette invece le dure frustate di quei bruti per mostrare al mondo un esempio vivente del più alto grado di tolleranza. Provò con i fatti quel che aveva già detto con grand'enfasi al governatore e al Kazi: "Se anche dovessi affrontare difficoltà insormontabili come l'Himalaya, e il mio corpo fosse fatto a pezzi così che la vita lo dovesse abbandonare, tuttavia non smetterei di ripetere il nome di Sri Hari."
La ferma fede e il canto costante del santo nome, nonostante i rischi, i sacrifici e le difficoltà, è l'importante inse­gnamento che Haridas, sempre traboccante di benevolenza, lascia al mondo. Può forse un qualsiasi residente di uno dei vari mondi, fosse pure in sogno, far del male ad Haridas il cui protettore è Govinda, il Signore Supremo? Tutte le sofferenze dell'umanità trovano fine semplicemente ricordandosi di Haridas. Come si può quindi pensare di offenderlo?
Con grandi sforzi le guardie del governatore cercavano in­tanto di sollevare il corpo di Haridas, ma senza alcun esito. Finché il Signore non desiderò che egli permettesse loro di gettarlo nel sacro Gange, dove i flutti lo cullarono seguendo la corrente. Per volere divino riprese ben presto coscienza. Traboccante di gioia incomparabile tornò a riva e, cantando come al solito ad alta voce il nome di Krishna, tornò a Fulia. I musulmani del posto rimasero oltremodo impressionati dai suoi meravigliosi poteri. Essi compresero finalmente la sua grandezza, e con ciò furono liberi di tutta la loro malizia. Il loro cuore si era purificato ed essi lo rispettarono come un grande Pir, inchinandosi a lui con tutta umiltà. Per sua infini­ta misericordia essi ottennero tutti la liberazione.
La notizia del suo strabiliante ritorno raggiunse anche il governatore, che si precipitò personalmente da lui per poterlo vedere. Il misericordioso Haridas non guardò male il gover­natore, non aveva mai neanche lontanamente pensato di ven­dicarsi di lui per tutte le atrocità che gli aveva inflitto. Anzi, lo ricevette con uno sguardo comprensivo e sorridente.
Questo comportamento affascinante e fuori del comune, colpì il governatore fin nell'intimo, lasciando in lui un'im­pressione permanente, una traccia indelebile in molte vite a venire. Con gran riverenza e a mani giunte, umilmente disse:
"Ora sono davvero completamente convinto che tu sia un Pir. Tu hai veramente realizzato la conoscenza del Supremo, è ben provato senza alcun'ombra di dubbio. La gran schiera di yogi e jnani fa solo una falsa mostra con belle parole altisonanti, ma tu lo hai realizzato attraverso la gioia incom­parabile della meditazione sul Signore. Io sono venuto fin qui per poter gettare uno sguardo su di te. Oh anima elevata! Ti prego, dimentica e perdona tutte le mie offese. Per te tutti sono uguali, tu non hai né amici né nemici. Non c'è nessuno nei tre mondi che possa capire la tua vera natura. Ti puoi spo­stare liberamente come meglio credi, hai completa libertà di farlo. Puoi continuare a stare nella tua capanna solitaria sulle rive del Gange. Fa' pure come desideri, risiedi dove preferisci e fai tutto quello che più ti aggrada. Non c'è niente di monda­no che ti possa legare."
Le glorie di Haridas sono indescrivibili. Senza parlare del­le persone di natura virtuosa, quegli stessi musulmani dal cuore duro e pieni di pregiudizi che l'avevano accusato, dimenticarono al solo vederlo gli aspri sentimenti che avevano per lui. Quale miracoloso cambiamento! Con la collera che ardeva in loro l'avevano portato dal governatore perché gli fosse tolta la vita, ed ecco: meraviglia delle meraviglie! La straordinaria pazienza di Haridas e la sua fede implicita nel Signore avevano apportato uno straordinario cambiamento in tutti loro, e in particolare nel governatore, che si pentì di tutte le sue offese e senza la minima esitazione chiese perdono per tutti i suoi mi­sfatti. Egli ormai vedeva in Haridas un vero messaggero del Signore, ai cui piedi tutti cadevano riconoscendolo come un gran Pir. E dimenticando le severe persecuzioni, il magnanimo Haridas li benedisse tutti.
Ritornò così a Fulia, in pace, ripetendo ad alta voce il nome di Sri Hari, fino all'assemblea dei brahmana. Essi lo ricevet­tero a cuore aperto. Erano immensamente felici di riaverlo tra loro. Festeggiarono l'evento cantando ad alta voce lo Sri Harinama con gioia inesprimibile. Haridas si mise a danzare. È impossibile descrivere il suo piacere. Sul suo corpo si ma­nifestarono segni meravigliosi di perturbazioni spirituali: la­crime, tremori, risa, svenimento, peli che si rizzavano, e altri ancora, tutti segni distintamente visibili. Intossicato dall'amore divino ogni tanto cadeva e si rotolava al suolo. I presenti, te­stimoni di questi meravigliosi segni d'amore trascendentale, erano anch'essi persi in un oceano di gioia infinita. Poi, lenta­mente, Haridas si ricompose e si sedette. I brahmana erano li seduti intorno a lui, impazienti. Sopraffatto da un sentimento d'assoluta umiltà, infine riuscì a dir loro:
"Oh brahmana! Vi prego, ascoltate. Ho raccolto le conse­guenze delle mie azioni malvagie, ascoltando le bestemmie contro il Signore, ed è solo dovuto alla Sua misericordia in­condizionata che mi ha punito in modo molto leggero. Mi devo considerare molto fortunato per essere stato da Lui perdonato con una punizione così moderata. Chi ascolta le diffamazioni di Sri Visnu deve passare attraverso infinite sofferenze nel­l'inferno conosciuto come Kumbhipak. Con le mie orecchie peccaminose ho ascoltato fin troppi discorsi empi. Come pu­nizione ho sopportato abbastanza torture mentali senza che debba ripetere una tale condotta anche in futuro."
Con questo istruttivo consiglio Haridas consolò tutti i pre­senti, ed eseguì con loro il canto dello Sri Harinama con gran­de gioia.
Per quanto riguarda quelli che lo avevano perseguitato e non si scusarono, non tardarono a raccogliere i frutti delle loro malvagità.
Haridas si era sistemato in una grotta solitaria sulle rive del fiume Gange; ripetendo "Krishna Krishna" egli salmodiava quotidianamente trecentomila santi nomi. Per lui quella ca­verna era Vaikuntha stessa. Anche un grosso serpente aveva trovato rifugio in quella grotta. I visitatori ne avvertivano la presenza per via di un'insolita sensazione di bruciore che pro­vavano lì dentro. Non c'era entità vivente che potesse soppor­tarla. Da Haridas veniva molta gente in visita, ma nessuno poteva sopportare neanche per un po' l'influenza di questo veleno. Con loro grande sorpresa, Haridas era invece indiffe­rente a tutto ciò.
I brahmana si chiedevano: "Perché c'è questa sensazione di bruciore nella grotta di Haridas?"
A Fulia vivevano molti medici esperti nel trattare coi veleni e curare i morsi dei serpenti. Dopo esserne stati informati si recarono nella grotta per diagnosticare la vera causa di questa sensazione. Prima di loro nessuno era stato in grado di identi­ficarne l'origine. Uno di questi medici disse:
"Proprio sotto questa grotta c'è un serpente velenosissimo. Sono più che sicuro che è il suo alito velenoso e bruciante che rende impossibile vivere in questa grotta. Non è mai consigliabile vivere in compagnia di un serpente, poiché è crudele per natura. Haridas deve spostarsi immediatamente e trovarsi un altro posto. Dobbiamo supplicarlo di abbandonare subito questa caverna".
Come suggerito, informarono Haridas della situazione e lo pregarono vivamente di andare in un posto più sicuro.
A questa richiesta dei brahmana e dei dottori, Haridas ri­spose: "Sono qui da parecchi giorni e non ho mai avvertito alcuna presenza di veleno né sensazione di bruciore. Mi spiace però che voi abbiate avuto quest'insopportabile impressione. Pertanto lascerò questo posto domani stesso e mi troverò un altro rifugio, come voi avete suggerito. Ad essere franco io non avverto il benché minimo inconveniente, ma giacché tut­ti voi siete molto interessati alla mia sicurezza, devo senza dubbio soddisfarvi. Se veramente in questa caverna vive un enorme serpente velenoso, come tutti voi dite, e non abban­donerà il posto entro domani, allora sarò io ad andarmene. È cosa fatta: domani uno dei due lascerà questa grotta, o io o il serpente. Tuttavia non siate così ansiosi. Evitate tutte queste paure e interessiamoci di Krishna."
"Oh brahmana che vi trovate qui, e anche madre Ganga, vi prego, consideratemi un devoto, poiché la mia mente ora è fissa sul Signore Sri Visnu. Che il serpente Taksaka, in adem­pimento alla maledizione del giovane Sringi, venga pure a mordermi quando vuole. Io vi chiedo solamente di cantare le divine glorie e le meravigliose qualità di Bhagavan Sri Krishna." S.Bh. 1.19.15.
Mentre erano così impegnati in discorsi sulle attività tra­scendentali di Sri Krishna, furono testimoni di un avvenimento sbalorditivo. Come in risposta al proponimento di Haridas, un enorme serpente uscì dal suo buco e lentamente si allonta­nò, accompagnato dal nome di Krishna ripetuto senza tregua dai presenti per meraviglia e spavento. Tutti furono presi da una gran gioia, come se col serpente se ne fossero andate via anche tutte le ansietà e le paure. Non c'era più alcuna sensa­zione di bruciore. I brahmana attribuirono ciò al meraviglioso potere di Haridas, e questo fatto contribuì ad aumentare la loro devozione per lui.
Le persone che sono malvagie per natura, e che provano un gran piacere nel far soffrire gli altri, sono soggette ad esser vittima della crudeltà di serpenti e animali velenosi, o della ferocia di altri animali selvaggi. Ma persino i serpenti, esseri crudeli per natura, si astengono dal danneggiare i maha­bhagavata come Haridas, anzi, sono ben disposti ad obbedire prontamente ai loro ordini. Questa storia può esser presa ad esempio per illustrarlo, anche se, in effetti, è un'insignificante prova dei poteri di Haridas. Basta infatti semplicemente un suo benevolo sguardo a far sì che la schiavitù dell'ignoranza abbandoni l'anima. Persino il Signore Supremo, Sri Krishna, accondiscende alle parole di Haridas, senza mai opporsi.


CAPITOLO 7
HARIDAS THAKUR
E L'INCANTATORE DI SERPENTI
In un'altra occasione il re dei serpenti, Nagaraja, descrisse le glorie di Haridas. Un incantatore di serpenti. nonché guaritore dai morsi, stava danzando e cantando nella casa di una facoltosa persona. Accadde che Haridas passasse di là e, in qualche modo attratto, rimanesse in disparte dalla folla ad osservare la danza.
Per effetto di un mantra il Re dei serpenti entrò nel corpo dell'incantatore facendolo ballare come un provetto danzatore. Il soggetto della commovente canzone d'accompagnamento, cantata a squarciagola, era la danza eseguita da Sri Krishna sul lago di Kaliya.
Sentendo le glorie del suo Signore, per influenza di questo intensificante stimolo, uddipana, Haridas cadde a terra tra­sportato dall'estasi divina e perse coscienza. Il suo corpo non dava più alcun segno di vita. Qualche momento dopo riprese coscienza. Egli tuonò in preda ad incomparabile gioia e dan­zò in estasi in vari modi. Ciò attirò l'attenzione dell'incantatore, il quale all'improvviso si fermò, si mise da parte e se ne rimase calmo permettendo al grande Haridas di eseguire indisturbato la sua estatica danza.
Haridas si rotolò al suolo. Tutte le otto perturbazioni spirituali - lacrime, tremori, peli ritti, e via di seguito - si manife­starono profusamente sul suo corpo. Ascoltando il racconto dell'incomparabile misericordia mostrata dal suo amato Sri Krishna verso il crudele e malvagio serpente Kaliya, e ricor­dandosi quello che era allora accaduto, divenne saturo della presenza del Signore e pianse senza interruzione.
Tutti gli spettatori che lo circondavano, cantavano le glo­rie del Signore. Per tutto questo tempo l'incantatore di ser­penti osservò la danza di Haridas, a mani giunte e con gran riverenza. Questo divino incantesimo dell'ispirazione di Haridas durò per un breve periodo. Quando finì, il danzatore riprese il suo programma.
Le persone lì riunite per lo spettacolo rimasero tutte positi­vamente impressionate e veramente deliziate nell'osservare l'estasi divina di Haridas. Con enorme gioia si spalmarono il corpo con la polvere dei suoi santi piedi.
Un brahmino ipocrita ed ambizioso che si trovava tra il pubblico pensò che, se avesse imitato Haridas, essendo indù avrebbe avuto più rispetto di lui. Iniziò pertanto il suo sciocco inganno danzando con simulata frenesia e poi cadde a terra come se avesse perso i sensi. L'incantatore, notando in lui l'im­broglio di voler passare per un devoto, lo avvicinò e lo pic­chiò con severità. Incapace di sopportare le percosse, il brahmino scappò e non si fece più vedere.
L'incantatore riprese la sua danza gioiosa tra la meraviglia degli spettatori che s'interrogavano sul perché del suo strano comportamento. In risposta, per bocca dell'incantatore, il Re dei serpenti disse:
"Voi siete rimasti colpiti dal fervore devozionale di Haridas ed avete cominciato ad ammirare questo entusiasta devoto. Il brahmino ipocrita, per attirarsi la vostra ammirazione come devoto, si è messo a scimmiottare Haridas Thakura, finché non lo ho adeguatamente punito, al che se n'è scappato. Tali svergognati imbroglioni non hanno devozione per Sri Krishna. Una persona può ottenere devozione per Sri Krishna solo quando è completamente libera da tutti questi desideri insinceri. La danza di Haridas, della quale siete appena stati testimoni, è in grado di porre fine ad ogni sorta di schiavitù mondana. Sri Krishna stesso danza con lui, e l'universo intero è santifi­cato mirando la sua danza. Egli è degno del suo nome: Haridas, il servitore di Sri Hari. In realtà nel suo cuore l'amato Signore Supremo Sri Krishna sta continuamente svolgendo i Suoi pas­satempi. Haridas è sempre misericordioso verso tutte le entità viventi ed è un vero benefattore per chiunque. Egli appare insieme al Signore nelle Sue manifestazioni. È un eterno as­sociato del Signore ed è quindi sempre libero da tutte le offe­se verso Bhagavan o i Suoi bhakta. Non segue mai il sentiero sbagliato, nemmeno nei momenti di debolezza. Se qualcuno, come risultato delle sue attività virtuose eseguite nelle vite precedenti, è abbastanza fortunato da avere un contatto con lui, anche solo per un attimo, senza dubbio ottiene eterno ri­fugio ai piedi di loto di Sri Krishna. Perfino grandi deva come Brahma e Shiva traggono un'enorme gioia dalla compagnia di tali devoti e la desiderano sempre. Allo scopo di dimostra­re la completa inutilità di casta, credo, stirpe ecc. ecc., nell'esecuzione del servizio di devozione a Bhagavan, per volon­tà del Signore egli ha preso nascita in una famiglia di basso lignaggio. Tutte le scritture dichiarano in modo unanime che il devoto del Signore, persino nel caso che avesse preso nasci­ta in una famiglia di bassa casta, è sempre e comunque ogget­to di adorazione; viceversa, se persino dopo esser nato in una famiglia di alto lignaggio, uno non adora il Signore Supremo, non è meritevole di nessuna attenzione e la sua altolocata na­scita lo porterà solamente nel vortice dell'inferno (S.Bh. II, 5.3).
In genere gli uomini sono sempre bramosi di purificarsi facendo delle offerte ai deva oppure immergendosi nelle sa­cre acque del fiume Gange, ma quegli stessi deva desiderano ardentemente di essere toccati da Haridas. Madre Ganga stes­sa desidera che lui si bagni nelle sue acque. Ma che dico toc­care, la sola vista di Haridas distrugge la nostra eterna schia­vitù materiale. Anche il solo fatto di vedere coloro che hanno preso rifugio in Haridas fa sì che la schiavitù mondana sia sradicata. Voi siete tutti fortunati di poter godere della com­pagnia del glorioso Haridas. Quel che vi ho detto ora non è che un insignificante frammento della sua grandezza. Vi assi­curo in tutta sincerità che colui che pronuncia il nome di Haridas, anche solo una volta, otterrà senza alcun dubbio la dimora eterna di Sri Krishna."
Le persone lì riunite appresero con soddisfazione queste rivelazioni. Così il Re dei serpenti, un vero devoto di Bhagavan Sri Visnu, proclamò al mondo le glorie di Haridas. L'uditorio si convinse appieno della sua elevata posizione. Tutti lo amarono più che mai.
Haridas passava i suoi giorni ripetendo il nome del Signo­re. Sri Gauranga Mahaprabhu non aveva ancora rotto il silen­zio sulla Sua identità e non aveva manifestato al mondo lo scopo del Suo avvento. Il mondo aveva un grande bisogno di risveglio spirituale. Era quasi impossibile trovare devozione per Sri Visnu. A Navadvip c'era un piccolo gruppo di devoti, bersaglio continuo di così tante spiacevoli derisioni e critiche da parte dei materialisti immersi completamente nella mondanità. A dirla in breve, le condizioni erano dappertutto patetiche e pietose.
Notando la lamentevole condizione della gente e la com­pleta indifferenza verso il sentiero della devozione a Sri Visnu, nel suo intimo il magnanimo Haridas si sentiva smoderata­mente afflitto. Egli cantava il nome del Signore ad alta voce. Anche a questo c'erano opposizioni da parte dei vicini atei. Questi peccatori non potevano tollerare di sentir ripetere dagli altri il nome di Sri Hari. L'idea stessa accendeva in loro una collera bruciante.
Un brahmino che viveva nel villaggio di Harinadi, distret­to di Jessore nel Bengala Orientale, trovava pesanti obiezioni alla prassi di Haridas. Ciò gli fece perder la calma al punto che un giorno, con gran ira, l'apostrofò: "Haridas, perché ti comporti in questo modo? Che cosa ti fa pronunciare il nama così, ad alta voce? La nostra religione consiglia solo di mormorarlo. Quale scrittura ti dà l'autorità di salmodiarlo ad alta voce? Chi ti ha insegnato a gridare il nome del Signore in questo modo? Bene, qui c'è un'assemblea di pandit, gli stu­diosi degli shastra, lasciamo che siano loro a giudicare quel che hai da riferire a questo riguardo."
"Amici miei", replicò Haridas, "non c'è bisogno di dire che tutti voi conoscete benissimo la meravigliosa efficacia e la gloria del divino nome. Io non ho mai letto gli shastra allo scopo di raccogliere materiale per polemizzare. Mi sono per­messo solo di ricapitolare quel che ho sentito da sadhu come voi, che hanno preso rifugio nel canto del nama, e continuerò, ad ogni costo, a fare lo stesso anche in futuro. Ripetendo il santo nome ad alta voce, l'effetto viene centuplicato. Lungi dal condannare ciò, gli shastra lodano enfaticamente i benefici così ottenuti.. `Ripetere il santo nome ad alta voce fa sì che l'effetto venga aumentato cento volte.' 'La meditazione avrà successo solo se eseguita da uno solo, in un posto soli­tario, mentre invece il sankirtan può essere eseguito sia in solitudine sia in compagnia di molti altri'. (Brihad­bhagavatamrta 2.3.157)."
A questa affermazione di Haridas il brahmana ribatté: "Per­ché la ripetizione del santo nome ad alta voce dovrebbe centuplicarne il merito? Che spiegazione ci dai?"
Haridas replicò: "Per favore ascolta. Gli shastra, come i Veda, lo Srimad Bhagavatam e via di seguito, hanno risposto a ciò senza ambiguità”.
Haridas non era un profano. Aveva una straordinaria pa­dronanza degli shastra. Assorto nell'estasi spirituale diede un'ispirante esposizione su questo tema.
"Ascolta oh brahmana! `Ascoltando una sola volta il san­to nome di Krishna, le entità viventi sub-umane, come uc­celli, insetti, e così via, ottengono il sacro regno di Vaikuntha'. `Chi pronuncia il Tuo nome purifica imme­diatamente non solo se stesso, ma anche tutti quelli che lo ascoltano. Perciò che dubbio ci può essere sul fatto che una persona benedetta dal tocco dei Tuoi piedi di loto possa veramente liberare gli altri?' (S.Bh.10.34.17)."
"Bestie, uccelli, insetti, e via di seguito, non hanno la capacità di parlare. Anch'essi fanno parte della creazione del Signore Supremo. Anche in loro, come in noi esseri umani, c'è un'anima. Essi possono essere aiutati solo fa­cendo loro sentire il Santo Nome, solo attraverso questo processo possono ottenere la liberazione finale. Essi non hanno alcun accesso a nessun'altra pratica religiosa. Il mor­morio, la ripetizione impercettibile del nome di Krishna, aiuta una persona nel proprio progresso spirituale, mentre il canto ad alta voce è di beneficio a tutti coloro che l'ascol­tano da un genuino bhakta. Perciò gli shastra dichiarano che l'effetto è centuplicato, propugnando e lodando il can­to ad alta voce del santo nome."
"Il canto dello Sri Hari-Nama ad alta voce è cento volte migliore che ripeterlo in modo impercettibile, perché mentre il secondo metodo santifica solo chi lo recita, il primo santifi­ca tutti coloro che lo ascoltano. (Naradiya Purana, citato nel Caitanya-bhagavata Adi-lila 16.273)."
"I Purana considerano cento volte migliore chi ripete il santo nome ad alta voce di chi lo fa in modo impercettibile. Chi mormora il santo nome tra sé, vivendo in un qualsiasi luogo solitario, se ascolta dei suoni materiali può essere de­viato dalla sua meta desiderata, e la sua realizzazione viene così rinviata. Essendo ignorante della dottrina del santo nome, del pallido riflesso del santo nome, namabhasa, della ripeti­zione offensiva del santo nome, namaparadha, e delle loro rispettive posizioni, chi lo mormora in modo impercettibile è sempre propenso a commettere una grave offesa e privarsi perciò di tutti i veri benefici del canto del santo nome. Ascol­ta con rapita attenzione la vera causa di questa differenza tra i due tipi di aspiranti. Il salmodiare impercettibile del santo nome, come ho già menzionato, aiuta solamente quel partico­lare individuo, mentre, attraverso l'esecuzione ad alta voce del sankirtan di Sri Govinda, tutti gli esseri, umani e sub-umani, sono liberati dalla morsa di Maya. Molti pensano in modo egoistico solo a mantenere se stessi, mentre sono pochi colo­ro che, oltre a sé e a chi li circonda, aiutano migliaia di altre persone a sopravvivere in questo mondo. Tra questi due grup­pi di persone, dite un po', a chi va maggiormente la vostra preferenza? Lo sapete bene da voi. Ciò vale anche come ri­sposta alla tua precedente domanda."
Da questo esempio possiamo capire che chi ripete ad alta voce il nome del Signore non è solo un non-egoista, ma è allo stesso tempo una persona positiva, generosa ed altruista. È pertanto ovvio che ripetere ad alta voce il santo nome è cento volte migliore che mormorarlo.
"La ripetizione ad alta voce del nome di Sri Hari è da sola la migliore forma di altruismo. Le persone egoiste adot­tano il metodo della recitazione mentale, della meditazione, del controllo del respiro e così via. Il fine supremo dell'anima individuale non si realizza con tali sforzi mondani. Il bene assoluto della jiva può essere ottenuto con il canto del santo nome e con i discorsi riguardanti Sri Hari, in modo incessan­te, senza fermarsi neanche un momento."
La risposta di Haridas non piacque neanche un po' a quel­l'ostinato brahmino. Provocò solo la sua collera, facendolo andare su tutte le furie. "Questo Haridas ora è diventato l'ar­tefice della nostra filosofia. In India abbiamo sei famose filo­sofie diffuse da sei differenti grandi personalità: 1) Sankhya di Kapila, 2) Yoga di Patanjali, 3) Vaiseshika di Kanada, 4) Nyaya di Gautama, 5) Purva-Mimansa di Jaimini, 6) Uttara­Nimansa o Vedanta Darshan di Krishna Dvaipayana Vedavyas. Questa è un'aggiunta: la settima. Come sono strane le vie di Kali! Con l'andar del tempo la nostra religione vedica troverà la sua fine, in concomitanza con lo spuntare di esponenti come Haridas. Chissà quante altre di queste filosofie avremo anco­ra in futuro! La profezia degli shastra, secondo la quale i sudra esporranno i Veda verso la fine di quest'era oscura, si è già avverata. Non dobbiamo neanche attendere così a lungo che questo Yuga stia per finire. Spiegando gli shastra in questo modo, tu te ne vai di casa in casa ingozzandoti di cibo delizioso. Se la tua spiegazione non è in linea con gli shastra, vedrò io di far in modo che il naso e le orecchie ti vengano imme­diatamente tagliate".
Haridas non rispose a quest'espressione di irrefrenabile arroganza. La ricevette con un sorriso pronunciando il nome di Sri Hari. Abbandonò immediatamente la scena cantando ad alta voce il santo nome, senza perdere un secondo di più con quella gente. I presenti lì riuniti non trovarono infatti nul­la da ridire, perché erano anch'essi della stessa stoffa del suo interlocutore, un'accozzaglia dei peggiori peccatori.
Qualche giorno dopo quel perfido brahmino dovette mie­tere le amare conseguenze delle sue parole: un attacco di va­iolo virulento gli fece cadere per primo il naso.
Il tenero e misericordioso Haridas si sentiva intimamente addolorato pensando alla condizione del mondo. Spesso men­tre pronunciava il nome di "Krishna" emetteva dei profondi sospiri di dolore. Aveva ormai perso tutta la voglia di vivere nel mezzo di quella società decadente e desiderava ardente­mente l'associazione di qualche devoto sincero, così partì per Navadvip.
La devozione per Bhagavan è diventata un soggetto spiacevole che molte persone disapprovano. Uomini e donne sem­brano artificiali e si perdono completamente in quelle che chia­miamo `comodità'.
Le qualità nobili dell'umanità non si ve­dono da nessuna parte. Sono sostituite da vita irreligiosa, ideo­logie irreligiose, egoismo, odio, pregiudizi settari limitati, e cose del genere.
In quest'era oscura, molte persone di natura asurika pren­dono nascita nelle case dei brahmana, per portare caos e di­struzione nell'ordine sociale divino e disturbare la pace e la felicità che le poche buone persone si stanno godendo.
"Sotto la protezione dell'era di Kali, prendendo nascita nelle famiglie dei brahmana, i raksasa tormenteranno quei pochi veramente versati nelle scritture." Varaha Purana citato nel Caitanya Bhagavata Adi-lila 16.301.
La suddetta affermazione non è per nulla un'esagerazione. Quello che sperimentiamo al presente, è già stato registrato in precedenza. Se i brahmana, i più elevati in accordo alle quat­tro divisioni della società e di conseguenza le guide delle altre tre classi, devono confrontarsi con tale deplorevole caduta dall'elevato status di moralità, devozione, celibato, sacrifici religiosi, e così via, quale può essere la condizione di quelli che dipendono da loro? Se le radici marciscono, come può un albero sopravvivere? Di fatto, in accordo agli shastra, questi sono i veri intoccabili. Tutti i dharma-shastra ci proibiscono rigorosamente di avere una qualsiasi relazione con loro. Quelli che sono molto orgogliosi della loro nascita in una famiglia d'alto lignaggio, e nutrono un odio innato per i bhakta e per Bhagavan, non meritano che si abbia con loro alcuna relazio­ne, di nessun tipo. Chi incontra una tale persona, deve cercare immediatamente di evitarla con tutti i mezzi. A1 solo toccarla, non solo ci si contamina, ma ciò spianerà la strada a miserie senza fine.
Nella nostra presente condizione d'incatenamento, siamo più propensi all'influenza delle cattive compagnie, piuttosto che a quella delle persone virtuose e sante. Se il solo tocco di tali persone ci coinvolge in spiacevoli conseguenze, che dire di inchinarci o avere uno scambio d'idee con loro?
"Perché parlare ancora di questo argomento? Non si deve mai avere alcun contatto o discorso, nemmeno per sbaglio, con quei brahmana che sono avversi a Bhagavan Sri Visnu. Proprio come si evita la compagnia di un candala (che vive nutrendosi di carne di cane), allo stesso modo non si deve neppure rivolgere lo sguardo ad un brahmana che non ha de­vozione per Sri Visnu. Un devoto di Sri Visnu, persino se è al di fuori dei varna, santifica i tre mondi". Padma Purana citato nel C.Bh. Adi-lila 16.303-304.
In questo mondo fenomenico, c'è un processo di creazione che ha due aspetti. La differenza corrisponde ad una variazione di attitudine da parte degli esseri creati. La Bhagavad-gita 16.6 dice: "In questo mondo ci sono due tipi di entità create: i daiva e gli asura."
Sri Vyasadeva fa la stessa affermazione nel Padma Purana. Ci sono due distinte classi di entità nel mondo fenomenico, cioè i daiva e gli asura. I devoti di Sri Visnu sono daiva e gli asura hanno una disposizione opposta.
Un tipo di creazione concerne i deva, i quali posseggono una disposizione illuminata ed un comportamento raffinato. C'è una seconda varietà, che è costituzionalmente opposta ai deva. Le funzioni rappresentate dalla classificazione spirituale della società, in accordo alle disposizioni e alle attività, il varnasrama, sono in conformità con la natura daiva. Queste due creazioni hanno prevalso da tempo immemorabile. Hiranyakasipu e Hiranyaksa, che vissero nel satya yuga, sono designati come asura per il fatto di esser stati ostili a Visnu ed ai vaisnava. Questi due fratelli erano figli di Kasyapa Rishi, un brahmana. Nonostante fosse nato in una famiglia di brahmana, Hiranyakasipu degenerò in asura per via della sua ostilità verso Sri Visnu ed i vaisnava. Viceversa, un vaisnava o devoto di Sri Visnu può manifestarsi in una famiglia di asura. Il grande Prahlada, il primogenito di Hiranyakasipu, ne fu un vivido esempio. Visvasrava, nel treta-yuga, era un eminente brahmana-rishi, ma suo figlio Ravana era un famoso asura, per via dell'antagonismo verso Sri Ramacandra.
Nello Srimad Bhagavatam, 7.11.35, viene stabilita la seguen­te regola come base dell'istituzione della classe daiva, tenen­do conto della disposizione e della condizione di vita: "Le caratteristiche attraverso le quali viene indicata la condizione di una persona nella società teista sono già state stabilite. Se quelle caratteristiche si trovano in qualcuno che fa parte per nascita di una differente classe, dev'essere considerato parte di quella classe che corrisponde alla sua disposizione natura­le. La semplice nascita non è sufficiente da sola a far sì che una persona possa far parte di una particolare classe, anche la condotta è necessaria".
Commentando questo sloka Sridhara Swami menziona: "Nella classificazione di brahmana, ksatriya, vaisya e sudra, è importante il possesso delle corrispondenti qualità, come equanimità, autocontrollo, e così via, e non solo la nascita".
In altre parole, una persona si deve considerare apparte­nente alla determinata classe che rispecchia la sua disposizione individuale. Questo è il principio di base che regola l'isti­tuzione della società teista, il daiva varnasrama. La nascita non è il solo principio che determina la casta. La determina­zione delle rispettive classi, attraverso la maggiormente im­portante prova della disposizione, è la vera regola vedica. Se una persona nata in qualsiasi altra classe che non sia quella dei brahmana, possiede le qualità degne di un brahmana ge­nuino, incombe sugli altri brahmana l'obbligo di accettarla senza alcuna riserva come un brahmana, sulla prova della sua disposizione. Se questo non viene fatto, tale negazione è da considerarsi peccaminosa. Qualsiasi connessione con una per­sona dalla disposizione atea, distrugge tutti i meriti che abbiamo fino a quel momento accumulato con le nostre varie attività pie.



CAPITOLO 8
HARIDAS A NAVADVIP
Haridas ebbe una cordiale accoglienza a Navadvip. I devoti erano ben felici di riceverlo nel loro gruppo: sentivano tutti un'attrazione speciale verso di lui La sua compagnia trasmet­teva loro una gioia inesprimibile e in Advaita Acarya essa rag­giungeva il suo limite massimo, al punto che egli lo trattava come se fosse più importante di se stesso. Da parte sua Haridas era molto obbediente e affezionato a tutti.
Haridas si stabilì dunque a Navadvip come ospite favorito di Advaita, e in gradita compagnia dei devoti scambiava ogni giorno opinioni sulle qualità trascendentali del Signore Su­premo. Quando stava ancora a Santipur, a volte vi si recava, ma solo per delle visite occasionali.
A quei tempi Navadvip, situata ad un centinaio di chilo­metri a nord di Calcutta, sulle rive del fiume Bhagirathi era una città progressista, rinomata soprattutto per la cultura. E fu qui che Sri Krishna Caitanya Mahaprabhu, l'incarnazione della beatitudine trascendentale, il più grande esponente della pre­ma bhakti e del nama-sankirtan, fece il Suo avvento verso la fine del quindicesimo secolo.
Al di fuori del gruppetto di devoti, la situazione prevalente a Navadvip, per quanto fosse un vasto centro di cultura, non era affatto consona allo stile di vita di Haridas, in quanto pur­troppo era in atto un lamentabile deterioramento delle idee religiose. Sri Vrindavana Dasa nella sua celebre opera "Sri Caitanya Bhagavata" descrive così la situazione: "Il mondo era completamente privo di ogni segno di religione. La gente sembrava molto indaffarata nel soddisfare i più bassi istinti dell'umanità. Persino coloro che esponevano la Bhagavad­gita e lo Srimad Bhagavatam, non osservavano né menziona­vano mai la bhakti o il nama-sankirtan, e neppure chiedevano ai loro fedeli seguaci di metterli in pratica nella loro vita." Adi-lila 16-7-8.
Nessun libro sacro degli indù è così popolare come la Bhagavad-gita. È considerato un libro standard di religione non solo in India, ma persino dai non-indù in tutto il pianeta. Emanando direttamente dalla sacra bocca di Bhagavan Sri Krishna, è una sintesi di tutte le verità religiose del mondo, una riconciliazione di tutte le teorie in conflitto tra loro, la vera essenza delle Upanishad, una guida benevola ed un com­pagno amorevole per i viaggiatori della vita eterna. È una vera e propria miniera di ispiranti verità religiose di valore pratico. La resa incondizionata e l'amore per Bhagavan sono la sostanza dell'intero corpo di scritture. È un pecca­to, o ancor peggio, una totale sventura, che chi spiega questo libro travisi dei preziosi sloka per farli adeguare al banale senso empirico e di conseguenza finisca per confondere un pubbli­co ignorante.
Chi poi in India non ha sentito parlare dello Srimad Bhagavatam? È accettato da tutti i sinceri devoti del Signore come la più eminente opera di devozione. È il più splendido ed autorevole commento dei Brahma Sutra, ad opera del loro stesso autore, il grande saggio Sri Krishna Dvaipayana Vedavyas, è un chiarificatore punto di vista riguardante la grande opera epica Mahabharata, è una meravigliosa esposi­zione del sacro gayatri, ed un riassunto essenziale di tutte le scritture rivelate. Questo glorioso libro ha esercitato una rilevante influenza sulla vita di numerose persone in In­dia, anelanti a sviluppare pura devozione o prema bhakti per Bhagavan. Quest'opera è un oceano perenne di devozione amorevole per Sri Krishna. È altrettanto deludente che gli aridi intellettuali di Navadvip non risparmiassero nemme­no allo Srimad Bhagavatam, il libro preferito dei devoti amo­revoli, il loro forzato e abituale arzigogolo di parole in modo tale da estrarne i più strampalati significati. Dobbiamo co­munque ringraziarli che, pur di promuovere le loro vedute materialistiche, non sono tuttavia arrivati a farlo completa­mente sparire dalla faccia della terra.
I bhakta di Navadvip si riunivano in posti solitari ed ese­guivano kirtan accompagnandosi con il battito delle mani. Persino questa velata esecuzione non sfuggì al sarcastico criticismo delle persone anti-religiose della città, sempre pronte a diffamare i devoti in modo indiscriminato.
"Perché hanno tanto da schiamazzare in questo modo? Io sono Brahman, la sempre pura ed eterna esistenza. Perché questa gente deve metter di mezzo l'idea di una differenza a livello spirituale, l'idea che siamo tutti servitori di un unico padrone? Sicuramente hanno adottato questo metodo come la pratica più conveniente per assicurarsi delle elemosine. Avanti! Distruggiamo le loro case e sbattiamoli fuori".
Dai pochi dati appena esposti, si può avere un chiaro qua­dro della disposizione della maggior parte della popolazione di Navadvip ai tempi di Haridas. Quella gente era presa nella terribile morsa di un pericoloso tipo di ateismo. La filosofia teorica preferita, denunciava la religione ed i suoi ideali come il peggior ostacolo all'unità sociale. Ogni attività era vista da un punto di vista dell'interesse economico e della soddisfazione dei sensi materiali. I pochi innocenti devoti, i veri benefattori dell'umanità, erano sfortunatamente fatti bersaglio di attacchi ed umiliazioni.
Lo stato di cose prevalente oggigiorno, non è molto mi­gliore di quello che c'era a Navadvip qualche secolo fa. Per quanto incompleta e superficiale, una breve panoramica delle condizioni predominanti di quei tempi, potrebbe esserci d'aiuto per capire meglio il corso degli eventi nel nostro mondo con­temporaneo.
Sebbene ci vantiamo in ogni campo di vivere in una realtà superiore e più civilizzata, i problemi fondamentali della vita rimangono irrisolti. Mai prima nella storia del mondo l'uma­nità ha avuto tanto bisogno di pace come oggi. Abbiamo com­pletamente dimenticato i nobili ideali del passato e perciò sia­mo violentemente sbattuti dalle onde di idee ed ideali mate­rialisti, andando incontro alla peggiore distruzione.
L'India che era un tempo un genuino granaio di tutte le nobili qualità dell'umanità, si è trasformata ora in un focolaio di tutti i vizi più sgradevoli. Come salvarci da questa deplore­vole condizione?
Se non si fa un disperato sforzo di far rivivere con piena forza l'antica cultura, l'eredità spirituale, e di prendere asso­luto rifugio nelle verità infallibili di quella nobile religione, c'è ben poca speranza di sopravvivere a questa terribile cata­strofe che si presenta oggi.
La gloria dell'India, non è nelle alte montagne o nelle valli abissali, nelle viste panoramiche o nelle splendide e ricche piantagioni, non e neanche negli alti picchi innevati, nei vasti altipiani, o nelle pianure sempreverdi, neanche nella produ­zione industriale e nell'avanzamento economico, e neppure nella libertà politica o nella rete di strade asfaltate, bensì ne­gli impareggiabili ed inesauribili tesori spirituali.
Nella sacra terra di Bharata-varsha, ogni vero devoto ri­vendica la religione come sua eredità, il principio e la fine della sua vita. La terra stessa in India possiede una speciale caratteristica. Sì, essa è impregnata di un istinto religioso.
Religione, quale tesoro inespresso
 Risiede in questa parola divina,
 Più prezioso dell'oro e dell'argento
 O di tutto ciò che questa terra può offrire.

Quanto è toccante questo poema! Com'è ispirante! La religione è un fattore essenziale e indispensabile per il pro­gresso umano. È la spina dorsale dell'uomo. Non può farne a meno. Gli innumerevoli problemi che l'uomo deve affron­tare ogni momento possono ottenere una risposta soddisfa­cente solo dalla religione. L'uomo non trova aiuto e sollievo in nessuna sfera della vita se non nella religione. L'uomo senza religione, o fede in Dio, è come un seme trasportato dal vento, sballottato di qua e di là, senza un posto dove deposi­tarsi e svilupparsi. Le varie calamità che ci minacciano di distruzione - morale, materiale e soprattutto spirituale - posso­no essere facilmente affrontate da un rinascimento religioso.
"Una visione materialistica, l'adorazione delle ricchezze, e la negligenza di Dio, s'introdurranno in quest'era quando la lussuria della carne, la lussuria degli occhi e l'orgoglio della vita, degraderanno l'uomo." "Che guadagno c'è se l'uomo guadagna il mondo intero, ma l'anima si perde?' (Matteo, Vangelo 1, 16.26). Queste due affermazioni prese dalle scrit­ture cristiane non fanno che rafforzare i punti di vista finora presentati.
La causa di tutta la sofferenza cui l'umanità è oggigiorno soggetta, è la sua avversione per Dio. Qualcuno lo ha appro­priatamente spiegato in questo modo: "L'irreligione è la vera natura di tutto ciò che è pervertito. L'afflizione nasce sola­mente dall'irreligione. Quando l'irreligione aggredisce un paese, allora le stagioni, le piogge, l'aria. la terra, la vita delle piante, ogni cosa insomma, diventa corrotta. Di tanto in tanto le inondazioni, le siccità, le pestilenze, le malattie, i saccheg­gi e gli spargimenti di sangue spazzano il paese lasciandolo in preda al disastro ed alla distruzione."
Il servizio a Dio è la funzione inerente e naturale di ogni anima pura, inseparabile dalla sua vera costituzione. L'av­versione per il servizio a Dio si deve alla nostra intima asso­ciazione con la mondanità, che annebbia la nostra naturale disposizione a servire il nostro Creatore. Noi siamo esseri di­namici, la stagnazione ci trova alieni ad essa. La nostra vera inclinazione è sempre in direzione di Dio, verso la realiz­zazione della coscienza divina, internamente ed esterna­mente. È solamente questa esperienza della coscienza divi­na che accresce il bisogno irresistibile o la disposizione della nostra mente, quell'inveterato desiderio di Beatitudine Trascendentale. Se seguiamo questo bisogno interiore della jivatma, diventiamo felici e perfetti, altrimenti veniamo ri­succhiati nel vortice della mondanità, dei problemi e dei do­lori dai quali non c'è scampo.
II servizio a Dio è la sola nobile virtù che ci unisce, come entità viventi, ispirando in noi la presenza della divinità. Esso ci rivela la vera visione della vita e ci rende in grado di sperimentare le manifestazioni del mistero divino. Rea­lizziamo inoltre la vera natura di tutte le cose che ci circonda­no, il nostro sé e la sua relazione con esse. La mancanza di questa virtù ci rende entità isolate, guidate dall'egoismo, sospinte da un'incontrollabile lussuria di potere che sprigiona la sua amarezza portando alla completa distruzione.
La malattia contagiosa che ha divorato le parti vitali del mondo odierno, è l'avversione a rendere servizio a Dio, un servizio che è la spina dorsale di ogni società ben regolata e il fondamento della solidarietà umana.
Vediamo ora l'opinione di chi dice che l'uomo sia l'im­magine imperfetta del suo Creatore. Nella loro vera natura le anime sono particelle infinitesimali di Dio, emanazioni dell'energia marginale del Signore, come i raggi del sole che devono a lui la loro esistenza. Ma il sole non deve mai la sua esistenza ai raggi. Un padre trova espressioni di gioia, di allegria, ecc., nei figli, si prende sempre cura del loro benes­sere, ed essi contribuiscono a mantenere una vivace e briosa atmosfera nella casa. Essi non sfidano i suoi modi e i suoi gusti; al contrario si sottomettono e gli rendono un servizio sincero. Similmente, Egli rimuove la noia del mondo, mi­schiando alternativamente nelle nostre vite felicità e dolo­re, per evidenziare la bellezza della prima condizione in contrasto con la tenebrosità della seconda. Altrimenti ci si stuferebbe persino di godere della continua felicità. In questo modo Egli mantiene l'armonia e la vivacità in questo mondo.
Questa è un'accusa infondata rivolta al Signore misericor­dioso. Se così fosse, la condizione del mondo sarebbe inim­maginabile ed insopportabile. Il ciclico succedersi delle sta­gioni, il somministro di abbondanti provviste per affrontare i legittimi bisogni dell'umanità, dell'unità, della giustizia, e soprattutto l'apparizione d'innumerevoli venerandi santi, i favoriti del Signore, per illuminare in modo appropriato noi figli caduti che brancoliamo nel buio e per guidarci verso la vita e la luce eterna, non sono altro che genuine espressioni della Sua vera compassione verso di noi. È Lui, per Sua pura misericordia, che protegge noi creature irriconoscenti, che mettiamo audacemente in discussione il Suo diritto di agire come meglio crede. Anche le scrittu­re infallibili, che parlano della verità eterna e del Suo av­vento, negli aspetti plenari e parziali, non sono altro che le autentiche espressioni della Sua infinita misericordia ver­so di noi. La misericordia del Signore divino si manifesta in molti modi. Se noi, in modo profondo e con mente imparziale, studiamo il mondo ed i suoi eventi quotidiani, si­curamente avvertiamo la mano misericordiosa del nostro creatore, che guida noi, Suoi figli accecati da lussuria d'ogni tipo. Egli si prende cura di noi, come nessuna madre sa fare, con il latte della Sua misericordia divina, ed ogni vol­ta che mostriamo segni di sfrontata malvagità, Egli mischia a quel latte delle piccole dosi di amara sofferenza, per ri­muovere la nostra altrimenti incurabile malattia e per re­dimere le nostre anime erranti. È del tutto naturale che Egli sia parziale verso i Suoi ardenti devoti o bhakta, come un padre che preferisce i figli educati rispetto a quelli dediti al peccato, ai quali infligge persino una punizione correttiva per il loro miglioramento.
Se i figli non son corretti in tempo, il padre dovrà sobbarcarsene la colpa per averli trascurati e per inosser­vanza dei suoi doveri verso di loro. Un albero si raddrizza da piccolo, talvolta anche con l'aiuto di un palo. Le costrizioni e le punizioni che un padre impone ai figli non sono per soddi­sfare le sue tendenze sadiche o pervertite. Egli è guidato so­lamente dalla necessità di correggerli, lo fa per il loro bene.
Similmente il Signore ci punisce, e desiste dal farlo non appena mostriamo i segni dell'emendamento. Dopo un at­tento esame, una persona saggia giudicherà gli avvenimenti come la migliore prova di giustizia imparziale e di com­portamento corretto. Egli ci ha fornito di discernimento, del famoso libero arbitrio. Sta a noi rendere perfetto o sciupare il nostro destino. Il Signore è sempre imparziale. Noi non pos­siamo imputare nessun secondo fine alle Sue azioni, che sono guidate unicamente da uno spirito di correttezza.
"Ciò che semini raccoglierai."
Non ci sono privazioni e restrizioni così grandi per chi nel­l'intimo sente genuinamente un'incessante e incontrollabile brama per la realizzazione di Dio. Gli ostacoli che si presentano sulla strada di alcuni aspiranti, sono dovuti al loro estre­mo attaccamento a piaceri ed oggetti transitori di questo mondo. Pertanto il Signore non impone mai delle restrizioni ad alcun particolare gruppo di persone, né le riduce nel caso di altri. La severità delle restrizioni e privazioni avvertite dall'aspirante dipende dal grado del suo attaccamento a pia­ceri transitori ed oggetti mondani.
Attraverso il processo di purificazione, fatto di privazioni e restrizioni, ci qualifichiamo per sperimentare la gioia emo­zionante di vedere il Signore, a patto di praticare una devo­zione amorevole per Lui. Egli non si nasconde da nessuna parte. Siamo noi che viviamo in un dedalo di dubbi e di insincerità, e ci nascondiamo sotto uno spesso manto di falsità, come lo struzzo che nasconde la testa nella sabbia. Siamo noi che dob­biamo praticare la devozione amorevole verso di Lui e can­tare incessantemente il Suo nome, e sarà come se L'avessi­mo comprato.
Egli ha detto in modo così chiaro che non lascia adito ad equivoci: "Io non risiedo né a Vaikuntha né nei cuori degli yogi; ovunque i Miei devoti cantano il Mio nome, li Io ri­siedo, oh Narada!"
Torniamo ad Haridas. Quando stava a Santipur e gli capi­tava di visitare occasionalmente Navadvip, egli si fermava alla Tol, la scuola, di Sri Advaita Acarya situata nelle vicinanze della casa di Sri Srivasa Pandita, un gran devoto di Sri Caitanya Mahaprabhu. Lì Haridas ebbe occasione di conoscere Srivasa Pandita ed altri bhakta, e in loro compagnia egli passava il suo tempo eseguendo kirtan.
Sri Caitanya Mahaprabhu era ancora un bambino, un bim­bo capriccioso tutto preso da giochi e divertimenti infantili. Lo scopo del Suo avvento era profondamente assopito in Lui. Non aveva ancora mostrato alcun segno d'attrattiva visibile e le Sue straordinarie fattezze erano inspiegabilmente sbalordi tive ed ispiranti agli occhi dell'intero gruppo di devoti, persi­no per il grande Advaita Acarya.
In seguito, quando Sri Caitanya Mahaprabhu, dopo aver ricevuto iniziazione a Gaya, cambiò completamente l'intera Sua vecchia prospettiva per una nuova - il campo dell'estasi devozionale - i devoti di Navadvip, con Advaita Acarya e Haridas in testa, si sentirono incoraggiati e felici. In breve l'intero gruppo vide in Lui il Salvatore, e si riunì sotto la Sua bandiera, accettandolo come leader indiscusso.
Il nuovo culto del sankirtan che Sri Caitanya Mahaprabhu trasmetteva quotidianamente ai Suoi devoti nella casa di Srivas Pandit, incontrò la pronta e forte opposizione di una parte della comunità. Quella gente impegnò tutte le sue risorse per fer­mare quella che, a loro dire, sembrava una nuova religione, pensando che andasse contro le tradizioni della fede indù, fino al punto di tormentare anche i devoti. Con crescente vigore iniziarono delle agitazioni e studiarono dei complotti segreti per distruggere completamente l'intero movimento. Essi usa­vano parolacce e lanciavano insulti agli innocenti devoti, mi­nacciandoli persino di orribili conseguenze, violenza fisica inclusa.
Sri Gauranga Mahaprabhu avvertì la gravità della situazio­ne. Egli provava compassione per la deplorevole decadenza dei loro principi religiosi e morali, e per il rapido cambiamen­to degli eventi che andava di male in peggio. Egli desiderava aiutare l'umanità propagando i Suoi principi del sankirtan in lungo ed in largo nella Sua vasta città natale. Voleva organiz­zare una predica regolare di porta in porta e a questo proposi­to scelse Sri Nityananda Prabhu e Haridas Thakur. Chiese loro che diffondessero il Suo messaggio "Parlate di Krishna, ser­vite Krishna e mettete in pratica l'insegnamento di Krishna" di porta in porta, e l'ordine fu fedelmente eseguito. Haridas ottenne il favore speciale di Sri Caitanya Mahaprabhu. Ora era uno dei Suoi seguaci preferiti.
Quando Sriman Mahaprabhu iniziò la dimostrazione pub­blica contro il magistrato del distretto di Navadvip, S. M. Ghand Kazi, e i dichiarati oppositori del sankirtan, organiz­zando una gigantesca processione per le strade di Navadvip, Haridas svolse una parte cruciale. L'intera processione consi­steva di centinaia di migliaia di persone suddivise in gruppi, ed ogni gruppo doveva condurre il suo sankirtan. Haridas era a capo di uno di questi, e con le danze devozionali e la sua santa presenza ispirò in un modo indescrivibile chi lo seguiva.
In tutte le importanti attività di Sri Caitanya Mahaprabhu durante il Suo soggiorno a Navadvip, fino al giorno dell'ac­cettazione dell'ordine di sannyasi, non ci sono molti passa­tempi in cui non fosse presente Haridas. Egli ebbe un ruolo significativo in quasi tutti.
Nel giorno della "Gran Rivelazione" di Sri Caitanya in casa di Srivas Pandit, in presenza di tutti i devoti, Sriman Mahaprabhu proclamò le glorie di Haridas.
Egli disse: " Haridas! guarda! Tu mi sei più caro del Mio stesso corpo. Io dichiaro con enfasi che non c'è categorica differenza tra la tua casta e la Mia. Le persone sotto l'influenza della massima ignoranza vedono le cose da un aspetto meramente sociale. Essi possono attribuire una superiorità al Mio corpo di brahmana rispetto al tuo che è musulmano. Io dico che essi sono completamente nella morsa della pura il­lusione. Ti assicuro che non c'è la minima differenza tra noi. La sezione atea degli indù, al presente considera i propri corpi superiori a quelli musulmani. Di conseguenza gli indù si son gonfiati d'orgoglio al pensiero di far parte di una casta supe­riore, il che li porta a condannare come inferiori persino gran­di devoti che han preso nascita in comunità ritenute meno ele­vate. Queste persone, per loro sfortuna, sono nell'errore. Dal punto di vista di un materialista non dovrebbe esserci alcuna differenza tra il santo corpo di un devoto, impegnato in modo esclusivo al servizio amorevole del Signore Supremo, e quel­lo di una persona ordinaria, assorta in scopi materiali. Questo è indubbiamente un'attitudine offensiva. Attribuire uno stato di superiorità o inferiorità a qualsiasi persona sulla base solo di una nascita seminale, non è il metodo appropriato per deci­dere una tale questione. `Proprio come il bronzo viene con­vertito in oro dalla potenza occulta della pietra filosofale, allo stesso modo, attraverso la speciale influenza della bhakti, un corpo materiale viene completamente spiritualizzato.' (Hari­bhakti-vilasa 1.2.12). Per poter stabilire la gloria incompara­bile della bhakti, attraverso la Sua inconcepibile potenza, Bhagavan distrugge il corpo materiale del bhakta e lo benedi­ce con un corpo spirituale, ma questo non viene notato dalle persone materialiste. Dal momento che la procedura è un se­greto per i materialisti, gli intellettualoidi, e gente del genere, essi sono ancora attaccati all'opinione che i devoti apparten­gano ad una particolare casta, che posseggano corpi umani come i loro e che debbano subire le reazioni delle proprie azioni. Al solo ricordo di tutte le atrocità che ti sono state inflitte da quei peccatori, il Mio cuore si spezza. Quando vidi che venivi frustato senza pietà dagli uomini del malvagio Kazi lungo tutte quelle vie, sono disceso immediatamente con il Mio sudarshan-cakra, pronto a tagliar loro la testa. Ma che cosa potevo fare? Non potevo intervenire in tua difesa, per­ché tu pregavi continuamente di perdonarli. Persino a rischio della tua stessa vita e delle peggiori mortificazioni fisiche, tu desideravi fortemente il bene di tutti quei furfanti, i tuoi ne­mici. Come potevo rifiutare la tua preghiera? Fui forzato a ritirare il mio disco. Per poterti dare sollievo dal forte dolore di quelle frustate, le ricevetti sul Mio corpo. Eccole. Puoi ve­dere i segni di quei colpi sul Mio corpo. Non ti sto ingannan­do. La tua sofferenza Mi fece correre in tuo soccorso. Advaita Acarya ha saputo riconoscere la tua grandezza. Lui che Mi ha fatto prigioniero con il Suo servizio amorevole". Sentendo queste parole dalle sante labbra di Sri Caitanya, Haridas, trasportato da una gioia infinita, cadde perdendo co­scienza, e rimase per un po' privo di sensi, perso in un oceano di gioia incomparabile. Sriman Mahaprabhu lo risvegliò dal suo rapimento spirituale e gli chiese di esser testimone della Sua rivelazione fino a completa soddisfazione del suo cuore. Haridas non riusciva a vedere nulla, piangeva copiosamente. Sul corpo aveva tutti i segni delle perturbazioni spirituali. Si rotolò sul pavimento, fece dei sospiri profondi e svenne sopraffatto dall'estasi divina. I suoi sentimenti erano diventati incontrollabili. Ricomponendosi, in tutta umiltà e a mani giunte rese lode a Sriman Mahaprabhu:
"Oh Signore! Oh maestro dell'universo! Oh Salvatore e protettore degli infiniti mondi! Abbi misericordia di questo peccatore. Tu sei il mio solo supporto. Privo di qualsiasi qua­lità, un fuori-casta caduto come sono, come posso parlare del­le Tue infinite virtù? Alla mia semplice vista le persone si trasformano in peccatori, dopo esser stati toccati da me, è in­dispensabile farsi un bagno completo. A darmi coraggio è la Tua solenne promessa che non puoi trascurare nemmeno la più piccola delle Tue creature che ricorda i Tuoi santi piedi, e non risparmi nemmeno i sovrani se si mostrano arroganti ed irreligiosi. Per via della Tua misericordia senza causa dai ri­fugio a tutte quelle anime che si ricordano di Te. Ma come sono sfortunato io! Non ho neppure quella qualità. Mi manca­no le parole per esprimere i meravigliosi effetti di ricordarTi. Che meravigliosa potenza possiede ciò! Che forza tremenda porta con sé.
"Non liberasti forse Draupadi dalla terribile morsa del furfante Duhsasan? Eseguendo gli ordini del malvagio fratello, l'arrogante Duryodhana, egli la trascinò nella gran assemblea gremita di eminenti eroi, principi, ministri, e personaggi di quel calibro, e fece un vergognoso e presuntuoso tentativo di rimuoverle i vestiti. Ah! Come l'hai rivestita con prontezza e destrezza, mentre lei si lamentava pietosamente a voce alta e si arrendeva a Te in modo incondizionato! Ecco! Nonostante tutti gli affanni per spogliarla, gli sforzi di quello scellerato non ebbero successo. Per vera e propria spossatezza e vergo­gna, dovette abbandonare l'assemblea a testa bassa.
"Hiranyakasipu, da parte sua, fece di tutto per uccidere il figlio Prahlada, al quale fu propinato veleno, fu gettato tra enormi e velenosissimi serpenti, messo nel fuoco, buttato a mare per farlo affogare, ma con quale risultato? Chi tra noi non conosce il destino finale di Hiranyakasipu? Grazie all'ef­ficacia del Tuo ricordo, il grande Prahlada poté sopportare tutte queste atrocità perpetrate contro di lui, senza la minima sofferenza.
"Una volta, trovandosi nel mezzo della selvaggia foresta, Yudhisthira si ricordò di Te, per essere salvato dalla collera del saggio Durvasa e del suo largo seguito. Immediatamente Ti manifestasti lì e salvasti i Pandava grazie alla Tua miseri­cordia. Tu assicurasti Yudhisthira che avresti sfamato tutti i rishi con a capo Durvasa. Prendendo un rimasuglio di vegetale verde dalla pentola ripulita, Ti dichiarasti completamente sazio. Siccome il tuo devoto è soddisfatto quando Tu sei sod­disfatto, immediatamente i rishi che erano nel fiume per il bagno si sentirono sazi come se avessero mangiato a crepapelle. Non essendo più in grado di prender cibo, essi lasciarono il posto alla chetichella per non rischiar di offendere, con un rifiuto, Yudhisthira e i suoi possenti fratelli, che così Tu libe­rasti dal timore di non poter soddisfare quegli ospiti dalla facile ira.
"Innumerevoli sono le Tue glorie e gli sbalorditivi effetti! RicordarTi costantemente con un amore fermo è il metodo religioso più elevato, ed è accessibile a tutti. Non c'è da mera­vigliarsi che con i Tuoi vari passatempi Tu redima tutti dalle sofferenze del mondo.
"La storia di Ajamil, nei tempi passati, è un'altra ispirante illustrazione che si somma alla gloria del Tuo ricordo. Dovu­to ad alcune sfortunate circostanze. Ajamil abbandonò le sue tradizioni virtuose e diventò un gran peccatore. Egli non ave­va più alcuna attività virtuosa a suo credito: era anzi un ricettacolo di tutte le attività peccaminose. Negli ultimi mo­menti di vita, quando i paurosi messaggeri della morte arrivarono per strappare l'anima dal corpo materiale e portarla nel­l'orrendo inferno, egli pronunciò il nome del suo ultimo e af­fezionato figlio: "Narayana". L'intera scena cambiò di colpo e grazie all'efficacia del Tuo ricordo egli fu salvato dalla morte. Tutte le sue sofferenze di quella nascita e delle nascite future terminarono.
"Non c'è niente di sorprendente in questa Tua azione. Tut­ti i devoti sono qualificati a possedere il grande tesoro del Tuo ricordo. Nonostante conosca tutti questi meravigliosi ef­fetti del Tuo ricordo, io sono così sfortunato e spregevole da esser completamente privo di questa grande ricchezza. Ma, mio Signore! Tu sei un oceano di misericordia. Non considerando i miei difetti, sei così benevolo da accettare quest'insignifi­cante servitore. Questa è la vera natura della Tua impareggia­bile magnanimità, per quanto io ne sia indegno sotto ogni aspet­to. Avrei solo un'umile preghiera da sottoporre ai Tuoi piedi".
Prima ancora che potesse terminar di parlare, Sriman Mahaprabhu lo rassicurò che avrebbe fatto il possibile per soddisfare tutte le sue preghiere. Sriman Mahaprabhu era im­mensamente soddisfatto d'ascoltare le espressioni di devozio­ne, da parte di Haridas, sulla gloria del Suo ricordo, ed era già desideroso di conferirgli delle appropriate benedizioni.
Haridas continuò: "Mio Signore! Io sono uno sfortunato miserabile, ma la mia richiesta è troppo grande. E’ come quel­la di un nano che aspira alla luna. Che io possa essere bene­detto con i sacri avanzi di coloro che Ti servono con il corpo, il cuore, la mente e l'anima. Che in ogni mia nascita, ciò pos­sa essere l'oggetto della mia devozione. Che l'idea di accetta­re questi avanzi possa essere il mio dovere, la mia religione. Non ho alcun desiderio di liberazione, o di ottenere un qualsi­asi altro risultato. Ma non lasciar che la mia mente, anche per una frazione di tempo, possa deviare dalla mia suddetta pre­ghiera, cioè, poter avere i sacri avanzi di tutti i Tuoi servitori favoriti.
"Fa' che questa mia vita peccaminosa, priva del Tuo ricor­do, sia santificata dai sacri avanzi dei Tuoi genuini devoti. Nell'infinito numero di mondi non c'è posizione più elevata che quella di diventare il servitore dei Tuoi servitori. Io sono molto ambizioso, perciò ho pregato per la posizione più ec­celsa, che in realtà non merito. È una posizione così sublime che persino i grandi deva aspirano ad essa. Forse la mia è una preghiera offensiva, dovuto alla mia inidoneità di raggiungere un così alto ottenimento. Oh Signore! Salvatore delle anime cadute! Ti prego, abbi pietà nel perdonare e dimenticare tutte le offese di questo servitore ignorante e immeritevole, commesse coscientemente o incoscientemente. Oh figlio ama­to di Saci! Oh mio Signore! Concedimi questo favore, fammi diventare un cane e tienimi nelle case dei Tuoi devoti".
Sri Caitanya fu molto impressionato e mosso da questa pre­ghiera d'impareggiabile umiltà, e disse:
"AscoltaMi, ascoltaMi, Mio caro Haridas! Tu sei un gio­iello di devoto. Chi ha potuto stare in tua compagnia anche per un solo giorno, o colui con il quale hai conversato anche per una frazione di un momento, otterrà Me, senza alcun dub­bio. Te lo prometto. Chiunque rispetti te, rispetta al contempo Me. Io permango sempre nel tuo corpo. Sono orgoglioso di avere un servitore della tua tempra. Per tutto il tempo a venire tu Mi hai imprigionato nel tuo cuore pieno d'amore. Ti assi­curo che non devi preoccuparti di nessun tipo di offesa. Esen­tato da qualsiasi offesa verso di Me o verso i Miei devoti, tu sei libero di portare avanti le tue pratiche devozionali."
La benedizione conferita ad Haridas fu vista con gran pia­cere dagli altri devoti. Chi può valutare la fortuna di Haridas? Né la casta elevata, né la nascita in una buona famiglia, né l'esecuzione di attività nobili e nemmeno il possesso di enor­mi ricchezze può aiutare una persona a raggiungere il Signo­re. È solo un desiderio ardente, un avvampante appetito per l'inesauribile ricchezza dell'Amore Divino che consente ad una persona di avere accesso a Sri Krishna.
"Se l'attitudine ad essere assorto nell'essenza della de­vozione a Sri Krishna si può ottenere da qualche parte, allora acquistala ad ogni costo. Perché il suo prezzo è solo la smodata passione di averla, cosa che non si può ottenere nemmeno dalle attività pie eseguite per milioni di nascite." Padyavali 14.
"Oh Krishna! Le persone che sono inorgoglite dalle vanità di un alto lignaggio, prosperità, erudizione e grazia fisica, sono inadatte a cantare il Tuo nome. Ciò è possibile solo per i Tuoi sinceri devoti che non s'identificano mai con nessuna acquisizione mondana." SBh. 1.8.26.
"Oh regina dalla vita sottile! Noi non abbiamo niente di nostro e siamo sempre amati dalle persone che non accampa­no per sé nessuna proprietà. Pertanto le persone ricche, in ge­nere, non MI rendono mai alcun servizio" SBh. 10. 60.14.
"Nel corso di questa vita umana, se qualcuno non è tronfio d'orgoglio per la nascita in una stirpe nobile, per le azioni, l'età, l'attraente bellezza fisica, la cultura, la posizione, la ricchezza ed altre lodevoli qualificazioni, ciò è dovuto alla Mia grazia" S.Bh. 8.22.26.
È irrilevante preoccuparsi della condizione natale di un devoto, in qualsiasi famiglia egli prenda nascita. Egli è supe­riore a tali limitazioni. Gli shastra lo dichiarano fermamente, senza una singola eccezione.
"Oh Bhagavan! Ascoltando e pronunciando il Tuo nome, inchinandosi a Te, o perfino ricordandosi di Te, anche un mangiatore di cani diventa qualificato ad eseguire un sacrifi­cio Soma. Per chi è favorito dal Tuo darsana (presenza), che dubbio ci può essere, dunque, di raggiungere il suo obietti­vo." S.Bh. 3.33.6.
"Che meraviglia! Non ci sono parole che possano descri­vere adeguatamente l'importanza di una persona che canta il nume del Signore. Anche se nella punta della sua lingua il Mio nome fosse apparso una sola volta e anche se si trattasse di un mangiatore di cani, egli è oggetto di venerazione per tutti. Coloro che pronunciano il Tuo nome, nelle nascite pre­cedenti hanno eseguito tutti i riti propri dei brahmana - tutti i tipi di penitenza, sacrifici, bagno nei fiumi sacri, studio dei Veda, regole di giusta condotta - e avendoli osservati perfetta­mente, ora in questa nascita hanno fatto ricorso al canto del Tuo nome". S.Bh. 3.33.7.
"Oh Bhagavan! Non c'è niente di sorprendente nell'affer­mazione che il Tuo darsana libera l'umanità da tutti i suoi peccati, quando ascoltando anche una sola volta il Tuo nome, persino un candala è liberato dalla schiavitù della mondanità." S.Bh. 6.16.44.
"Io, l'anima di tutte le anime e il più amato tra tutti i santi, sono raggiungibile solamente dalla sincera devozione nata da una fede ferma. Una irremovibile devozione per Me purifica persino i candala dalla loro bassa nascita." S.Bh. 11.14.21.
"Oh Signore! Sento che tutte le varie qualificazioni, - ric­chezza, appartenenza ad una stirpe nobile, bellezza fisica, se­vere austerità, vasta erudizione, efficienza degli organi di senso, celibato, popolarità, forza fisica, prodezza, viva intelligen­za, controllo degli organi esterni ed interni - o persino la pra­tica degli otto principi dello yoga, sono del tutto incompetenti a dar soddisfazione al Signore Supremo." S.Bh. 7.9.9.
Prahlada è nato come figlio del demone Hiranyakasipu, Hanuman ha preso nascita tra le scimmie, entità sub-umane, e non in una società umana civilizzata. Ma entrambi sono ri­spettati come grandi devoti. Similmente anche Haridas, nato in una normale comunità musulmana, senza essere nobile di nascita o brahmana, merita comunque la stessa adorazione da parte di tutti. Egli ha predicato il santo nome di Sri Hari, in differenti parti del Bengala, si è fermato in molti posti, con vari devoti, e ha lasciato dappertutto una profonda impressio­ne, la cui influenza si può sperimentare ancora oggi.
Accettato l'ordine di sannyasa, Sri Caitanya Mahaprabhu si recò a Santipur e si fermò per qualche giorno a casa di Advaita Acarya. Dopo essersi consultato con i devoti e aver avuto il permesso della madre, Sacidevi, alla fine decise di stabilirsi per il resto della Sua vita a Jagannatha Puri.
Alla notizia Haridas pianse amaramente. mentre vari pen­sieri gli passavano per la testa. Anticipava giorni tristi per lui e disse pietosamente: "Tu stai partendo per Nilacala. Che ne sarà di questo sfortunato servitore? Come posso io andare là? Sono indegno di quel posto. Quest'infame sarà completamente privato del Tuo darsana. Senza più vederTi, come potrà so­pravvivere questo peccatore?"
Sriman Mahaprabhu lo consolò con dolci parole. "Haridas! La tua incomparabile umiltà Mi tocca profondamente. Puoi star certo che supplicherò Sri Jagannatha da parte tua. Sono sicuro che Sri Jagannatha Mi favorirà e tu potrai raggiungerMi tra non molto."
Haridas era pienamente competente in fatto di templi e modi di adorazione. La decisione di Sriman Mahaprabhu di lasciare Navadvip, aveva creato in lui una gran paura. I devoti non rompono regole e regolamenti stabiliti dagli shastra, non con­testano neppure le usanze sociali, a meno che non si frappongano sul sentiero della devozione..
Ai non-indù non era permesso entrare nell'area del tem­pio. Se Sri Caitanya Mahaprabhu avesse deciso di risiedere all'interno dell'area del tempio, per lui sarebbe stata la fine. Non avrebbe potuto neanche più intravederLo. Per questa ra­gione la sua condizione fu per qualche tempo come quella di un pesce fuor d'acqua, o di un uccello con le ali tarpate.
Quando in seguito venne a conoscenza che non c'era alcu­na obiezione che un membro di qualsiasi casta risiedesse in una certa zona sabbiosa situata poco distante dall'area del tem­pio, si sentì risollevato e le sue speranze ripresero vita.
Ricevuta poi la notizia che Sri Caitanya Mahaprabhu aveva deciso di stabilirsi nella residenza di Sri Kasi Misra, la sua gioia non conobbe limiti.


CAPITOLO 9
Haridas A Puri


Qualche tempo dopo, Haridas raggiunse Nilacala con un gruppo di devoti del Bengala. La notizia del suo arrivo riempì di gioia Sri Caitanya, che nutriva un forte affetto per lui.
Tra i devoti che vennero a trovarLo, non sfuggì certo a Sriman Mahaprabhu l'assenza di Haridas. Informato che era rimasto prostrato sulla strada ad una certa distanza e deside­roso com'era di incontrarlo, Sriman Mahaprabhu inviò imme­diatamente qualcuno a sollecitarlo, ma Haridas preferiva star­sene in disparte.
Egli disse: "io sono di bassa casta, una persona del tutto indegna. Non merito di avvicinarmi all'area del tempio. Se mi sarà concesso un piccolo spazio da qualche parte nei giar­dini circostanti, potrò starmene tranquillo in solitudine. Non posso rischiare di toccare i servitori di Sri Jagannatha e conta­minarli, intralciando così il loro servizio al Signore. Preferi­sco starmene da parte, ecco il mio umile desiderio".
Sriman Mahaprabhu era felicissimo di prender atto di que­sta sua decisione. Sebbene nessuno impedisse ad Haridas di entrare nel tempio o in qualsiasi altro luogo sacro, egli non fu mai a favore dell'idea di farlo di sua propria iniziativa o for­zatamente, trascurando le barriere sociali. Un tale ingresso nei locali del tempio equivarrebbe a negare volontariamente l'importanza del tempio come luogo di adorazione religiosa, sarebbe una contestazione della sua stessa santità, e ciò non migliorerebbe moralmente o spiritualmente una persona.
Il tempio non è un luogo dove ogni individuo può esercita­re le sue manie capricciose o i suoi diritti eccentrici. Non è un luogo di esibizione, di divertimento o d'intrattenimento mon­dano. Non è neanche un posto per soddisfare le ambizioni sociali o politiche degli uomini. Rimane sempre un luogo di adorazione religiosa che serve solamente all'avanzamento spi­rituale dell'umanità, un luogo dove migliaia e migliaia di per­sone prendono ispirazione spirituale.
A tale luogo santo ci si deve avvicinare con vera sottomis­sione, unita a timore reverenziale per il Signore e fede negli oggetti divini, con l'intento di pregare o adorare, e non per la soddisfazione dei propri sensi materiali turbolenti o per recla­mare un qualche diritto sociale.
L'ingresso al tempio è permesso solo a coloro che vi si recano per l'adorazione religiosa. Forzare l'ingresso al tem­pio, sia con la baionetta puntata sia offrendo tangenti a coloro che non sono illuminati nei principi e nella condotta o persino nel comportamento appropriato che si deve tenere nell'area del tempio, è un grave crimine contro l'istituzione stessa.
Coloro che ignorano completamente l'importanza del tem­pio, la santità e la vera natura dell'Oggetto dell'adorazione, non ricevono alcun beneficio neanche dopo esserci entrati.
I ladri che in qualche modo cercano di entrare forzatamen­te nel tempio non diventano persone religiose, sempre che non siano favoriti dalla misericordia speciale del Signore.
Similmente i vari impiegati, che del tempio hanno fatto anche la loro residenza, rimangono allo stesso stadio d'igno­ranza. Solo per entrare nel tempio le persone non diventano di larghe vedute o di gran cultura, né si realizza Dio.
"Più vicino alla chiesa, più lontano da Dio" dice il saggio proverbio.
Per coloro che credono nell'ispirante posizione del tem­pio, esso è un luogo di grande santità dove l'arca, la sacra immagine, è adorata con rituali stabiliti dagli shastra. La sa­cra immagine, o arca, che viene adorata nel tempio non è un prodotto della materia disegnata dal cervello fantasioso di un mortale o scolpita da uno scultore ordinario della stessa cate­goria. Non è un comune pezzo di pietra, di legno, di metallo, di marmo o un qualsiasi altro oggetto senza vita di questo mondo come molti di noi pensano. L'arca vigraha è una ma­nifestazione visibile del Signore in questo piano mortale.
Ci sono centinaia di esempi che illustrano la natura divina delle sacre immagini e le meravigliose attività che esse hanno svolto in diversi luoghi in relazione a differenti devoti. Se si studia pazientemente la storia di certi templi si può esser sicu­ri di avere una meravigliosa rivelazione dei segreti nascosti e delle glorie di queste sacre immagini. In molti luoghi, non ci sono tracce della loro origine e perciò è un gran mistero ancor oggi. Esse si sono manifestate in circostanze particolari.
Sebbene ad una visione completamente materiale appaia­no come immagini immobili e prive di vita, esse rivelano la loro vera natura alla visione amorevole, pura e spirituale dei veri devoti. Esse parlano con loro, si muovono in loro compa­gnia, accettano i loro servizi amorevoli e le offerte, e fanno loro continue richieste.
Sriman Mahaprabhu andò Lui incontro a Haridas e lo tro­vò impegnato nel suo usuale kirtan, traboccante d'amore per Sri Krishna.
Haridas si gettò subito ai Suoi piedi. Sriman Mahaprabhu lo sollevò e con infinita gioia lo prese per abbracciarlo, seb­bene per via della sua caratteristica umiltà, cercando di non farsi toccare, lui ripetesse: "Oh mio Signore! Ti prego, non sfiorare neppure quest'intoccabile, l'infimo tra gli esseri." Entrambi erano persi nel rapimento spirituale, mentre lacrime di gioia ineffabile fluivano dai loro occhi.
Sriman Mahaprabhu gli rispose a tono: "Ti tocco per purificarMi, perché non ho il potere di purificare gli altri che hai tu. Tu che ogni momento t'immergi in tutti i fiumi sacri e stai eseguendo tutti i sacrifici, le penitenze e le carità. Stai sempre studiando i Veda, sei più puro dei cosiddetti brahmana e sannyasi e li superi tutti."
"Che meraviglia! Non ci sono parole che possano descri­vere adeguatamente l'importanza di una persona che canta il nome del Signore. Anche se nella punta della sua lingua il Tuo nome fosse apparso una sola volta e anche se si trattasse di un mangiatore di cani, egli è oggetto di venerazione per tutti. Coloro che pronunciano il Tuo nome, nelle nascite pre­cedenti hanno eseguito tutti i riti propri dei brahmana - tutti i tipi di penitenza, sacrifici, bagno nei fiumi sacri, studio dei Veda, regole di giusta condotta - e avendoli osservati perfetta­mente, ora in questa nascita hanno fatto ricorso al canto del Tuo nome." S. Bh. 3.33.7.
Così dicendo Sriman Mahaprabhu lo condusse in un giar­dino nelle vicinanze e gli offrì per residenza un luogo solitario da Lui specificamente riservatogli.
"Mettiti comodo qui e porta avanti le tue pratiche devozionali indisturbato. Verrò a trovarti tutti i giorni. Inchi­nati al disco del tempio del Signore Jagannatha da questo po­sto. Farò Io i necessari arrangiamenti per farti avere qui ogni giorno una sufficiente porzione del cibo offerto a Sri Jagannatha, il maha -prasada".
Haridas eseguì ben volentieri tutte le istruzioni alla lettera. In un'altra occasione Sriman Mahaprabhu invitò Haridas a prendere il maha prasada in compagnia degli altri devoti, in­sistendo che fosse presente. Ma lui, che era l'incarnazione vivente dell'umiltà, preferì rimanere ben lontano.
Sriman Mahaprabhu provava una gioia inesprimibile per l'alto senso d'umiltà che adornava Haridas: viveva in una ca­panna solitaria ed eseguiva pacificamente il nama kirtan. Questo particolare luogo, all'interno del giardino di fiori di Kasi Misra, è conosciuto con il nome di Siddha Bakul. Un antico albero bakul, dal fusto per lo più cavo, era fino a qual­che anno fa il solo avanzo sacro che si poteva ancora vedere. Quell'albero, che era lì da molto tempo prima, ebbe l'immen­sa fortuna di offrire ombra e rifugio al grande santo. Dovendosi spostare dalla sua residenza. Haridas evitava di proposito le strade principali, per timore di toccare acciden­talmente qualche pujari, sacerdote, di Sri Jagannatha, distur­bandolo così nell'esecuzione del puja, l'adorazione.
Sri Rupa Gosvami, il più prominente tra tutti i seguaci di Sriman Mahaprabhu, quando visitò Sri Jagannatha rimase vi­cino alla capanna di Haridas. Sri Sanatana Gosvami, fratello maggiore di Rupa e uno dei più zelanti bhakta nonché promi­nente Gosvami di Vrindavana, durante la sua visita a Puri si fermò da Haridas, il quale ebbe così la buona fortuna di ascol­tare le istruzioni che Sriman Mahaprabhu gli dava personal­mente. Un giorno Haridas disse: "Caro Sanatana, non riesco a trovare parole adeguate per descrivere la tua immensa fortu­na. Sriman Mahaprabhu ha dichiarato il tuo corpo di Sua pro­prietà. Che invidiabile fortuna! In verità non c'è devoto altret­tanto fortunato. Quelle funzioni che Sriman Mahaprabhu non è riuscito ad eseguire sono state affidate a te, per essere ese­guite in modo appropriato e per di più nella sacra Vrindavana, la gemma tra tutti i luoghi di pellegrinaggio ed il luogo favo­rito dal nostro amato Sri Krishna per i Suoi divertimenti." Con tutta umiltà Haridas continuò: "Questo mio corpo sfortunato non è servito a nessun proposito. Non ho potuto utilizzarlo nel servizio del nostro amato Signore. È causa di totale sconforto che avendo preso forma umana nella sacra terra di Bharata­-varsha, il dono di questo prezioso corpo umano sia stato completamente sprecato."
Nel sentire la lode di Haridas, Sanatana Gosvami disse: "Tu sei il più fortunato ed illustre tra i seguaci di Sriman Mahaprabhu. Non ne trovo uno che regga il confronto con te. L'avvento di Sriman Mahaprabhu in questo mondo ha lo scopo di gustare e di conseguenza diffondere le glorie del divino nome. Egli ha diffuso le glorie del Nama attraverso di te. Ogni giorno tu ripeti trecentomila nomi del Signore e parli delle glorie del divino nome davanti a tutti. (C.c. Antya-lila 4.99­101). Un 'armoniosa fusione, nella stessa persona, di predica e pratica della religione è il più raro dei raggiungimenti. Ne vediamo alcuni che praticano certi insegnamenti degli shastra, ma si astengono dal predicare. Notiamo anche altri che parla­no molto degli shastra, in un linguaggio che fa colpo, ma poi non mettono in pratica quasi niente nella loro vita.
Un vero predicatore è colui che mette in pratica tutti gli insegnamenti delle scritture nella sua vita. Egli è un acarya, uno che inse­gna con l'esempio. Solo lui è adatto a predicare la religione in pubblico. In te io vedo entrambe le cose. Tu sei una viva e vivida espressione della pratica e della predica presenti entrambi in una singola persona. Tu sei l'insegnamento vivente. Sei veramente il maestro di tutti. Tu meriti la più alta venerazione da parte del mondo intero".
Sanatana Gosvami mise così in luce le eccezionali qualità di Haridas, il grande acarya del santo nome.
Un altro giorno, per beneficio del mondo intero, Sri Caitanya Mahaprabhu tenne un ispirante sermone a Sanatana Gosvami e Haridas. Egli disse:
"È pura stupidità mancare di rispetto ad un devoto in que­sto mondo basandosi sulla sua condizione sociale, nascita, e così via, o persino tenendo conto della salute fisica, della bellezza e via di seguito. Il corpo di un vero Vaisnava è perfetta­mente trascendentale per natura. Non è di una sostanza del mondo materiale. Esso è fatto d'ingredienti trascendentali eter­ni, intelligenza eterna ed eterna beatitudine. Le jiva, per loro vera natura, sono le eterne servitrici del Signore. È la loro avversione verso il Signore e l'abuso del libero arbitrio, uno speciale dono che è stato fatto loro, che imprigiona le anime nei vari corpi in questo mondo materiale. Persino in questo stato di dimenticanza, il nostro misericordioso Signore non ci abbandona mai. Egli lavora per la nostra elevazione e ci aiuta ad accumulare meriti spirituali. Ci rende in grado di offrire servizio, anche se in modo inconsapevole, ai Suoi associati favoriti, il che ci porta, a lungo andare, a stabilire un contatto con i maestri spirituali che sono sempre al servizio del Signo­re Supremo. L'anima fortunata fa il suo tirocinio sotto questo tipo di maestro. Comprende così la sua posizione nel mondo materiale e la sua relazione con il Signore Supremo e con tutti gli altri oggetti, animati ed inanimati. Si rende conto della sua disperata posizione e della follia che l'ha fatta scendere come prigioniera in questo corpo grossolano. Simultaneamente sente l'urgenza di arrendersi in modo incondizionato al suo precet­tore spirituale; lo fa e il precettore l'inizia alla pratica spirituale. Ora non è più la persona di prima, immersa in pensieri materiali: diviene una persona perfettamente spiritualizzata, libera da qualsiasi imperfezione mondana. II corpo e i sensi sono diventati l'oggetto del regno trascendentale, da utilizzare nell'esclusivo servizio a Sri Krishna, l'alchimista trascen­dentale. Non sono più oggetti di questo mondo mortale e im­perfetto. Questa jiva è impegnata per l'eternità nel servizio trascendentale a Sri Krishna, nelle specifiche attività devozionali che le sono state assegnate dal precettore spiri­tuale, il più importante rappresentante del Signore Supremo, e gode il flusso perenne di beatitudine incomparabile che emana da tale servizio eterno."
Govinda, il servitore personale di Sriman Mahaprabhu, portava quotidianamente con gran gioia il maha prasada di Sri Jagannatha ad Haridas.
Un giorno, con sua sorpresa, lo trovò ancora disteso, cosa ben rara data l'ora avanzata, che cantava il santo nome a bas­sa voce, molto lentamente.
Govinda disse: "Gentilmente alzati e prendi il tuo prasada". Haridas rispose che avrebbe digiunato quel giorno, altri­menti non sarebbe riuscito a portare a termine la sua abituale quota di Nama. Allo stesso tempo non poteva però trascurare il maha prasada. Così si alzò, gli fece gli omaggi e lo onorò prendendone una piccola quantità.
Con la sua vita esemplare, perfino in età avanzata, Haridas lasciò una profonda impressione sulla condotta spirituale che un sincero sadhaka deve seguire. È essenziale che egli esegua la sua pratica del canto del santo nome mantenendo un nume­ro regolare, in ogni circostanza, anche dovendo sacrificare cibo, riposo, sonno e altre necessità quotidiane. Senza venir mai meno, deve salmodiare il divino nome fino al completamento della sua quota giornaliera. Lasciarne una parte per il giorno dopo, con una scusa o l'altra, è completamente proibito. Delle quote irregolari, fissando dei numeri variabili per differenti date, anche questo è da evitare.
Al momento di ricevere il nama dall'appropriato precetto­re spirituale, al discepolo viene detto il numero minimo da ripetere ogni giorno. Il discepolo non ha la scelta di selezio­nare un numero in accordo alla sua convenienza. Solo la stret­ta osservanza di tale ripetizione regolare, risveglierà in lui una risoluta dedizione al divino nome. Senza aver alcun attacca­mento al Nama e al processo del suo canto, gli aspiranti non possono diventare qualificati per la misericordia del santo nome.
Una volta, alla notizia della sincera rinuncia di un Suo gran devoto, Sri Caitanya Mahaprabhu fu oltremodo compiaciuto ed espresse le seguenti osservazioni, per edificazione dell'uma­nità caduta:
"Le persone che hanno rinunciato al mondo, agli affetti, alla casa e alle loro relazioni favorite, si devono impegnare nel canto costante del santo nome. Devono mantenersi chie­dendo elemosine. Quelli che dipendono da altre persone mondane per il loro mantenimento, sicuramente falliranno nei loro sforzi spirituali. Non hanno successo nel raggiungere il loro obiettivo. Anche Sri Krishna non li favorisce mai. Li ignora. Quei mendicanti che si danno tanto da fare per soddisfare i vari gusti della lingua, subiranno una deplorevole caduta dal loro elevato standard spirituale, per diventare schiavi delle cattive influenze del palato. Cantando costantemente il Nama, il rinunciato deve nutrirsi di cibo che non ci si procura con violenza, come frutta, radici, vegetali, e così via. `Spinti dalle empie tentazioni della lingua, quei rinuncianti che rincorrono le delizie del palato, sono solo dei golosi. Essi non raggiungo­no Sri Krishna.' (Cc. Antya-lila 6.227)."
"Oh re! Coloro che hanno alle spalle una quantità insigni­ficante di attività virtuose, non hanno fede in Sri Govinda, nel Suo nome divino, nel Suo maha prasada e nei Suoi devoti" Padma Purana.
Sriman Mahaprabhu non tardò ad andare dal Suo devoto favorito per informarsi di persona:
 "Come ti senti, Haridas?" Haridas rispose: "Mio Signore! Fisicamente sto bene, ma mentalmente e intellettualmente mi sento piuttosto debole". Mahaprabhu insistette: "Quale sarebbe il tuo problema? Parla con franchezza".
Haridas: "Non sono in grado di completare la mia quota di santi nomi."
Mahaprabhu: "Haridas! Sei abbastanza anziano ora. Per­ché non riduci la tua quota di Nama? Tu sei un'anima realiz­zata. Perché insisti a voler completare la tua quota giornaliera di santi nomi? Sei apparso per redimere il mondo. Hai gu­stato abbastanza la dolcezza del Nama. Hai anche diffuso la gloria del divino nome nel mondo. Ora riduci la tua quota giornaliera di santi nomi, ed esegui sankirtan".
Haridas disse: "Ti prego, ascolta l'umile richiesta di que­sto indegno servitore. Io ho preso nascita tra la gente ordinaria, ritrovandomi con un corpo molto censurabile. Ho sprecato la mia vita in attività odiose, sono il mascalzone più infeli­ce e caduto. Tu hai liberato una persona del genere, completa­mente indegna di essere persino vista dagli altri, un perfetto esemplare di intoccabile se mai ce ne fu uno. Mi hai liberato dalle immensurabili profondità del peggiore inferno, innal­zandomi alla regione più desiderabile della beatitudine incom­parabile: Vaikuntha. Tu sei il Signore Supremo il cui deside­rio è legge. Gli infiniti universi si muovono per Tua volontà, al Tuo ordine. Grazie ai Tuoi inconcepibili poteri compi inimmaginabili meraviglie. Detto fatto, Tu trasformi un corvo nel re degli uccelli. Per Tua misericordia senza causa mi hai fatto danzare in vari modi. Per Tua grazia io, intoccabile per casta, ho potuto onorare il cibo preparato dai brahmana più ortodossi, durante il giorno dello sraddha. Da qualche tempo ho in me una certa premonizione. In un certo qual modo, non so perché, mi sembra che Tu lascerai molto presto questo mondo. Oh mio Signore! Sii misericordioso con me e salvami da questa straziante scena. Non sarei in grado di sopportarla. Permettimi di esalare il mio ultimo respiro prima che Tu con­cluda i Tuoi lila. Stringendo i Tuoi piedi di loto sul mio pet­to, gli occhi fissi sul Tuo volto radioso come la Luna, e la lingua che pronuncia il Tuo nome, Sri Krishna Caitanya, io desidero ardentemente abbandonare la mia vita (Cc. Antya-lila 11.33-34). Se sei così cortese con me, oh incarna­zione di gentilezza, abbi la misericordia di concedermi que­sto favore. Lascia che questo mio corpo immondo cada dinanzi a Te. CompiaciTi di soddisfare questo desiderio a lungo coltivato da quest'insignificante servitore".
Nel sentire queste umili, devote e toccanti parole di Haridas, Sriman Mahaprabhu rispose: "Haridas! Sri Krishna è un oce­ano di misericordia. Certamente Egli soddisferà il tuo deside­rio, ma che ne sarà di Me? Tutta la Mia felicità è nell'avere la tua compagnia. Perciò, è appropriato da parte tua che tu Mi lasci e te ne vada?"
A questa accorata richiesta di Sriman Mahaprabhu, Haridas Gli afferrò i piedi e pregò: "Oh mio Signore! Per favore, non mi ingannare. AccontentaTi di non aver più attaccamento per questo insignificante essere. Senza dubbio soddisferai questa mia preghiera. Ci sono innumerevoli devoti, eminenti devoti, sempre presenti qui per assisterTi nei Tuoi passatempi. Dov'è il problema se un verme come me Ti lascia? Avverte forse Madre Terra, in qualche modo, la perdita di una formica? Tu sei sempre misericordioso verso i Tuoi devoti. Io sono un umile riflesso di un Tuo vero devoto. Sii così misericordioso da soddisfare la mia preghiera."
Nel sentire queste ripetute richieste di Haridas, Sriman Mahaprabhu assicurandolo che l'avrebbe rivisto il giorno dopo, l'abbracciò e andò ad eseguire le Sue abluzioni di mezzogior­no nel mare.
Il mattino, seguente dopo avere fatto gli omaggi a Sri Jagannatha, Sriman Mahaprabhu si recò da Haridas al matti­no presto, accompagnato da tutti i Suoi devoti. Haridas adorò i piedi del Signore e degli altri devoti.
Mahaprabhu chiese:" Haridas! Che novità ci sono?" Haridas replicò: "Mio Signore! Come Tu comandi." Immediatamente Sriman Mahaprabhu chiese ai devoti di eseguire sankirtan. Devoti di primo piano, come Sri Svarupa Damodara, Sri Vakresvara Pandita, Sri Ramananda Raya, Sri Sarvabhauma Bhattacarya e altri si unirono a1 sankirtan.
Sriman Mahaprabhu stesso cantò le glorie di Haridas Thakur in modo imponente e sembrò completamente perso in esse. Le Sue parole mossero il cuore dei devoti presenti.
Ora Haridas era convinto che il Signore misericordioso avesse esaudito la sua preghiera e che doveva approfittare di questa grande opportunità per soddisfare il suo ardente desi­derio. Chiese perciò a Sriman Mahaprabhu di sederSi proprio di fronte a lui.
Come può il Signore Supremo, sempre sottomesso ai Suoi bhakta, deludere un Suo favorito devoto come Haridas Thakur? Non compì Egli delle imprese ancora più grandi pur di soddi­sfare i Suoi devoti? Com'è affascinante il Suo attaccamento ed amore per i Suoi devoti!
Non inghiottì forse il fuoco della foresta in fiamme per amore dei Suoi Vrajavasi?
Non tenne le redini dei cavalli, quale cocchiere di Arjuna, nella grande battaglia di Kuruksetra, lasciando altresì che il Suo tenero corpo fosse trafitto dalle innumerevoli frecce de­gli opponenti Kaurava?
Quante volte ruppe i Suoi voti pur di soddisfare quelli dei Suoi devoti?
Si dimostrò forse riluttante a portar l'ambasciata dei Pandava ai malvagi capi Kaurava o a fare il portiere nel palaz­zo di Maharaja Bali?
Ebbene sì, Sriman Mahaprabhu si sedette di fronte al Suo devoto. Haridas fissò gli occhi sul volto di Sriman Mahaprabhu come api che si attaccano al fiore di loto. Afferrò entrambi i piedi di Sriman Mahaprabhu e se li mise sul petto, prese la polvere dai piedi degli altri devoti e se la sparse sulla testa, ripetendo continuamente il nome di Sri Krishna Caitanya e bevendo la nettarea bellezza del Suo volto simile alla luna. Con il santo nome tra le labbra, il grande namacarya esalò il suo ultimo respiro.
La dipartita di Haridas, per sua volontà, ricorda quella del grande Bhisma, in passato. Un fragoroso sankirtan squarciò il cielo. Trasportato dall'estasi spirituale, Sriman Mahaprabhu perse completamente ogni controllo. Alzò il corpo di Haridas e danzò perso nel rapimento spirituale. I devoti presenti pro­varono un'irresistibile ispirazione. Stavano tutti danzando, cantando il nome del Signore in compagnia di Sriman Mahaprabhu, saturi di gioia illimitata.
Dopo aver eseguito sankirtan per un bel po' di tempo, si­stemarono il corpo di Haridas in un palanchino specialmente decorato, e diedero il via ad una gran processione, nel mezzo di un roboante canto del santo nome. Sriman Mahaprabhu era in testa alla processione, danzando continuamente.
Il corteo si diresse senza deviazioni verso il mare. Il corpo di Haridas fu preso e immerso per completo.
Sriman Mahaprabhu dichiarò:" Da oggi questo mare è di­ventato un grande luogo di pellegrinaggio, un tirtha."
Da allora, infatti, il ghat di Haridas Thakura è considerato un luogo santo nel mare di Puri. Migliaia di pellegrini venuti da differenti parti dell'India fanno ogni giorno il bagno pro­prio in quel luogo.
Ogni devoto prese l'acqua che aveva lavato i piedi di Haridas. Il corpo fu spalmato di pasta di sandalo portata per l'occasione dal tempio di Sri Jagannatha e, con il cerimoniale di rito, il corpo fu sistemato nella terra accompagnato dall'as­sordante sankirtan dei devoti. Sriman Mahaprabhu gettò la prima manciata di sabbia per ricoprirlo.
Un bellissimo samadhi venne in seguito eretto sopra e ancor oggi è uno dei luoghi più importanti di Puri. A migliaia vanno i pellegrini, durante l'anno, in visita al samadhi di Haridas Thakur. Vi si tiene anche, tutti i giorni, una regolare cerimo­nia d'adorazione.
Dopo un lungo kirtan, il gruppo di devoti, guidato da Sriman Mahaprabhu, girò rispettosamente attorno al samadhi e andò poi al simhadvara, il cancello del tempio di Sri Jagannatha. Stendendo il Suo panno, Sriman Mahaprabhu elemosinò personalmente il maha prasada. Non ci fu rivenditore che non offrisse di cuore tutto il maha prasada che poteva dare.
In breve se ne raccolse un'enorme quantità e venne data una gran festa. Sriman Mahaprabhu servì in modo sontuoso il maha prasada con le Sue stesse mani.
Dopo che tutti ebbero fatto onore al maha prasada, Egli offrì ad ognuno in aggiunta una bellissima ghirlanda di fiori e della pasta di sandalo, facendo scendere delle benedizioni spe­ciali su tutti i partecipanti alla funzione. Egli li assicurò che avrebbero presto raggiunto Sri Krishna, come risultato del darsana di Haridas Thakur.
Poi concluse: "Attraverso la Sua misericordia senza causa Sri Krishna Mi ha concesso il favore di poter godere della compagnia di Haridas. La volontà di Sri Krishna però è indi­pendente. Oggi Mi ha privato di quella compagnia. Quando Haridas già desiderava lasciare questo mondo, come potevo trattenerlo ancora qui? Per sua dolce volontà lasciò il mondo come il grande Bhisma di venerata memoria. Haridas era la gemma più preziosa del mondo. Con la sua dipartita la Terra è rimasta priva del suo tesoro."
Con queste parole Sriman Mahaprabhu danzò acclaman­do: "Tutte le glorie a Haridas".
Tutti i devoti seguirono Sriman Mahaprabhu e ripeterono: "Gloria al grande Haridas che proclamò le glorie trascenden­tali del santo nome."
E così, la più gloriosa, ispirante ed esemplare carriera di Haridas Thakura quale namacarya, per nostra grande sfortu­na, non è più visibile alle persone di questo mondo.
Non ci sono parole, per quanto sofisticate possano essere, in grado di esprimere adeguatamente le glorie di questo grande santo, un prediletto tra gli associati eterni di Sri Krishna Caitanya Mahaprabhu.
L'apparizione e la scomparsa degli associati eterni del Si­gnore Supremo, non dev'essere confusa con la nascita e la morte dei comuni mortali.
I devoti del Signore che appaiono in questo mondo, lo fan­no in accordo alla dolce volontà divina.
Essi non vengono qua su costrizione del karma, come è il nostro caso. Non sono sotto l'influenza della divina energia illudente, Maya, neanche quando si trovano qui. Maya non può esercitare alcun potere sui veri devoti del suo Signore, essi non sono sotto il suo controllo. Perciò, la loro apparizione non è una messa in opera di Maya, tendente a far loro rac­cogliere le reazioni delle passate azioni, prarabdha. Così come non sono schiavi di alcuna loro azione in questo mondo.
Le azioni, di per se stesse, non sono pericolose se sono fatte in modo appropriato. Le azioni sono molto dannose, e sono anche la causa stessa di questo ciclo di ripetute nascite e morti, solo quando sono compiute senza il minimo desiderio di soddisfare il Signore Supremo. Quando si eseguono per il piacere del Signore, le azioni si trasformano in bhakti.
Gli atti di devozione non sono causa di samsara, come lo sono invece le azioni irreligiose ed egoistiche. Perciò il devo­to, la cui stessa esistenza è per rendere il massimo piacere al Signore Supremo, non è responsabile delle sue varie azioni in questo mondo. La sua è una resa incondizionata, il che lo pone invariabilmente sotto la guida diretta del Signore Supremo. Non agisce indipendentemente dal Signore, l'unico ad essere oggetto della sua adorazione. Ogni sua azione, per quanto in­significante possa essere, è in pieno accordo con la volontà divina. Come tale, non c'è per lui karma bandha o schiavitù delle azioni.
La santità che segue il giorno dell'avvento di Bhagavan è compartita dal giorno di nascita dei Suoi devoti.
Proprio come Pradyumna, Aniruddha, Sankarsana, Laksmana, Bharata, Satrughna, e così via, accompagnano il Signore ovunque Egli si manifesti in questo mondo, così an­che i devoti prendono nascita in accordo al desiderio del Si­gnore. Essi seguono solamente il Signore in tutte le Sue manifestazioni, e ritornano nel regno eterno con Lui, quando lo scopo della loro nascita è completamente realizzato. I devoti non sono legati da nessuna loro azione qui in questo mondo. Caitanya Bhagavata Adi-lila 3.48, Antya-lila 8.171-174; Padma Purana Uttara-khanda 247.47-48.
L'apparizione di un devoto del Signore Supremo è un evento tanto importante ed eterno quanto l'avvento di Bhagavan. I devoti del Signore non sono entità separate, completamente differenti da Lui. Essi appaiono insieme a Bhagavan per rea­lizzare vari Suoi propositi, talvolta in anticipo, e alcuni di loro, per volontà del Signore, appaiono persino dopo la Sua parten­za da questo mondo. La stessa cosa succede per la loro scom­parsa. I devoti appaiono trattenendo completamente tutti i loro poteri spirituali e ci salvano da tutte le terribili sofferenze.
La carriera di Thakur Haridas è un glorioso e vivo esempio di tutti questi fatti infallibili.
Se non riusciamo a capire queste verità fondamentali sulla vera posizione dei devoti, il nostro fallimento nel capirlo è di per se stesso prova della nostra avversione al Signore, la vera causa del nostro imprigionamento in questi corpi materiali.
Concluso nella propizia occasione di Siva-ratri Caturdasi Govinda-masa 514 Gaurabda




Capitoli                                                                               pag.
1. Il Divino Nome e la sua efficacia                                      4
2. Namacarya Sri Haridas Thakur                                        8
3. Il Santo Nome del Signore - La Panacea divina                 14
4. Haridas a Santipur                                                           23
5. Il maestro spirituale e la sottomissione spontanea               40
6. Haridas Thakur e il Kazi                                                  53
7. Haridas Thakur e l'incantatore di serpenti                          61
8. Haridas a Navadvip                                                         66
9. Haridas a Puri                                                                74